Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-05-2011, n. 2925 Concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A seguito di una denuncia pervenuta nel marzo 2007, e a chiusura della indagine avviata a fine 2007, con il provvedimento n. 19462 adottato nell’adunanza del 29 gennaio 2009, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora innanzi AGCM o Autorità) ha deliberato che:

a) le s.r.l. Terminal Darsena Toscana (d’ora innanzi TDT) e la s.p.a. S. – Servizi Integrati Terrestri Marittimi (d’ora innanzi S.), nella loro qualità di operatori nel porto di Livorno che gestiscono terminals specializzati nella movimentazione di containers, hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 81, par. 1, del Trattato CE (divenuto l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in vigore dal 1° dicembre 2009), avente per oggetto il coordinamento dei propri comportamenti in relazione ai prezzi;

b) le società di cui al punto a) si astengano dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;

c) in ragione della gravità e della durata dell’infrazione, vengano applicate le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie: a TDT euro 960.000; a S. euro 288.000.

2. Tale provvedimento è stato impugnato da S. con il ricorso n. 3059 del 2009 al T.a.r. Lazio – Roma, basato su quatto motivi di ricorso, che lamentano:

a) l’erroneità della delimitazione del mercato rilevante operata dall’AGCM, che lo ha circoscritto al solo porto di Livorno;

b) l’insussistenza della prova di un accordo o di una pratica concordata;

c) l’insussistenza dell’oggetto o dell’effetto anticoncorrenziale della rilevata concertazione;

d) il carattere sproporzionato della sanzione.

3. Il T.a.r. adito, con la sentenza in epigrafe (n. 13134/2009), ha respinto le censure relative all’an dell’illecito, mentre ha accolto in parte la quarta censura, relativa al quantum, rideterminando in modo riduttivo la sanzione. Mentre l’AGCM aveva determinato la sanzione nella misura del 3% del fatturato dell’impresa, applicando poi un abbattimento del 20%, il T.a.r. la ha determinata nella misura del 2% del fatturato, e successivo abbattimento del 20%, così pervenendo ad una sanzione di 192.000 euro.

4. Ha proposto il presente appello l’originaria ricorrente, ritualmente e tempestivamente notificato e depositato.

Si è costituita l’AGCM per opporsi all’accoglimento dell’appello.

5. Con il ricorso di appello vengono riproposti i motivi del ricorso di primo grado e sono formulate motivate critiche alla sentenza, cui si contesta di aver condiviso la tesi dell’AGCM senza cogliere nel segno la portata delle censure sollevate.

6. Con il primo motivo d’appello si ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado (da pag. 47 a pag. 68 dell’atto di appello).

6.1. In sintesi, ci si duole che l’AGCM abbia circoscritto il mercato rilevante al porto di Livorno, laddove il mercato rilevante sarebbe costituito anche da tutti i porti contigui del centronord d’Italia, che sarebbero in relazione di sostituibilità con quello di Livorno.

L’AGCM avrebbe operato tale delimitazione in contraddizione con la propria precedente indagine conoscitiva sui servizi portuali conclusa il 16 ottobre 2007 e con propri precedenti provvedimenti, in cui ha adottato il criterio della continuità geografica, affermando che porti collocati ad una distanza non superiore ai 200300 km. costituiscono un unico mercato. Tale criterio, che parte appellante assume costantemente seguito dall’AGCM in una copiosa serie di precedenti, avrebbe una valenza di autolimitazione vincolante.

L’AGCM prima, e il T.a.r. dopo, non avrebbero tenuto in conto che per delimitare il mercato rilevante occorrerebbe valutare le caratteristiche della domanda, e sotto tale profilo gli operatori economici potrebbero fungibilmente rivolgersi ad una pluralità di porti, tra cui, oltre Livorno, anche La Spezia, Genova, Savona, Ravenna, Venezia e Trieste, che avrebbero dotazioni infrastrutturali simili, e a tali porti nella pratica si rivolgono gli operatori in relazione al carico e scarico delle merci verso e da il centro nord d’Italia.

Tanto emergerebbe dalla "relazione LEAR" prodotta in giudizio (documento 5 della produzione di primo grado di parte ricorrente), da cui si evincerebbe che sia le merci in entrata nel porto di Livorno, sia quelle in entrata negli altri porti sopra indicati, sarebbero egualmente destinate a tutte le regioni del centro nord.

In particolare non sarebbero convincenti gli argomenti dell’AGCM, in base ai seguenti rilievi:

– che nel periodo 20032007 vi siano stati in concreto solo pochi spostamenti degli operatori tra il porto di Livorno e altri porti, sarebbe ininfluente, in quanto non rileverebbe la sostituzione di un porto con un altro, ma l’astratta sostituibilità;

– che alcuni vettori marittimi facciano scalo sia a Livorno che a Genova non comproverebbe l’infungibilità dei due porti, tanto più che l’AGCM avrebbe considerato il comportamento di un unico operatore;

– che i containers più alti possano essere scaricati solo a Livorno e non a Genova a causa delle caratteristiche della linea ferroviaria ligure, riguarderebbe al più l’infungibilità della linea ferroviaria e il solo settore del carico e scarico dei containers che superano certe dimensioni, dimensioni peraltro non meglio specificate dall’AGCM;

– che nonostante l’intesa restrittiva l’operatore leso non abbia cambiato porto, non comprova l’infungibilità, dovendosi prima dimostrare che l’intesa restrittiva vi sia stata.

L’aumento dell’estensione del mercato geografico rilevante, costituito oltre che dal porto di Livorno, anche dagli altri sopra indicati, determinerebbe che il grado di offensività della presunta intesa sarebbe inidoneo a falsare la concorrenza.

Il T.a.r. si sarebbe limitato ad una "pedissequa conferma" della tesi dell’AGCM, omettendo quel "sindacato pieno" che la giurisprudenza del Consiglio di Stato consente e impone al giudice in tema di mercato rilevante, e pertanto incorrendo nel vizio di omessa pronuncia.

In particolare il T.a.r. avrebbe del tutto ignorato le risultanze della relazione LEAR.

7. La censura va disattesa.

7.1. In diritto, va premesso che per mercato rilevante si intende quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 9 aprile 2009 n. 2206, ATC La Spezia; Cons. St., sez. VI, 12 febbraio 2001 n. 652, Vendomusica; Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2000 n. 1348, Italcementi).

In linea con quanto indicato nella Comunicazione della Commissione europea sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza (Gazzetta Ufficiale n. C 372 del 9 dicembre 1997), l’area nella quale determinate imprese concorrenti forniscono e acquistano prodotti e servizi è connotata da condizioni di concorrenza sufficientemente omogenee ed è distinguibile pertanto dalle zone geografiche contigue in considerazione delle differenti condizioni di concorrenza che è consentito registrare tra l’una e le altre.

Alla stregua del metodo indicato dalla Commissione nel perimetrare il mercato geografico, la sua estensione va dapprima definita tenendo conto delle indicazioni di massima relative alla distribuzione delle quote di mercato delle parti e dei loro concorrenti nonché alla stregua di una prima analisi della politica dei prezzi e delle differenze di prezzo a livello nazionale o della Comunità; quindi, occorre verificare quanto emerso sulla scorta degli elementi indicati scandagliando le caratteristiche della domanda (tra cui, in specie, l’importanza delle preferenze nazionali o locali, le abitudini d’acquisto correnti dei consumatori, differenziazione e marche dei prodotti, altri fattori), al fine di verificare se le imprese operanti in aree diverse costituiscano realmente una fonte alternativa di approvvigionamento per i consumatori.

Come è noto, la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale applicazione delle norme ai fatti implica un’operazione di "contestualizzazione" delle norme, frutto di una valutazione giuridica complessa che adatta concetti giuridici indeterminati, quale il "mercato rilevante" e "l’abuso di posizione dominante" al caso specifico.

Non di rado tale operazione di contestualizzazione implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di dette nozioni.

Il giudice amministrativo in relazione ai provvedimenti dell’AGCM esercita un sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto, deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le norme giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate In tale verifica il sindacato del giudice è pieno, nel senso che il giudice controlla l’analisi computa dall’Autorità per verificarne la correttezza. Peraltro, laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione del mercato rilevante, se questa sia immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, da vizi di violazione di legge (Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199, Rc Auto; Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2004 n. 926, buoni – pasto).

E’ bensì vero che il mercato di riferimento deve comunque essere costituito da una parte "rilevante" del mercato nazionale e di regola non può coincidere con una qualsiasi operazione economica; tuttavia anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a "mercato rilevante", ove in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui, e quindi esista una concorrenza suscettibile di essere alterata.

In definitiva, l’individuazione del mercato rilevante, richiedendo un’operazione di contestualizzazione, ha una validità casistica, implicando un accertamento caso per caso.

Nell’ipotesi di intese restrittive, la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso: vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito (Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2006 n. 1271 Telecom Italia).

7.2. Da quanto esposto consegue, con riferimento al caso di specie, anzitutto, che i criteri fissati dall’AGCM nell’indagine conoscitiva sui servizi portuali hanno solo una valenza esemplificativa, e non di autolimitazione vincolante in tutti i casi in cui si debba indagare su illeciti anticoncorrenziali commessi nel settore portuale.

Sicché, anche i precedenti provvedimenti adottati dall’AGCM in tema di illeciti anticoncorrenziali nel settore portuale non possono essere presi in considerazione per dedurne una contraddittorietà di comportamento o una disparità di trattamento, essendo diversi i casi concreti.

E’ sufficiente osservare che nel caso specifico la delimitazione del mercato rilevante si basa su una corretta ricostruzione dei fatti ed è immune da vizi di illogicità o irragionevolezza (v. parr. 8188 del provvedimento impugnato).

7.3. I dati valutati dall’AGCM (e in particolare le circostanze (i) che solo il porto di Livorno, insieme a quello di La Spezia, è idoneo per il carico e lo scarico di containers che superino certe dimensioni, in considerazione delle caratteristiche delle vicine infrastrutture ferroviarie idonee, (ii) che sul versante della domanda, il porto di Livorno è quello maggiormente utilizzato per le merci provenienti dalla Toscana, (iii) che in fatto taluni vettori marittimi fanno scalo sia a Livorno che a Genova a riprova della non sostituibilità dei porti di Livorno e Genova) sono sufficienti a far considerare mercato rilevante, nel caso specifico, il solo porto di Livorno.

La correttezza del ragionamento non è scalfita né dalla "relazione LEAR", che può essere qualificata come una consulenza tecnica di parte, né dagli argomenti dedotti con l’appello.

Si è già osservato in diritto che, quando il margine di opinabilità del concetto giuridico indeterminato residui nonostante una corretta ricostruzione in fatto e in diritto, la diversa valutazione tecnica della parte o del giudice non può sostituire quella compiuta dalla pubblica amministrazione.

E’ quanto accade nel caso di specie, in cui i dati di fatto posti a base della valutazione dell’Autorità e della relazione LEAR sono omogenei, ma ne differisce l’apprezzamento critico.

La stessa relazione LEAR conferma alcuni dati utilizzati dall’Autorità, e cioè che:

– la principale destinazione delle merci in entrata nel porto di Livorno (79%) è la Toscana;

– la maggior parte delle merci in uscita dal porto di Livorno (64%) proviene dalla Toscana;

– la maggior parte delle compagnie che operano su tratte intercontinentali servono contemporaneamente il porto di Livorno e i porti liguri (soprattutto Genova e La Spezia e in minor numero Savona).

A fronte di tali dati di fatto non contestati, parte appellante e la relazione LEAR pretendono trarne la conclusione opposta a quella tratta dall’AGCM, vale a dire la sussistenza di una relazione di sostituibilità tra i porti.

Ma tale risultato non può essere ammesso, perché la conclusione che l’AGCM trae da tali dati di fatto non contestati, in termini di insostituibilità del porto di Livorno, è pienamente logica e condivisibile.

Infatti, se la regione Toscana è la principale destinataria delle merci in entrata nel porto di Livorno (per una percentuale del 79%) ed è la principale mittente delle merci in uscita dal porto di Livorno (per una percentuale del 66%), se ne evince un forte argomento per sostenere che Livorno non è sostituibile con altri porti del centro nord se non sostenendo maggiori costi economici di trasporto, e sotto tale profilo non può essere atomisticamente considerato il solo trasporto marittimo e i soli costi di carico e scarico nei porti (che possono anche essere equivalenti), ma anche i costi del trasporto terrestre e ferroviario, che si rende necessario per far giungere a destinazione le merci in entrata e in uscita.

7.4. Non reggono, pertanto, gli argomenti addotti dall’appellante, che possono essere agevolmente confutati:

– che nel periodo 20032007 vi siano stati in concreto solo pochi spostamenti degli operatori tra il porto di Livorno e altri porti, lungi dall’essere ininfluente, è un dato indiziario rilevante, perché la mancanza concreta di sostituzioni di un porto con un altro significa che per gli operatori economici non vi è una relazione di indifferenza tra un porto ed un altro;

– che alcuni vettori marittimi fanno scalo sia a Livorno che a Genova comprova l’infungibilità dei due porti, perché diversamente sarebbe più semplice fare scalo in un porto solo; evidentemente i costi e le complicazioni organizzative del connesso trasporto terrestre e ferroviario sono tali che gli operatori preferiscono un doppio scalo;

– che l’AGCM abbia considerato il comportamento di un unico operatore è smentito dalla stessa relazione LEAR, in cui si afferma testualmente che la maggior parte delle compagnie che operano su tratte intercontinentali servono contemporaneamente il porto di Livorno e i porti liguri (soprattutto Genova e La Spezia e in minor numero Savona);

– che i containers più alti possano essere scaricati solo a Livorno e non a Genova a causa delle caratteristiche e inidoneità della linea ferroviaria ligure, non è irrilevante, perché la scelta del porto di carico e scarico è influenzata non solo dalle caratteristiche in sé dell’infrastruttura portuale, ma anche dalle caratteristiche e costi delle connesse infrastrutture stradali e ferroviarie;

– né può dirsi che al più bisognerebbe avere riguardo ai soli containers che superano certe dimensioni per affermare una relazione di insostituibilità, perché il vettore marittimo verosimilmente trasporta contestualmente containers aventi una pluralità di dimensioni, e dunque si rivolge per tutti al porto più idoneo in relazione ad una sola tipologia, non apparendo una razionale scelta economica scaricare in porti diversi in funzione della tipologia del container, se un unico carico riguarda una pluralità di tipi.

8. Con il secondo motivo di appello si ripropongono il secondo e terzo motivo del ricorso di primo grado (da pag. 68 a pag. 86 dell’atto di appello) e si osserva che la sentenza sarebbe ancora una volta viziata per omessa pronuncia.

8.1. Per comprendere la portata delle censure, è necessario descrivere in cosa è consistita, per l’AGCM, l’intesa restrittiva della concorrenza.

Secondo l’AGCM, TDT e S. avrebbero posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza avente per oggetto il coordinamento dei propri comportamenti nei confronti di C. C. S. s.p.a. (d’ora innanzi CCL).

In particolare, "l’intesa si è concretizzata a partire dal novembre 2006, allorquando TDT e S. hanno mutato, mediante concertazione, il quadro delle trattative rispetto alla fase precedente, in cui CCL era riuscita ad ottenere quotazioni progressivamente migliori dai due potenziali fornitori dei servizi da essa domandati"; "le riduzioni di prezzo verso cui CCL stava spingendo TDT e S. avrebbero avuto ripercussioni anche nei rapporti delle due imprese portuali con le altre compagnie di navigazione che domandano servizi di movimentazione di container nel porto di Livorno".

Per effetto dell’intesa, ha soggiunto l’Autorità nelle proprie valutazioni, CCL ha pagato i servizi (tuttora pagati da H. Sud, acquirente del ramo d’azienda comprendente il contratto con S.) "a livelli di prezzo che sono nettamente superiori a quelli che si andavano delineando nella fase di trattativa anteriore al 15 novembre 2006 e superiori anche ai prezzi del contratto in essere nel 2006 ed in scadenza il 31 gennaio 2007, che costituiva il punto di partenza della trattativa, rispetto al quale CCL era riuscita ad ottenere, prima del 15 novembre, quotazioni progressivamente migliori".

La prova dell’intesa viene desunta dall’AGCM dai seguenti elementi di fatto:

a) vi sarebbe stato un comportamento parallelo di TDT e S. nell’ultima fase della trattativa delle due società con il proprio potenziale cliente CCL;

b) il "parallelismo di comportamentò è stato conseguente, come ammesso dalle parti, ad un loro contatto, consistito, secondo la ricostruzione dei fatti da esse fornita, in un incontro in un bar di Livorno, avvenuto nel primo mattino del giorno 15 novembre, tra l’Amministratore delegato di TDT ed un componente del Comitato esecutivo di S.;

c) "il comportamento conseguente all’incontro si è tradotto nelle emails con cui sia TDT che S., lo stesso 15 novembre 2006, a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, hanno comunicato a CCL l’interruzione delle trattative ed il ritiro delle offerte precedenti. Entrambe le parti, poi, quasi immediatamente, hanno inoltrato l’una all’altra le comunicazioni inviate a CCL’;

d) conclude l’Autorità che "in tal modo è stato posto in essere un preciso meccanismo di concertazione, con reciprocità di comunicazioni, informazioni e segnali tra TDT e S., in merito ai rispettivi rapporti con CCL: dopo la comunicazione effettuata da TDT a CCL circa il ritiro delle proprie offerte e l’inoltro di tale comunicazione a S. per informarla di quanto comunicato a CCL, S. ha tenuto un comportamento del tutto speculare, inoltrando a TDT la comunicazione del ritiro delle proprie offerte a CCL’;

d) "anche il primo comportamento di TDT e di S. nei confronti di CCL successivo al 15 novembre è stato parallelo: sia TDT che S., invitate da CCL, con comunicazioni del 17 novembre, a formulare una nuova offerta entro il 24 novembre, non hanno risposto entro tale data. Tale comportamento parallelo non è spiegabile altrimenti che con la concertazione. In mancanza di quest’ultima, infatti, sia dal punto di vista di TDT che da quello di S., la mancata risposta avrebbe determinato il rischio della conclusione di un contratto tra CCT e l’altra impresa portuale, laddove ciascuna delle due imprese portuali conservava, come più volte affermato, l’interesse ad avere come cliente CCL, a meno che non fosse in atto una vera e propria assegnazione concordata di tale cliente ad una delle due. La consapevolezza di TDT e S., dopo il 15 novembre, che non vi sarebbe più stata una reciproca competizione per la domanda espressa da CCL è testimoniata dai livelli di prezzo delle offerte successive, nettamente più elevati non solo rispetto allo stato delle trattative a cui si era pervenuti anteriormente, ma anche rispetto al punto di partenza delle stesse, rappresentato dal contratto in essere tra CCL e S.".

Per quanto attiene all’assenza di spiegazioni convincenti sulla razionalità della condotta posta in essere dall’imprenditore, il provvedimento ha rilevato, al par. 109, che "non è plausibile, in un’ottica di razionalità economica, che un operatore, nel corso di un incontro casuale con un proprio concorrente, gli fornisca unilateralmente informazioni circa la propria condotta commerciale futura, poiché in tal modo gli conferirebbe un evidente vantaggio competitivo", mentre "al contrario, nell’ambito di un incontro specificamente programmato per discutere una linea comune, la comunicazione da parte di TDT della propria intenzione di abbandonare le trattative sarebbe stata coerente con l’esigenza di ricevere rassicurazioni circa la volontà del concorrente di fare altrettanto", atteso che "un preciso coordinamento in tal senso… avrebbe garantito ad entrambe le imprese, indipendentemente da quale di esse si sarebbe poi assicurata la commessa, il rialzo delle quotazioni applicate, con l’evidente, reciproco vantaggio di non dare al mercato un segnale "negativò di abbassamento dei prezzi".

Ancora, al par. 110, l’Autorità evidenzia che "se S., come affermato dalle Parti, avesse inteso manifestare a TDT l’intenzione di intraprendere nei suoi confronti azioni legali, per indurla a rivedere le offerte, avrebbe verosimilmente proposto un incontro, senza attendere l’incerto verificarsi di un incontro casuale" e che "l’asserito carattere casuale dell’incontro non fa escludere, comunque, l’esistenza dell’intesa".

Ancora, nel par. 114 del provvedimento è affermato che "anche ammesso che il timore di un’azione legale ad opera di S. spieghi la decisione di TDT di comunicare a S. la revoca delle proprie precedenti offerte a CCL, esso comunque non spiegherebbe il comportamento speculare di S." in quanto "la simmetrica comunicazione di S. a TDT circa l’avvenuto ritiro delle proprie offerte a CCL trova quale unica giustificazione razionale la volontà di rassicurare il proprio concorrente in merito all’intenzione di riprendere le successive trattative a prezzi più elevati" e l’Autorità ha in ogni caso rilevato "che le imprese le quali ritengono di poter sostenere l’illiceità del comportamento di un concorrente non sono legittimate a fare leva sul presunto comportamento illecito altrui per pervenire alla realizzazione di intese restrittive della concorrenza".

8.2. A tale ricostruzione dei fatti e alla conseguente qualificazione giuridica operata dall’AGCM, parte appellante obietta che:

a) dalla relazione LEAR si evincerebbe che le migliori offerte presentate dalle parti prima del 15 novembre 2006 sarebbero sotto costo, il che consentirebbe di escludere l’esistenza ontologica dell’intesa sotto il duplice profilo della carenza della volontà collusiva e della carenza dell’oggetto anticoncorrenziale;

b) sarebbe logico e razionale che TDT abbia ritenuto di abbandonare le trattative con CCL, informandone contestualmente S., essendo quest’ultimo adempimento finalizzato a tranquillizzare S. inducendola a rientrare dall’annunciato proposito di avviare un contenzioso per concorrenza predatoria; né rileverebbe il gado di fondatezza dell’azione legale, in disparte la considerazione che l’azione sarebbe stata fondata essendo TDT un operatore in posizione dominante, sicché i prezzi predatori, sotto costo, da essa praticati, avrebbero concretato l’abuso anticoncorrenziale e la concorrenza sleale;

c) se logica e razionale è la condotta di TDT, ne consegue che, mancando uno dei soggetti parti dell’intesa, verrebbe a mancare la stessa intesa;

d) S., d’altra parte, sarebbe uscita dalle trattative con CCL perché anch’essa si sarebbe sentita vittima dello stesso "gioco al massacro", avendo formulato offerte sottocosto, per cui sarebbe stata animata dall’intento di operare una reazione "intelligente" al comportamento della concorrente;

e) se anche, e in subordine, non si volesse qualificare la reazione di S. in termini di "reazione intelligente", non per questo potrebbe essere qualificata come frutto di volontà collusiva; secondo quanto dimostrato dalla c.d. finanza comportamentale, nelle scelte negoziali vengono spesso posti in essere comportamenti meramente emulativi, intesa qui l’emulatività nel senso di copia acritica di condotte altrui in una logica di gregge (c.d. herding behaviour), aventi una base totalmente irrazionale;

f) in ogni caso il parallelismo delle condotte, frutto di herding behaviour, non sarebbe frutto di volontà collusiva;

g) comunque la pratica concordata richiede comportamenti ripetuti e non episodici, uniformi e paralleli, laddove nel caso di specie si è trattato di un episodio isolato (un unico casuale incontro al bar), e dunque l’AGCM non sarebbe stata in grado di corroborare la prospettazione per cui l’incontro al bar del 15 novembre 2006 con il conseguente scambio di e mail avrebbe rappresentato l’inizio di un meccanismo di compiuta concertazione tra S. e TDT, avuto riguardo ai fatti antecedenti e successivi all’incontro;

h) inoltre l’intesa sarebbe insussistente per carenza dell’oggetto anticoncorrenziale: la "III offerta 2006" di TDT, avente ad oggetto prezzi dichiaratamente sottocosto, avrebbe dovuto condurre l’Autorità a sospettare l’esistenza di un abuso di posizione dominante oltre che di concorrenza sleale da parte di detta Società, con la conseguenza che l’offerta avrebbe dovuto ritenersi antigiuridica ed estranea ad una logica di corretta dinamica concorrenziale e non potrebbe essere posta a parametro di valutazione dell’oggetto dell’intesa;

i) l’analisi dei costi compiuti dall’AGCM sarebbe affetta da vizi logici in quanto il prezzo poi effettivamente pagato dal vettore per il carico e lo scarico dei containers viene confrontato, per dimostrarne l’aumento rispetto al precedente contratto, con prezzi offerti sotto costo; se invece si considera il prezzo nel precedente contratto in scadenza, il decorso del tempo e l’andamento dell’inflazione, si desumerebbe che l’aumento del 5% del prezzo del nuovo contratto rispetto al precedente, è in buona parte dovuto all’inflazione.

9. Lati cesnure sono infondate.

9.1. In diritto, giova premettere che l’art. 2, l. n. 287/1990, punisce, come illecito anticoncorrenziale, le intese che hanno come scopo, oggetto od effetto la restrizione della concorrenza sul mercato nazionale o su una sua parte rilevante.

Le intese di cui all’art. 2 possono estrinsecarsi in accordi espressi, o in pratiche concordate, o in deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.

Mentre la fattispecie dell’accordo ricorre quando le imprese hanno espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza (C. giust. CE 8 luglio 1999 C49/92P, Commissione c. Anic; C. giust. CE, 31 marzo 1993 C- 89, 104, 114, 116 – 117, 125 – 129/95; Trib. I grado Comunità europee, 15 marzo 2000 T25, 26, 3032, 3439/95; Cons. St., sez. VI, 20 marzo 2001 n. 1671; Cons. St., sez. VI, n. 926/2004, cit.).

I criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei principi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato; la suddetta esigenza di autonomia vieta rigorosamente che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (Trib. I grado Comunità europee, 15 marzo 2000 T- 25, 26, 3032, 3439/95).

L’intesa restrittiva della concorrenza mediante pratica concordata richiede comportamenti di più imprese, uniformi e paralleli, che appaiano frutto di concertazione e non di iniziative unilaterali.

Il concetto di "pratica" si riferisce a condotte di più soggetti, e implica dunque che:

– vi siano comportamenti di più imprese;

– talli comportamenti siano, per le varie imprese, uniformi e paralleli, quanto meno nella impostazione di fondo;

– i medesimi comportamenti appaiano il frutto non di iniziative unilaterali, ma di una concertazione;

– gli stessi siano insuscettibili di una spiegazione alternativa rispetto allo scopo anticoncorrenziale;

– gli stessi siano, normalmente anche se non necessariamente, reiterati nel tempo.

Se, di regola, nella pratica concordata i comportamenti si ripetono costantemente nel tempo, e non sono meramente episodici, tuttavia anche un singolo episodio non reiterato nel tempo può integrare un’intesa restrittiva, in quanto la mancata reiterazione dei comportamenti contestati non può di per sé sola precludere la configurazione in astratto della ipotizzata intesa anticoncorrenziale, atteso che la reiterazione dei comportamenti nel tempo costituisce un elemento indiziario dell’intesa, ma non assurge ad elemento costitutivo della stessa(Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2009 n. 2092).

Nella pratica concordata manca, o comunque non è rintracciabile da parte dell’investigatore, un accordo espresso, il che è agevolmente comprensibile, ove si consideri che gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti, e anche accordi verbali espressi, e ricorrendo invece a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto.

La giurisprudenza, consapevole della rarità dell’acquisizione di una prova piena (c.d. smoking gun o bleeding hand) ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano seri, precisi e concordanti.

Nella pratica concordata l’esistenza dell’elemento soggettivo della concertazione deve perciò desumersi in via indiziaria da elementi oggettivi, quali:

– la durata, uniformità e parallelismo dei comportamenti;

– l’esistenza di incontri tra le imprese;

– gli impegni, ancorché generici e apparentemente non univoci, di strategie e politiche comuni;

– i segnali e le informative reciproche;

– il successo pratico dei comportamenti, che non potrebbe derivare da iniziative unilaterali, ma solo da condotte concertate.

La giurisprudenza comunitaria e nazionale distingue tra parallelismo naturale e parallelismo artificiosamente indotto da intese anticoncorrenziali, sulla base di elementi di prova endogeni, ossia collegati alla stranezza intrinseca delle condotte accertate e alla mancanza di spiegazioni alternative, nel senso che, in una logica di confronto concorrenziale, il comportamento delle imprese sarebbe stato sicuramente o almeno plausibilmente diverso da quello riscontrato, o sulla base di elementi di prova esogeni, ossia di riscontri esterni circa l’intervento di un’intesa illecita al di là della fisiologica stranezza della condotta in quanto tale (Cons. St., sez. VI, 17 gennaio 2008 n. 102, Prezzo del latte per l’infanzia).

La differenza tra le due tipologie di elementi di prova risiede nel soggetto sul quale ricade l’onere della prova: nel primo caso la prova dell’irrazionalità delle condotte grava sull’Autorità, nel secondo gaso l’onere probatorio contrario viene spostato in capo all’impresa.

Deve per completezza osservarsi che nella logica dell’art. 2, l. n. 287/1990, la nozione di "intesa" è oggettiva e tipicamente comportamentale anziché formale, avente al centro l’effettività del contenuto anticoncorrenziale ovvero l’effettività di un atteggiamento comunque realizzato che tende a sostituire la competizione che la concorrenza comporta con una collaborazione pratica (Cass., sez. I, 1 febbraio 1999 n. 827; Cons. St., VI, 20 marzo 2001 n. 1671).

Sotto il profilo dell’onere probatorio, va rilevato che in presenza di un sistematico scambio di informazioni tra imprese, in relazione alle quali vi sono ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese indagate l’onere probatorio di una diversa spiegazione lecita delle loro condotte (C. giust CE, 8 luglio 1999 C49/92, Anic; Cons. St., sez. VI, n. 926/2004, cit.).

9.2. Ciò premesso in diritto, il Collegio ritiene che nel caso di specie è corretta la ricostruzione dell’Autorità in tema di intesa restrittiva e che gli elementi raccolti superano il test del complesso indiziario grave, preciso e concordante.

Per converso, la condotta di S. non supera il test della spiegazione alternativa lecita, non rinvenendosi un’oggettiva giustificazione economica o giuridica di essa.

La ricostruzione offerta dall’appellante è parcellizzata e non tiene conto, come è invece doveroso, del quadro complessivo (Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2007 n. 6469, Lottomatica/Sisal: la tecnica difensiva consistente nel soppesamento parcellizzato del valore probatorio dei singoli indizi deve cedere il passo all’apprezzamento organico della valenza propria del complesso indiziario raccolto).

9.3. Non appare verosimile, in particolare, la ricostruzione alternativa offerta dall’appellante, atteso che:

a) è dubbio che un’impresa che intende proporre un’azione legale nei confronti di un’impresa concorrente glielo annunci in un incontro casuale in un bar;

b) è anche dubbio che operatori economici in concorrenza tra loro parlino in un incontro casuale al bar delle offerte ricevute da un comune aspirante cliente, e discutano della condotta da tenere;

c) è ancor più dubbio che a un incontro "casuale" in un bar seguano con immediatezza temporale puntuali decisioni imprenditoriali che ordinariamente richiedono tempo;

d) è altresì dubbio che operatori economici in concorrenza tra loro si sentano in dovere di comunicarsi reciprocamente le scelte imprenditoriali fatte nei confronti di un comune potenziale cliente.

9.4. Appare pertanto convincente la ricostruzione proposta dall’AGCM, ancorché basata su un quadro indiziario, che tuttavia presenta elementi di gravità, univocità e concordanza.

E’ plausibile che:

– l’incontro al bar non sia stato casuale ma frutto di un appuntamento avente per oggetto la condotta da tenere nei confronti del comune potenziale cliente;

– durante tale incontro è stata decisa una linea strategica comune, ossia la concertazione;

– all’incontro e alla decisione comune ha fatto immediato seguito l’attuazione della decisione comune, da parte di ciascun operatore, attuazione consistita nell’invio di emails pressoché contestuali al cliente, di contenuto analogo, con cui si comunica l’interruzione delle trattative;

– le emails inviate da ciascuna impresa al cliente sono state reciprocamente scambiate, ossia inviate per conoscenza al concorrente, al fine di confermarsi reciprocamente l’avvenuta attuazione della linea concertata;

– le successive condotte sono state consequenziali, perché entrambe le imprese non hanno risposto ad una successiva proposta fatta ad entrambe dal potenziale cliente.

9.5. Neppure è plausibile la tesi di parte appellante che mira a giustificare l’interruzione delle trattative sulla scorta di due elementi:

a) il timore, per l’operatore dominante, di incorrere in un’azione legale da parte di S.;

b) l’essere i prezzi offerti sotto costo e come tali insostenibili.

In relazione al primo elemento, secondo quanto dedotto dalla stessa S., un’azione per concorrenza sleale in caso di prezzi sottocosto è proponibile anche nei confronti di un operatore in posizione non dominante; se è così, è implausibile che in occasione dell’incontro S. abbia minacciato azione legale a TDT, perché quest’ultima avrebbe potuto fare altrettanto nei confronti di S..

In ogni caso, ove anche tale minaccia vi fosse stata, e avesse avuto il successo che parte appellante vi ricollega, vale a direl’immediato ripensamento di TDT, non è comunque un comportamento razionale quello di S., che a fronte del recesso di TDT dalla trattativa, avrebbe avuto campo libero con il potenziale cliente, per rinnovare il contratto e invece recede a sua volta dalla trattativa.

Non è plausibile che il recesso dalla trattativa sia imputabile all’insostenibilità del prezzo offerto perché non si comprende la ragione per cui un operatore economico razionale avrebbe dovuto offrire un prezzo insostenibile salvo poi a ripensarci in concomitanza con il ripensamento di un operatore concorrente.

Non si può pertanto ritenere che il recesso dalle trattative sia stato mosso da un intento "difensivo" dei propri interessi commerciali in quanto:

– la proposta di un cliente, che chiede di ottenere un prezzo più basso, non obbliga all’accettazione, e dunque S. ha liberamente scelto di offrire un prezzo basso, senza potersi perciò dolere di essere stata vittima di un gioco al massacro, gioco a cui avrebbe potuto ab initio non prestarsi;

– il recesso repentino a trattativa in corso e la mancata risposta a successiva offerta non si connota come condotta difensiva ma come condotta offensiva.

9.6. Neppure si può ritenere che il recesso dalla trattative da parte di S. sia stato frutto di herding behaviour. Invero, la teorica del "comportamento del gregge" descrive come gli individui in un gruppo possono agire insieme senza una direzione pianificata, e pertiene alla condotta umana durante eventi e attività quali bolle dei mercati finanziari, dimostrazioni di piazza, eventi sportivi, raduni religiosi, episodi di violenza di massa e assunzione di decisioni, o formazione di opinioni della vita quotidiana.

La teorica si riferisce pertanto alla condotta di massa di singoli individui, o piccoli investitori, id est soggetti di cultura e diligenza medio – bassa, con poco senso critico, e pertanto particolarmente influenzabili dalle opinioni espresse vuoi dagli altri componenti del gruppo, vuoi dai massmedia, vuoi da un soggetto a torto o a ragione considerato dalla massa un capo carismatico.

Non sembra che la teorica possa attagliarsi per spiegare il processo di decision making di un imprenditore professionale, ossia un soggetto che ha o dovrebbe avere diligenza, accortezza e senso critico in misura superiore alla media. Per di nel caso di specie manca il presupposto di fatto essenziale dell’esservi, nell’ambito del porto di Livorno, "un gregge", discutendosi della condotta di due soli imprenditori professionali.

9.7. Va poi considerato che se anche fosse in astratto provato che i prezzi offerti erano troppo bassi, questo avrebbe giustificato decisioni unilaterali di ciascun concorrente, e non un recesso concordato e contestuale dalle trattative. Un conto è infatti, come già visto, un parallelismo di condotte che si riscontra in concreto ed ex post in via di mero fatto e che non è frutto di concertazione, un conto è il parallelismo concertato ex ante, come è accaduto nella specie.

9.8. Quando alle censure relative all’assenza di comportamento costante e reiterato, si è già rilevato che, secondo il condivisibile orientamento della Sezione, se, di regola, nella pratica concordata i comportamenti si ripetono costantemente nel tempo, e non sono meramente episodici, tuttavia anche un singolo episodio non reiterato nel tempo può integrare un’intesa restrittiva, in quanto la mancata reiterazione dei comportamenti contestati non può di per sé sola precludere la configurazione in astratto della ipotizzata intesa anticoncorrenziale, atteso che la reiterazione dei comportamenti nel tempo costituisce un elemento indiziario dell’intesa, ma non assurge ad elemento costitutivo della stessa(Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2009 n. 2092).

Nel caso di specie, poi, è stata comunque posta in essere una pluralità di condotte concomitanti: contatto al bar, invio al potenziale cliente di emails contestuali, scambio di emails tra le imprese concorrenti, successiva condotta consequenziale e omogenea nei confronti dell’aspirante cliente.

9.9. Quanto alle censure in ordine agli effetti attribuiti dall’AGCM alla concertazione, ossia la stipulazione del nuovo contratto a prezzi più elevati, l’assunto di parte appellante secondo cui il prezzo ha subito solo un leggero aumento, se può essere in astratto condiviso (dovendosi avere come termine di paragone il prezzo del precedente contratto in scadenza), non incide sull’oggetto anticoncorrenziale dell’intesa, perché:

– TDT e S., dopo aver liberamente partecipato ad una trattativa in cui hanno offerto un prezzo più basso hanno inopinatamente interrotto tale trattativa, il che denota l’intento di impedire che il gioco della concorrenza portasse ad un prezzo più basso;

– l’esiguità dell’aumento del prezzo acquista piuttosto rilevanza in ordine agli effetti dell’intesa e rileva in sede di dosimetria della sanzione.

Sotto tale profilo sono del tutto convincenti gli argomenti addotti dall’AGCM in ordine all’oggetto anticoncorrenziale dell’intesa, nei parr. 119 e segg. del provvedimento: "con i contatti intercorsi le parti hanno eliminato o, quantomeno, ridotto fortemente l’incertezza reciproca circa il successivo comportamento commerciale nei confronti di CCL’ in quanto i contatti "sono stati tali da rendere le Parti consapevoli che le nuove trattative con CCL sarebbero state intavolate a livello di prezzo ben diversi da quelli della fase anteriore al 15 novembre"; "nel caso di conclusione di un contratto con CCL a prezzi significativamente diminuiti, vi sarebbero state, come affermato in audizione da TDT, ripercussioni negative sulle future contrattazioni con gli altri clienti, i quali avrebbero potuto pretendere prezzi analoghi", sicché il comportamento di CCL "scardinando l’equilibrio di mercato preesistente ha reso "necessarià la concertazione tra TDT e S. al fine di ripristinare artificialmente il precedente equilibrio ed evitare competizioni inutilmente costose".

In definitiva, è del tutto ragionevole ritenere che il parallelismo delle condotte "avrebbe garantito ad entrambe le imprese, indipendentemente da quale di esse si sarebbe poi assicurata la commessa, il rialzo delle quotazioni applicate, con l’evidente, reciproco vantaggio di non dare al mercato un segnale "negativò di abbassamento dei prezzi".

Pertanto, può senz’altro presumersi che, mentre il comportamento parallelo di TDT e S. ha avuto specificamente ad oggetto i rispettivi rapporti con CCL, la portata più generale dell’intesa si è concretata nell’evitare di fornire al mercato un segnale di abbassamento dei prezzi.

Ne consegue che sono immuni dai prospettati vizi di legittimità, le considerazioni conclusive dell’Autorità (par. 128), secondo cui "la restrittività dell’oggetto dell’intesa è data dal fatto che il coordinamento dell’azione di TDT e S. nei confronti di CCL, concretizzatosi il 15 novembre 2006, è stato volto ad interrompere le trattative per allontanarsi dai livelli di prezzo che si erano fino a quel momento delineati e che avrebbero potuto determinare riduzioni dei prezzi anche nei rapporti con gli altri clienti" e, in questo senso, "l’intesa è stata idonea a realizzare condizioni diverse da quelle che, in sua mancanza, sarebbero state normali nel mercato interessato".

10. Con il terzo motivo di appello viene riproposto il quarto motivo del ricorso di primo grado (da pag. 86 a pag. 103 dell’atto di appello), nella parte non già accolta dal T.a.r.

10.1. Infatti il T.a.r., con capo di sentenza che l’AGCM non ha contestato con appello incidentale, ha già escluso la qualificazione in termini di "molto grave" dell’intesa in considerazione dell’assenza di influenza di essa sui generali prezzi di mercato, della ristrettezza del mercato rilevante e del carattere istantaneo dell’intesa.

10.2. Lamenta in questa sede S. che la riduzione della sanzione operata dal T.a.r. non sarebbe pienamente satisfattiva, perché anche con l’operata riduzione la sanzione continuerebbe a non essere proporzionata.

Gli effetti anticoncorrenziali non si sarebbero prodotti non solo sul mercato, ma nemmeno in riferimento alla singola commessa, ossia al contratto successivamente stipulato, in data 19 febbraio 2007, tra CCL e S..

Alla luce della giurisprudenza comunitaria e della normativa nazionale, dovrebbe del tutto sfuggire a sanzione un accordo con oggetto restrittivo quando sia inverosimile che comporti effetti sensibili sul gioco concorrenziale, e quando, per l’effetto, manchi la consistenza della restrizione.

Nel caso di specie il contratto successivamente stipulato nel 2007 ha comportato, rispetto al precedente, un aumento del 5% che è al lordo del tasso di inflazione annuo verificatosi tra il 2006 e il 2007 pari a circa il 3,4%

Ove, poi, il contratto fosse stato ritenuto troppo oneroso da CCL, la medesima avrebbe potuto esercitare il diritto di recesso contrattualmente previsto. Il ritiro della denuncia di CCL dopo la cessione ad H. Sud del ramo d’azienda rilevante per il contratto con S., la piena accettazione da parte di H. Sud delle condizioni economiche pattuite tra CCL e S., l’aver dato corso all’esecuzione dell’accordo ed il mancato esercizio della facoltà di recesso, lungi dall’essere inconferenti, come ha ritenuto l’AGCM, sarebbero tutti elementi atti a dimostrare l’inesistenza di effetti dell’intesa.

Inoltre H. Sud in audizione davanti all’Autorità ha riconosciuto che nei rapporti con S. sono stati concordati termini e tariffe di mercato, circostanza ingiustamente non valorizzata dall’AGCM.

Alla luce di tali considerazioni la sanzione andrebbe o azzerata o ulteriormente ridotta.

Infine, erroneamente il T.a.r. non avrebbe tenuto conto delle circostanze attenuanti già dedotte in primo grado:

– l’intesa, ove provata, sarebbe connotata dall’elemento psicologico della colpa e non del dolo;

– il ruolo nell’intesa sarebbe stato marginale avuto riguardo al carattere istantaneo dell’illecito;

– S. avrebbe tenuto una condotta collaborativa con l’Autorità.

11. Le censure vanno respinte.

11.1. Sull’assenza di effetti anticoncorrenziali per il mercato si è già pronunciato, con statuizione passata in giudicato, il T.a.r.

11.2. Non può essere condivisa la tesi di parte appellante secondo cui l’intesa non avrebbe prodotto effetti nemmeno in relazione al singolo contratto stipulato tra S. e CCL, e ciò giustificherebbe l’azzeramento della sanzione.

Al fine della sussistenza dell’abuso è sufficiente l’oggetto e non anche l’effetto anticoncorrenziale, e inoltre nel caso specifico l’intesa aveva in astratto ed ex ante un potenziale effetto anticoncorrenziale, che non si è realizzato, verosimilmente, perché la tempestiva denuncia dei fatti presentata da CCL all’AGCM in data 20 marzo 2007, ha indotto le parti ad un ripensamento (il contratto è stato stipulato dopo la denuncia, in data 16 ottobre 2007).

Inoltre residua un altro effetto dell’intesa, ritenuto sussistente dal T.a.r. con affermazione non specificamente contestata dall’appellante, e cioè "la portata più generale dell’intesa si è concretata nell’evitare di fornire al mercato un segnale di abbassamento dei prezzi".

11.3. Non possono nemmeno essere invece tenute in considerazione le prime due circostanze attenuanti invocate dalla ricorrente in quanto:

– l’intesa non appare frutto di mera colpa, ma di dolosa concertazione;

– il carattere istantaneo dell’illecito è già oggetto di valutazione in sede di rideterminazione della sanzione base.

12. Consegue a quanto esposto il rigetto dell’appello.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in euro tremila.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese e onorari di lite in favore dell’Autorità appellata nella misura di euro tremila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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