Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-02-2011) 11-05-2011, n. 18556 Reati societari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.A., nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Cooperativa edilizia S. Erasmo arl di Aprilia dal 7 maggio 1993 al giorno 11 maggio 1995, in liquidazione coatta amministrativa dal 10 aprile 1997, veniva condannato dal Tribunale di Latina, con sentenza emessa in data 28 ottobre 2002, alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni patiti dalla predetta Cooperativa e dai soci della stessa, per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione della somma di oltre cinque miliardi di lire e documentale, nonchè per i reati di false comunicazioni sociali e truffa.

Il giudice di primo grado, dopo avere illustrato i complessi rapporti intercorsi tra la Cooperativa ed alcune società immobiliari e quelli esistenti tra la suddetta cooperativa ed i soci della stessa, riteneva, anche sulla scorta di una consulenza contabile del Pubblico Ministero, che il P. avesse, nel corso della sua attività, ricevuto molto danaro e titoli cambiari da alcune società, da un mutuo di notevole importo ottenuto dal Banco di Napoli e da versamenti dei soci.

Il Tribunale rilevava che i titoli cambiari erano stati messi allo sconto bancario e della liquidità così ottenuta non vi era traccia nelle casse sociali.

Il giudice di primo grado, inoltre, riteneva inattendibile la tesi del furto della documentazione contabile prospettata dal P..

La Corte di Appello di Roma, con sentenza emessa in data 13 luglio 2009, dopo avere rilevato la intervenuta estinzione per prescrizione dei reati di false comunicazioni sociali e di truffa, confermava l’impianto accusatorio per quanto riguarda le due ipotesi di bancarotta fraudolenta, anche sulla scorta degli esiti della perizia contabile disposta dalla stessa Corte, e confermava, altresì, le statuizioni civili.

Con il ricorso per cassazione P.A. deduceva:

1) il vizio di motivazione in ordine al reato di bancarotta patrimoniale, con riguardo in particolare alle cause del dissesto della Cooperativa edilizia S. Erasmo. Stranamente la sentenza impugnata aveva ritenuto non rilevanti le cause del dissesto, laddove, invece, trattandosi di una responsabilità gestionale esse erano determinanti; in tale ottica non si era tenuto conto che la causa dello stato di insolvenza doveva essere ricercata principalmente nella risoluzione del contratto Valle Verde avvenuta due mesi dopo la cessazione dalla carica del P.;

2) il vizio di motivazione in ordine alla bancarotta patrimoniale perchè era stata ritenuta la inattendibilità della documentazione disponibile in contrasto con quanto emergeva dalle relazioni dell’ispettore del Ministero del Lavoro D.M.L. e dal bilancio di esercizio del 2 giugno 1995, che risultava in pareggio.

Emergeva, tra l’altro, che la società vantava crediti nei confronti dei soci pari a tre miliardi di lire, che non si sa se fossero stati o meno riscossi;

3) la omessa motivazione in ordine all’elemento oggettivo della bancarotta documentale perchè la Corte di merito aveva ritenuto inattendibile la denuncia di furto della documentazione senza considerare che non vi era stata denuncia a carico del P. per la violazione dell’art. 367 c.p., che l’ispettore del Ministero nel mese di maggio 1995 aveva reperito la documentazione contabile e che aveva tratto vantaggio dalla sparizione dei documenti chi aveva risolto il contratto Valle Verde, ovvero D.Z.F.;

4) la violazione dell’art. 216 della legge fallimentare per mancanza del dolo specifico richiesto per la bancarotta documentale;

5) il vizio di motivazione in ordine al reato di false comunicazioni sociali perchè mentre nel capo di imputazione si parlava di operazioni fittizie di compravendita di immobili da alcune società, in sentenza si discuteva della pretesa dannosità di transazione, con conseguente violazione del principio di correlazione;

6) la inosservanza dell’art. 521 c.p.p., artt. 81 e 640 c.p. e art. 2622 c.c. per la impossibilità di configurare il concorso tra i reati di truffa e false comunicazioni sociali ritenuto dai giudici di merito, essendo le due condotte in rapporto di specialità tra loro;

7) la illogicità della motivazione in ordine al reato di truffa, essendo, tra l’altro, i soci consapevoli della situazione patrimoniale della società;

8) la omessa motivazione in ordine al riconoscimento delle attenuanti generiche;

9) la manifesta illogicità della motivazione in ordine alle statuizioni civili anche perchè era stata riconosciuta una provvisionale per i soci, senza nemmeno accertare se gli stessi avessero o meno saldato i loro debiti con la società e senza tenere conto che, comunque, la Corte di merito aveva notevolmente ridotto l’ammontare del danno che il ricorrente avrebbe cagionato alla società.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da P. A. non sono fondati.

E’ infondato il primo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha affermato che lo stato di insolvenza della S. Erasmo sarebbe riconducibile principalmente alla risoluzione del contratto stipulato con la Cooperativa Valle Verde, risoluzione osteggiata dal P. e verificatasi quando il ricorrente non aveva alcuna carica sociale.

E’ necessario premettere che, come è noto, le motivazioni delle due sentenze di merito, quando siano conformi, si integrano, cosicchè, nel caso di specie, è ben possibile fare riferimento anche agli argomenti spesi dal tribunale di Latina. Non è certo il caso di ricostruire in questa sede tutto il complesso andamento della Cooperativa S. Erasmo, ma conviene subito rammentare che sia il tribunale, sia la corte di merito, sulla base essenzialmente di una consulenza del Pubblico Ministero il primo, e di una perizia disposta in sede di appello la seconda, hanno ricostruito tutte le vicende economiche della cooperativa, individuando le somme liquide percepite a vario titolo dal P. – mutuo del banco di Napoli, versamento da parte di soci, operazioni di sconto di effetti cambiari e rimborso IVA per una complessiva somma di lire venticinque miliardi circa -, analizzando gli strani rapporti intercorsi tra la S. Erasmo e le ditte subappaltatrici dei lavori – stranamente parte dei lavori vennero pagati direttamente dalla S. Erasmo e non dalla ditta appaltatrice dei lavori – e tra la S. Erasmo e la Cooperativa Valleverde, società ben conosciuta dal P. perchè gli era passata di mano e la aveva ceduta al M., determinando il valore delle costruzioni di immobili realizzate ed individuando in una somma variabile tra i circa dieci miliardi ed i cinque – il direttore dei lavori aveva stimato il costo dei lavori in non più di quindici miliardi, mentre i periti hanno parlato di venti miliardi circa – ed hanno stabilito che da nessun elemento processuale risultava che tale somma, certamente pervenuta nelle casse sociali, era stata utilizzata per fini sociali. Appare superfluo ricordare che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, fornita la prova da parte dell’Accusa della presenza in cassa di una somma poi non reperita, spetta all’imputato fornire la prova di una utilizzazione della stessa a fini sociali; ciò non è avvenuto nel caso di specie perchè di tale somma si sono perse le tracce, e ciò a prescindere da pagamenti non dovuti e precedentemente richiamati e da operazioni finanziarie e commerciali alquanto oscure.

Orbene, tanto premesso, va detto che i rilievi concernenti i rapporti con la Cooperativa Valle Verde non sono fondati.

In effetti il perno principale del ragionamento del ricorrente è costituito dal fatto che la risoluzione del contratto sarebbe avvenuta due mesi dopo la cessazione dall’incarico del P. e, quindi, gli effetti, di certo non benefici per la Cooperativa, della risoluzione non potevano essere addebitati alla gestione del P..

Ma le cose, come hanno chiarito i giudici di primo grado, non stanno in questi termini.

Ed, infatti, è certamente vero che il contratto con la Valle Verde venne consensualmente risolto in data antecedente al 4 agosto 1995, come si desume dal verbale, riportante tale data, di restituzione dei titoli già consegnati dalla Valle Verde alla S. Erasmo in esecuzione del contratto poi risolto, verbale redatto dinanzi al notaio, ma è altresì vero che fin dal 27 febbraio 1995, quando il P. era nel pieno delle sue funzioni, la Valle Verde aveva dichiarato di voler recedere dal contratto adducendo il grave stato di insolvenza della S. Erasmo.

Risulta allora evidente che tutta la vicenda del rapporto con la Valle Verde si è sviluppata sotto la presidenza del P. e correttamente i giudici del merito hanno ritenuto riconducibile allo stesso la intera operazione, perchè la formale risoluzione costituiva nulla altro che l’inevitabile esito del rapporto.

Il secondo motivo di impugnazione è infondato, di merito e generico.

Generico perchè, per il principio di autosufficienza del ricorso, ormai affermatosi anche in sede di giurisdizione penale, è necessario allegare la documentazione del caso a sostegno degli assunti del ricorrente, cosa che nel caso di specie non è stata fatta, essendosi limitato il ricorrente ad una serie di enunciazioni ed affermazioni.

In secondo luogo il motivo è di merito perchè tenta una lettura diversa del materiale probatorio, cosa non consentita in sede di legittimità, potendo la Corte verificare soltanto se le valutazioni di merito siano o meno sorrette da una motivazione immune da manifeste illogicità.

Il motivo è, altresì, infondato.

Il ricorrente, in buona sostanza, sostiene che il bilancio del 2 giugno 1995 era in pareggio e che i tre miliardi di crediti verso i soci non erano stati ancora riscossi.

Ancora una volta è il giudice di primo grado a chiarire la vicenda ed a spiegare che con riferimento ai crediti dei soci l’imputato nella missiva del 22 aprile 1995 aveva utilizzato la espressione somme incassate che non si presta ad equivoci; si parlava di somme versate anche nel verbale del consiglio di amministrazione del 18 maggio 1995 e nei prospetti allegati.

Che la espressione abbia il significato indicato è dimostrato anche dal fatto che a proposito della situazione debitoria – creditoria della Cooperativa Valle Verde nello stesso documento si era utilizzato il diverso termine versamenti – consegna di titoli mai onorati -.

Infine nel prospetto inviato all’ufficio IVA si riportavano i versamenti dei soci e si parlava di versamenti effettuati dai soci.

Quindi non è vero che i crediti verso i soci non siano stati riscossi, come si desume dalla puntuale motivazione del giudice di primo grado, non contestata specificamente dal ricorrente.

Quanto all’affermato pareggio di bilancio del 1995 i giudici del merito hanno rilevato che esisteva riscontro documentale della esposizione debitoria della S. Erasmo fin da data antecedente e per diversi miliardi di Lire.

Inoltre non risulta che l’ispettore ministeriale D.M. avesse fatto una ispezione sui concreti dati contabili.

Quanto al terzo motivo di impugnazione va detto che esso è inammissibile perchè il ricorrente ha fornito una diversa valutazione degli elementi probatori a sostegno della tesi del furto di documenti.

Orbene sul punto la motivazione dei giudici di merito è immune da manifeste illogicità.

Essi, infatti, dopo avere sottolineato la singolarità ed irregolarità del fatto che il P. fosse rientrato in possesso della documentazione contabile, che in quel momento si trovava in possesso del genero commercialista, della cooperativa quando era già cessato dalla carica e che il furto di documenti sarebbe avvenuto nella stessa giornata, ha spiegato che l’intera documentazione per la sua notevole mole non sarebbe entrata in una ipsilon 10 e che stranamente i ladri rubarono i documenti e abbandonarono l’auto.

A tali elementi va aggiunto il rilievo dei giudici di merito che il furto poteva giovare soltanto al P. resosi responsabile di una amministrazione definita dissennata.

A fronte di tali elementi non ha alcun rilievo che il tribunale non abbia ritenuto di trasmettere gli atti alla procura per procedere contro il P. per il reato di cui all’art. 367 cod. pen..

Si tratta, in conclusione, di una motivazione immune da manifeste illogicità che non è censurabile in sede di legittimità.

E’ infondato anche il quarto motivo di impugnazione perchè da tutta la motivazione della sentenza impugnata risulta che il P. distrusse od occultò le scritture contabili proprio per impedire che attraverso la ricostruzione delle vicende societarie venissero in evidenza le scorrettezze della sua gestione e la distrazione di fondi dai fini sociali, in modo da sottrarsi alle sue responsabilità ed arrecare pregiudizio ai creditori; quindi risulta pienamente sussistente il dolo specifico richiesto.

Va anche detto che non risulta che il ricorrente abbia specificamente dedotto tale motivo con l’atto di appello; sotto tale profilo il motivo è inammissibile.

Il quinto motivo di impugnazione, concernente la violazione del principio di correlazione in relazione al reato di cui all’art. 2621 cod. civ., potrebbe avere un qualche fondamento per la mancanza di chiarezza della motivazione sul punto. Tuttavia ove mai si dovesse ritenere esistente siffatta violazione bisognerebbe disporre un annullamento con rinvio della sentenza sul punto, disposizione non consentita, secondo costante giurisprudenza di legittimità, in presenza di una causa estintiva – prescrizione – del reato, che risulta, peraltro, già dichiarata dal giudice di secondo grado.

E’ infondato anche il sesto motivo di impugnazione.

Il ricorrente ha sostenuto che non sarebbe configurabile il concorso tra i reati di truffa e false comunicazioni sociali, essendovi un rapporto di specialità tra le due fattispecie; il ricorrente ha richiamato l’art. 2622 cod. civ..

Senonchè al P. era stata contestata la violazione dell’art. 2621 cod. civ. e non quella dell’art. 2622 c.c..

Orbene se è possibile discutere su una pretesa impossibilità del concorso tra il delitto di truffa ed il reato di cui all’art. 2622 cod. civ., deve, invece, escludersi un rapporto di specialità tra la fattispecie di cui all’art. 2621 cod. civ. e quella di cui all’art. 640 cod. pen., perchè se è vero che la nuova formulazione dell’art. 2621 cod. civ. ha inserito nella fattispecie la induzione in errore, è anche vero che non ha inserito il profilo del profitto-danno;

cosicchè deve concludersi per la permanenza del concorso tra le due fattispecie di reato.

Infine va detto che ove si ravvisasse la necessità di un approfondimento delle condotte in concreto contestate si imporrebbe un annullamento con rinvio sul punto, cosa non consentita, come si è già dinanzi ricordato, essendo stata l’ipotesi di reato già dichiarata estinta per prescrizione.

Con il settimo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto un vizio di motivazione concernente il delitto di truffa, del quale è stata dichiarata la estinzione per prescrizione.

Nel ripetere quanto già rilevato in precedenza per situazioni analoghe si ribadisce che in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (S.U. 28 maggio – 15 settembre 2009, n. 35490, CED 244275).

Il principio è evidentemente valido anche nel caso, come quello di specie, che la causa estintiva sia stata già dichiarata.

Manifestamente infondato e di merito è l’ottavo motivo di impugnazione perchè la corte di secondo grado ha negato il riconoscimento delle attenuanti generiche tenuto conto della gravità del fatto e dei precedenti, anche specifici, dell’imputato.

Trattasi di motivazione che fa corretto riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e che, pertanto, non merita alcuna censura sotto il profilo della legittimità.

Manifestamente infondato, infine, è l’ultimo motivo di impugnazione concernente le statuizioni civili e segnatamente l’assegnazione di una provvisionale ai soci della cooperativa.

Infatti la pronuncia circa l’assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto, essendo necessario soltanto che l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 6^, 11 novembre – 30 dicembre 2009, n. 49877, CED 245701), cosa che si è verificata nel caso di specie e che, comunque, non è stata specificamente contestata dal ricorrente.

Ne consegue che il provvedimento che assegna la provvisionale non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere travolto dalla effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (vedi, tra le tante, Sez. 5^, 17 gennaio – 7 febbraio 2007, n. 5001 e Sez. 5^, 18 marzo – 15 ottobre 2004, n. 40410, CED 230105).

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

Il ricorrente è tenuto alla rifusione delle spese di questo grado sostenute dalle parti civili, liquidate per la Cooperativa S. Erasmo in complessivi Euro 2.300,00 per onorari, e per i soci della Cooperativa rappresentati dall’avvocato Musolino in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili, liquidate, per la Cooperativa S. Erasmo in complessivi Euro 2.300,00 per onorari, e per i soci della Cooperativa rappresentati dall’avvocato Musolino in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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