Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-01-2011) 11-05-2011, n. 18566 Arresti domiciliari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

izio.
Svolgimento del processo

A seguito di un diverbio riguardante il rispetto della priorità in una fila di persone, B.A. colpiva violentemente al capo H.M., causandone la caduta a terra. Arrestato in flagranza del reato di lesione volontaria aggravata, veniva sottoposto dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma alla misura cautelare degli arresti domiciliari; tale provvedimento veniva impugnato con appello dal pubblico ministero, che aveva chiesto l’applicazione della custodia cautelare in carcere.

Alcuni giorni dopo il fatto la H. decedeva nell’ospedale in cui era stata ricoverata a causa del trauma. In conseguenza di ciò il pubblico ministero modificava l’originaria imputazione in quella di omicidio preterintenzionale; in base a nuova documentazione, riguardante anche precedenti denunce a carico del B. per condotta violenta, chiedeva e otteneva dal G.I.P. l’aggravamento della misura con l’applicazione della custodia cautelare in carcere.

Quest’ultimo provvedimento veniva impugnato con appello dall’indagato.

Su entrambe le impugnazioni di cui sopra decideva con unica ordinanza datata 9 novembre 2010 il Tribunale del riesame di Roma, rigettando l’appello del B. e dichiarando inammissibile quello del P.M., stante la sopravvenuta carenza d’interesse.

Nella motivazione quel collegio, tenuta per certa la gravità indiziaria, così come la qualificazione del fatto, portava la sua attenzione sulle esigenze cautelari e sulla scelta della misura adeguata a fronteggiarle. Per tale riguardo considerava che dal comportamento tenuto dal B. nella circostanza di cui al processo, nonchè in occasione di altri precedenti episodi che gli avevano causato due denunce per atti di violenza ai danni di terzi, emergeva una personalità arrogante, portata al disprezzo delle regole e incline a ricorrere alla violenza fisica quale mezzo per "appianare" le controversie. Ne deduceva l’esistenza di un concreto pericolo di reiterazione del reato.

Giudicava, al contempo, il Tribunale che fosse inadeguata la misura degli arresti domiciliari in considerazione del fatto che, nel periodo in cui vi era stato sottoposto, in una certa occasione il B. era stato colto nell’atto di dialogare con altri dalla finestra della sua abitazione, in violazione della prescrizione impostagli di non incontrarsi con persone diverse da quelle con lui coabitanti.

Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente, riferendosi all’episodio in occasione del quale era stato visto colloquiare con estranei dalla finestra, contesta che in ciò possa ravvisarsi una violazione delle prescrizioni; si richiama, in proposito, alla distinzione fatta dalla giurisprudenza tra "frequentazione" e "comunicazione".

Col secondo motivo rimprovera al Tribunale di aver considerato ininfluente, ai fini cautelari, l’ipotesi che il colpo inferto alla H. fosse consistito in una manata piuttosto che in un pugno;

contesta in più parti la ricostruzione cui il Tribunale ha acceduto nel valutare la propria condotta; nega che le denunce riguardanti episodi pregressi possano essere tenute in conto, stante la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva; riafferma la propria qualità di soggetto incensurato.
Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Affrontando nel corretto ordine logico le questioni sollevate dal ricorrente, viene dapprima in considerazione quella – dedotta col secondo motivo – che s’indirizza a contestare la sussistenza delle esigenze cautelari sotto il profilo della pericolosità sociale dell’indagato (e del connesso pericolo di reiterazione del reato). A confutare il giudizio espresso in proposito dal Tribunale il B. sostiene, innanzi tutto, che lo svolgimento dei fatti è stato in più parti differente dalla ricostruzione attuata nell’ordinanza: sia per quanto riguardante l’atteggiamento tenuto dalla H. nella circostanza, sia per le modalità con le quali costei fu colpita, sia per la successiva condotta dello stesso B.; quanto alle denuncie pendenti a suo carico per altri fatti, insiste nel contrastarne la rilevanza e nel valorizzare il proprio stato di incensuratezza.

La complessa censura è in parte inammissibile, siccome coinvolgente una rivisitazione del merito, là dove prospetta una ricostruzione del fatto diversa da quella recepita dal Tribunale in base a una motivata valutazione delle risultanze indiziarie (v. Cass. 8 ottobre 2008 n. 46124). Priva di fondamento, poi, è là dove impugna l’affermazione, che si legge nell’ordinanza impugnata, secondo cui "poco importa in questa sede" se il colpo al viso della H. sia stato sferrato a mano aperta o a pugno chiuso; in effetti, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, l’affermazione del Tribunale è giuridicamente corretta: sia sotto il profilo della qualificazione del fatto, configurandosi il delitto di omicidio preterintenzionale in ogni caso in cui l’azione violenta (costituente la matrice eziologica dell’evento letale) sia consistita in una qualunque manomissione della persona della vittima, indipendentemente dall’evenienza che l’intento fosse quello di percuotere piuttosto che di ledere (Cass. 6 febbraio 2004 n. 15004); sia sotto il profilo delle esigenze cautelari, essendo dato cogliere nell’atteggiamento ingiustificatamente aggressivo del B. – evidenziabile sin dalle prime fasi del diverbio, come osservato dal giudice del riesame – la manifestazione di una personalità incline alla violenza, quale mezzo di risoluzione delle controversie.

Non giova, inoltre, al ricorrente addurre il proprio stato di incensuratezza a confutazione del giudizio emesso dal Tribunale; ed invero, ai fini dell’apprezzamento della capacità a delinquere dell’indagato vengono in considerazione anche i precedenti giudiziari, per tali intendendosi le contestazioni di condotte criminose in altri procedimenti, ancorchè non pervenuti a sentenza (Cass. 18 agosto 2009 n. 33478; Cass. 11 luglio 2006 n. 29405); onde correttamente ha deciso il giudice del riesame nel tener conto anche di precedenti denunce presentate a carico del B. per condotte analogamente violente, da lui tenute in precedenti occasioni.

Quanto all’assunto che informa il primo motivo, secondo cui le esigenze cautelari potrebbero essere soddisfatte mantenendo il regime degli arresti domiciliari, non essendovi stata un’effettiva inosservanza delle prescrizioni imposte, l’ordinanza impugnata resiste una volta di più alle critiche mossele. Ha rilevato, infatti, il Tribunale che l’essere stato il B. colto nell’atto di dialogare, affacciato alla finestra della sua abitazione, con un gruppo di giovani posizionati nell’area condominiale sottostante, aveva costituito una violazione del divieto, impostogli dal G.I.P., "di incontrarsi con persona diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono".

Disquisire, come fa il ricorrente, intorno alla diversità concettuale tra il divieto di "frequentazione" e quello di "comunicazione" costituisce un fuor d’opera, posto che la violazione contestata al B. non è consistita nell’aver frequentato determinate persone, ma nell’essersi incontrato con esse: condotta, questa, che non richiede una reiterazione del contatto personale, ma può esaurirsi in un singolo episodio; e che è certamente riscontrabile nel dialogo fra persona presenti, sia pur separate dal limitato spazio intercorrente fra una finestra al primo piano e il sottostante cortile.

Il rigetto del ricorso, che inevitabilmente consegue alle considerazioni fin qui svolte, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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