Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-01-2011) 11-05-2011, n. 18542 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 12 giugno 2009 la Corte d’Appello di Roma, in ciò confermando la decisione assunta dal locale Tribunale (invece riformata in ordine ad altro reato), ha riconosciuto R. C. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della società Giordana s.r.l., della quale era stato amministratore unico.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, negli anni dal 1994 al 1998 il C., per soddisfare suoi bisogni personali, aveva distratto dall’attivo della società la somma complessiva di L. 49.000.000, contabilizzata nell’esercizio 1998 sotto la voce "compenso all’amministratore", senza che alcuna delibera sociale ne desse autorizzazione.

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’imputato, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo, articolato in tre censure, il ricorrente denuncia innanzi tutto contraddittorietà e illogicità della motivazione per essersi acceduto al giudizio di sproporzione della somma complessivamente prelevata rispetto a un congruo compenso all’amministratore, sebbene si dovesse tener conto della distribuzione dei prelievi in cinque anni, anzichè in un solo anno come contestato nel capo d’imputazione. Sotto altro profilo valorizza la collocazione temporale dei prelievi, di gran lunga anteriore al fallimento, in rapporto alla ed. zona di rischio penale. Contesta, da ultimo, che le somme siano state da lui attinte per far fronte a bisogni personali anzichè a titolo di compenso, tanto non potendosi evincere dalla deposizione del teste M., non intesa dalla Corte d’Appello nel suo reale significato.

Col secondo motivo, subordinato al precedente, il ricorrente propone la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 2621 c.c., evidenziando l’intervenuta prescrizione di tale reato.

Il ricorso è fondato nel primo motivo, con efficacia assorbente nei confronti del secondo.

In base al disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nella nuova formulazione introdottavi dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha chiarito, in molteplici sue decisioni, che il vizio deducibile in base alla norma suindicata è l’errore ed. revocatorio, cioè quello che, cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nel l’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (c.d. travisamento della prova).

Con riferimento alla menzionata disposizione il ricorrente denuncia col suo ricorso l’errore nel quale sarebbe incorso il giudice di merito con riferimento alla deposizione del teste M.I..

Ed, in effetti, il vizio denunciato è riscontrabile in base al raffronto fra la motivazione della sentenza impugnata e il tenore letterale della testimonianza, di cui la norma invocata consente la disamina per i limitati fini or ora chiariti.

Sostiene infatti la Corte d’Appello, nella parte motiva della sua sentenza, che "dalle dichiarazioni del teste M. si ricava che l’imputato prelevava le somme per i suoi bisogni personali e non tanto come compenso per la sua attività di amministratore…". Di tenore esattamente opposto è il testo della deposizione resa dal M., nella quale si legge: "…ho visto che negli anni precedenti non era mai stato iscritto in bilancio l’emolumento amministratore, anche perchè per quello che mi consta R. C. aveva come unica attività e comunque come unica fonte di reddito questa piccola attività commerciale che aveva, ovviamente traendo tutti i suoi mezzi di sussistenza da quella attività ogni anno prendeva un compenso amministratore".

Incontestata è poi la circostanza che il M., avendo rilevato le irregolarità contabili insite nella mancata registrazione dei prelievi per il titolo da lui indicato, abbia indotto il C. a darne conto con un’annotazione postuma; il che è di neutra valenza ai fini della responsabilità a titolo di bancarotta patrimoniale, in tale proiezione assumendo piuttosto decisivo rilievo la causale dei prelievi.

Sussiste, dunque, una assoluta inconciliabilità tra il significante della deposizione testimoniale ("ogni anno prendeva un compenso amministratore") e la percezione avutane dalla Corte di merito, col porre a base della decisione la diversa – ed anzi contraria – affermazione erroneamente attribuita al teste.

Il rilevato travisamento della prova, determinante per quanto dianzi osservato, vizia la decisione assunta e ne comporta l’annullamento.

Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Roma, sottoporrà a rinnovata vantazione l’intera vicenda, in esito ad una completa rivisitazione del materiale probatorio emendata dal vizio di cui sopra: a tal fine tenendo conto della necessità, ove i prelievi risultino effettuati dal C. a titolo di compenso quale amministratore, di valutarne la congruità in rapporto all’opera prestata e alle caratteristiche dimensionali dell’impresa.
P.Q.M.

LA CORTE annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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