Cons. Stato Sez. V, Sent., 13-05-2011, n. 2899 Rapporto d’impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ga rispettivamente degli avv.ti Cugurra e Braschi;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 590/1999 il Tar per l’Emilia Romagna, sezione di Parma, ha accolto il ricorso proposto da A. P. avverso il provvedimento n. 45 del 27.1.1998, con cui il dirigente del settore risorse umane del comune di Parma aveva disposto la risoluzione del contratto individuale di lavoro stipulato con la ricorrente.

Il Comune di Parma ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

A. P. si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito da un contenzioso sorto tra il comune di Parma e una propria dipendente, non vedente e in servizio di prova come centralinista.

Una prima risoluzione del contratto di lavoro, disposta in data 20.3.1997, era stata annullata dal Tar con sentenza n. 543/97 per difetto di istruttoria e di motivazione; il giorno dopo la riammissione in servizio e prima della scadenza del periodo di prova, il Comune procedeva nuovamente alla risoluzione del contratto sulla base di nuovi atti acquisiti.

Il giudice di primo grado ha ritenuto anche tale secondo atto illegittimo, dopo aver assunto diverse prove testimoniali,

L’appellante comune deduce in primo luogo che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è una giurisdizione di sola legittimità, che non consente al g.a. di sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’amministrazione.

Il motivo è privo di fondamento.

La sussistenza della giurisdizione esclusiva del g.a. comporta che quest’ultimo conosca anche di diritti soggettivi e il richiamo alla giurisdizione di sola legittimità non è, quindi, pertinente.

Se l’appellante voleva sostenere che il Tar ha in concreto esercitato una giurisdizione di merito, si rileva che così non è e che il giudice di primo grado si è limitato ad accertare i fatti sulla base delle prove testimoniali assunte per poi trarre la conclusione che l’impugnato provvedimento era fondato su un travisamento dei fatti.

3. Sono infondate anche le ulteriori censure, che possono essere esaminate congiuntamente e con cui il Comune ha sostenuto che non vi sarebbe stata alcuna discriminazione nei confronti della dipendente P. e che il Tar avrebbe mal valutato il contenuto delle prove testimoniali, valorizzando l’unica testimonianza favorevole alla ricorrente.

In primo luogo, pur essendo vero che il Tar ha delineato un quadro di sostanziale discriminazione nei confronti della ricorrente, non è questo l’elemento decisivo della controversia, in quanto il punto fondamentale è accertare non se la dipendente P. sia stata, o meno, discriminata, ma se sussistevano i presupposti per procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Va tenuto presente che la nuova risoluzione è stata disposta dal Comune appena un giorno dopo la riammissione in servizio della P. sulla base della relazione della dott.ssa Carra, in parte fondata su quanto riferito dalle due dipendenti Ferrarini e Lombardo.

In presenza di tali elementi è condivisibile il giudizio di minore attendibilità attribuito dal Tar alle testimonianze di quelle dipendenti che erano entrate in conflitto con la ricorrente, come proprio Ferrarini e Lombardo.

Altrettanto condivisibile è il minor peso attribuito dal giudice di primo grado a tutti i fatti riferiti de relato, caratterizzati peraltro da numerose imprecisioni.

Tali elementi hanno condotto (correttamente) il Tar a ritenere maggiormente attendibile la testimonianza della Baioni, di cui la sentenza di primo grado ha riportato alcuni estratti indicativi dell’atteggiamento di sfavore pregiudizialmente assunto nei confronti della ricorrente di primo grado.

Rispetto a tali elementi riportati dal giudice di primo grado il comune appellante si è limitato a confutare alcuni particolari, che però assumono rilievo marginale nella vicenda, quali, ad esempio, la presunta non conoscenza da parte della P. dei criteri di distribuzione dei buoni pasto; o il fatto che altre dipendenti non volevano lavorare con la P..

Alcune delle carenze riferite dai testi sono palesemente insignificanti, soprattutto in relazione alla risoluzione del rapporto di lavoro (v., ad esempio, la presunta eccessiva familiarità con cui la dipendente trattava gli utenti o l’utilizzo del termine "Comune" in luogo di "Municipio").

Gli elementi invocati dal Comune sono certamente idonei a dimostrare una difficoltà di inserimento della P. nell’ambiente di lavoro e di rapporto con alcune colleghe, ma questo non è sufficiente per risolvere un contratto di lavoro.

Nè può essere seguita la tesi del comune nella parte in cui tende a dubitare dell’attendibilità della teste Baioni, in quanto portatrice dello stesso handicap della P..

Con riguardo alle presunte mancanze ed errori commessi dalla P. si rileva che non è stata raggiunta una prova adeguata delle stesse, essendo troppi gli elementi di contraddittorietà e le notizie assunte solo de relato.

L’amministrazione comunale avrebbe dovuto procedere di volta in volta a precise contestazioni degli errori commessi e la ricostruzione effettuata ex post con la relazione della dott.ssa Carra non è stata supportata da un approfondito accertamento dei fatti, che era doveroso in presenza di versioni contrastanti.

4. Va, infine, rilevata l’inammissibilità della riproposizione di domande formulate in primo grado e non esaminate, effettuata dalla parte appellata con semplice memoria, avendo dovuto ogni eventuale sua domanda ulteriore rispetto a quanto ottenuto con la sentenza del Tar essere proposta con la forma dell’appello incidentale.

Non possono, quindi, essere esaminati i profili relativi alla piena restituito in integrum, non avvenuta secondo la prospettazione della dipendente P..

5. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Condanna il comune di Parma alla rifusione, in favore della parte appellata, delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 4.000,00, oltre Iva e C.P.;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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