Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-09-2011, n. 18568 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 18 maggio 2004 il Tribunale di Siracusa, in accoglimento della domanda proposta dalla curatela del fallimento della società irregolare costituita tra S.S. e B.N., nonchè dei fallimenti personali dei predetti soci, dichiarava l’inefficacia, ex art. 67, comma 1, L. Fall., del contratto di compravendita stipulato il 15 maggio 1990, con cui la società in bonis aveva alienato ai signori C.S. e D.M. R. un locale commerciale sito nel comune di (OMISSIS) al prezzo di L. 60 milioni, largamente inferiore al valore di mercato, stimato dal consulente tecnico d’ufficio in L. 100 milioni.

Il successivo gravame dei sigg. C.S., Ca.

S. e C.M. (queste ultime, quali eredi Di M. R.) era rigettato dalla Corte d’appello di Catania con sentenza 17 giugno 2008.

La corte territoriale motivava che le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio apparivano sorrette da diversi metodi di stima e tenevano conto delle carenze costruttive dell’immobile, nonchè delle irregolarità tecnico-amministrative; e che per contro gli acquirenti non avevano fornito la prova liberatoria della loro inscientia decoctionis.

Avverso la sentenza, notificata il 2 marzo 2009 i sigg. C. proponevano ricorso per cassazione notificato il 2 maggio 2009 e articolato in quattro motivi.

Resisteva con controricorso la curatela del fallimento della società irregolare costituita tra il S. e la B., nonchè dei soci in proprio.

Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ..

All’udienza del 30 giugno 2011 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Il collegio disponeva la motivazione semplificata della decisione.
Motivi della decisione

La corte territoriale ha congruamente motivato le ragioni di condivisione della stima dell’immobile alienato, il cui valore commerciale era superiore di oltre un quarto al prezzo pattuito per la vendita: percentuale, che viene considerata dirimente ai fini della sproporzione delle prestazioni corrispettive, presupposto della revocatoria ex art. 67, comma 1, L. Fall.. Ne consegue che gravava sugli acquirenti la prova liberatoria della propria inscientia decoctionis, che non poteva non essere dotata di particolare specificità e concludenza in considerazione della presunzione di diritto da superare. Il motivo di censura fa invece riferimento generico a circostanze inidonee a dimostrare positivamente l’ignoranza dello stato di insolvenza, nonostante l’indizio fortemente rivelatore costituito dalla vistosa inadeguatezza del prezzo, ed è pertanto inammissibile.

Anche il secondo motivo è inammissibile, risolvendosi in una difforme valutazione di merito di circostanze già apprezzate dalla corte sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Il terzo motivo tende ad introdurre un riesame delle risultanze probatorie – ed in particolare, della CTU – estraneo ai limiti del giudizio di legittimità.

L’ultimo motivo non è neppure articolato in forma di argomentata censura, limitandosi a chiedere un diverso regolamento delle spese di giudizio in caso di accoglimento del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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