Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-05-2011, n. 2914 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Attraverso il ricorso in appello in esame, notificato il 6.3.2006, si contestava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 171 del 19.1.2005, che non risulta notificata, con la quale venivano in parte respinti, in parte dichiarati improcedibili due ricorsi riuniti, riferiti ai dinieghi opposti a richieste di autorizzazione al lavoro di cittadini extracomunitari (provvedimenti della Direzione Provinciale del Lavoro di Arezzo nn. 2384 del 23.2.2004 e 7813 del 16.6.2004).

Nella citata sentenza si osservava come i dinieghi impugnati si fondassero, legittimamente, sull’art. 27, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 286/1998, concernente il temporaneo trasferimento di "lavoratori dipendenti, regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all’estero….al fine di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni, oggetto di contratto di appalto stipulato tra le… persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all’estero, nel rispetto delle disposizioni dell’art. 1655 del codice civile, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, delle norme internazionali e comunitarie".

Nella situazione in esame, le richieste riguardavano cittadini rumeni – da adibire a mansioni di autista per trasporti nazionali e internazionali – dipendenti della società D. Trasporti, con sede in Romania e richiesti dalla società D. I., che in un primo tempo noleggiava alla prima anche i mezzi di trasporto e a seguito di nuove intese contrattuali metteva, comunque, a disposizione tali mezzi per l’effettuazione del servizio.

I diversi, successivi dinieghi impugnati (da cui derivava l’improcedibilità del ricorso, proposto avverso il provvedimento antecedente) sarebbero stati, in ogni caso, emessi correttamente, non essendo "configurabile una prestazione determinata diversa dalla generica esecuzione di mere prestazioni di lavoro, mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore avente sede all’estero", con "successiva individuazione dei lavoratori da distaccare mediante accordi integrativi".

In sede di appello, avverso tali dinieghi venivano ribaditi i seguenti motivi di gravame:

1) mancata o erronea valutazione sul possesso dei requisiti, di cui all’art. 27, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 286/1998; carenza di motivazione, contraddittorietà e travisamento dei fatti, avendo il legislatore disciplinato in via generale (anche tramite l’art. 40 del D.P.R. 31.8.1999, n. 394) le ipotesi in cui può rendersi necessario, "…per la particolare attività lavorativa o per la presenza di accordi fra società italiane ed estere, autorizzare l’ingresso in Italia di lavoratori extracomunitari, per lo svolgimento di particolari attività lavorative espressamente predeterminate e limitate nella durata, giustificate da particolari esigenze imprenditoriali considerate meritevoli di tutela"; con il D.Lgs. n. 72/2000 (attuazione della Direttiva 96/71/CE, in materia di distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi) sono stati poi chiariti i presupposti dell’ingresso temporaneo in Italia di lavoratori dipendenti da una società extracomunitaria, "nell’ambito di un contratto concluso con una società italiana per la prestazione di servizi transnazionali", con particolare riguardo a lavoratori stranieri con qualifiche specializzate, nell’ambito di un contratto internazionale, con effettiva presenza presso l’azienda italiana dei lavoratori in questione e reale rapporto di dipendenza degli stessi da una ditta estera esistente, con ulteriore parere favorevole delle OO.SS. di categoria più rappresentative a livello locale: requisiti che sarebbero stati sussistenti nel caso di specie;

2) mancata o erronea valutazione sulla determinatezza della prestazione oggetto del contratto di appalto, carenza di motivazione e contraddittorietà, ove la succinta motivazione della sentenza dovesse intendersi riferita a non puntuale individuazione del servizio, dato in appalto dalla società italiana a quella straniera, dovendo al contrario ritenersi chiaro come la prestazione pattuita riguardasse l’esecuzione di trasporti commissionati dai clienti della D. I., tramite automezzi della medesima: i lavoratori impiegati, pertanto, avrebbero dovuto essere considerati come una "modalità organizzativa utilizzata dalla società rumena per tenere fede agli impegni assunti";

3) carenza assoluta di valutazione sulla mancata partecipazione al procedimento; violazione delle legge n. 241/1990, in quanto ogni incertezza in ordine alla prestazione di cui trattasi avrebbe potuto essere fugata attraverso l’apporto partecipativo della società interessata, con sostanziale disapplicazione della normativa vigente.

Le parti appellate, costituitesi in giudizio, resistevano formalmente all’accoglimento del gravame.

Premesso quanto sopra, il Collegio non può non rilevare che la situazione dell’appellante risulta mutata, dopo l’entrata in vigore del trattato di adesione della Romania all’Unione Europea, trattato ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 9.1.2006, n. 16, tanto da porre in dubbio la stessa persistenza di interesse attuale alla coltivazione dell’impugnativa, non essendo più applicabili ai cittadini romeni le disposizioni del T.U. in materia di immigrazione, approvato con D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 (cfr. in tal senso, per il principio, Corte Cost. 21.12.2007, n. 455 e Cass. civ., sez. I, 11.2.2005, n. 2869; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1.2.2008, n. 885 e 14.7.2008, n. 6756).

In considerazione tuttavia dell’interesse residuale, di tipo risarcitorio, ancora sussistente nella fattispecie (in relazione al periodo intercorrente fra l’emanazione dei provvedimenti impugnati – nel corso del 2004 – e la suddetta data di ingresso della Romania nell’unione Europea), il Collegio ritiene di doversi ugualmente pronunciare nel merito.

Non può non essere sottolineato, peraltro, che l’interesse residuale al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi può senz’altro, come nella situazione in esame, sorreggere un’azione di annullamento altrimenti improcedibile, per sopravvenuta inefficacia dell’atto impugnato: solo la ravvisata illegittimità di quest’ultimo – e la conseguente caducazione ex tunc del medesimo – giustificherebbe infatti il soddisfacimento della pretesa risarcitoria.

Non viene meno però il principio generale – riconducibile all’art. 100 c.p.c. – della necessaria sussistenza, per l’ammissibilità dell’azione, di un interesse concreto ed attuale, mai identificabile con il mero ripristino della legalità violata (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 12.11.2008, n. 5661; Cons. St., sez. V, 6.12.2007, n. 6252 e 20.5.2008, n. 2364); in tema di domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi (rientrante nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo a norma dell’art. 35, comma 1, del D.Lgs. 31.3.98, n. 80, come modificato dall’art. 7 della legge 21.7.2000, n. 205 – cfr. anche Cass. civ. SS.UU. 9.3.2005, ord. n. 5078) l’interesse attuale coincide pertanto con i presupposti, che la normativa e la giurisprudenza hanno individuato in materia: sussistenza del danno, nesso di causalità fra tale danno ed un atto illegittimo dell’Amministrazione e colpa di quest’ultima, da ricondurre in base alla costante giurisprudenza non a mera "inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline" (secondo la nozione recepita dall’art. 43 del codice penale), ma a violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili. Tenuto conto pertanto del principio generale, secondo cui "ignorantia legis non excusat", può ammettersi che l’errore sull’interpretazione delle norme sia, eccezionalmente, scusabile solo in presenza di oggettiva oscurità, sovrabbondanza o repentino mutamento delle norme stesse, ovvero di verificata sussistenza di contrasti interpretativi (cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 18.3.2004, n. 5; Cass. civ. sez. III, 9.2.2004, n. 2494; Corte Cost. 24.3.1988, n. 364; Cons. St., sez. IV, 14.6.2001, n. 3169).

Circa la prova della colpevolezza – che difficilmente, in base ai parametri indicati, può ritenersi "in re ipsa" – non può non tenersi conto della particolare dimensione della responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interessi legittimi, responsabilità che l’elaborazione giurisprudenziale rende non del tutto coincidente con quella aquiliana, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio di cui si discute) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione dell’interesse protetto di chi instauri un rapporto procedurale con l’Amministrazione al cosiddetto "giusto procedimento", che richiede competenza ed efficacia, quali ragionevoli parametri dell’azione amministrativa.

Quando, come nel caso di specie, la domanda di annullamento sia sorretta solo dall’interesse residuale al risarcimento del danno (essendo pacifica la sopravvenuta inefficacia dei dinieghi contestati), le censure prospettate a fondamento della domanda stessa debbono quindi trovare disamina conforme all’interesse in questione, con riferimento ai vizi che giustificherebbero il soddisfacimento della pretesa risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione.

Tenuto conto anche dell’ottica sopra indicata, le argomentazioni difensive prospettate non appaiono comunque meritevoli di accoglimento: nella situazione in esame, infatti, l’Amministrazione sembra essersi adoperata per evitare una sostanziale elusione della disciplina normativa di riferimento.

Detta disciplina (art. 27, comma 1, del D.Lgs. n. 286/1998) concerne i permessi di lavoro rilasciabili "in casi particolari", ovvero in ipotesi tassative derogatorie, rispetto alla regola fissata dall’art. 3, comma 4, del medesimo D.Lgs., in materia di politiche migratorie, nell’ambito delle quali sono previste l’individuazione di criteri generali a livello programmatico e la definizione annuale delle quote massime di stranieri, da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato (anche per esigenze a carattere stagionale, o per lavoro autonomo); la deroga che qui interessa (art. 27 comma 1 cit., lettera "i") è riferita ai dipendenti di persone fisiche o giuridiche straniere, che debbano effettuare in Italia "determinate prestazioni", con retribuzione corrisposta dal datore di lavoro straniero, che abbia in tal senso assunto impegni contrattuali con persone fisiche o giuridiche residenti in Italia. Appare del tutto ragionevole, in effetti, che – ove imprese straniere debbano effettuare prestazioni lavorative in Italia, tramite personale che resti alle dipendenze delle medesime – non entrino in discussione le regole poste per disciplinare l’assorbimento, da parte del mercato nazionale, di lavoratori extracomunitari.

Nella situazione in esame, tuttavia, le autorizzazioni richieste all’Amministrazione appellata riguardavano, in un primo tempo, un servizio di trasporto che appariva subappaltato ad una ditta straniera, il cui personale sarebbe solo saltuariamente transitato in Italia, su automezzi noleggiati dalla ditta Italiana, tanto da non potersi parlare di prestazioni rese a quest’ultima sul territorio nazionale; in base a successivi accordi, viceversa, era la società italiana a presentarsi come ditta trasportatrice, con propri automezzi, ma con personale messo a disposizione dalla ditta estera: anche tale modalità di effettuazione della prestazione in Italia, tuttavia, appariva non coincidente con il tenore letterale e la "ratio" della norma, di cui si chiedeva l’applicazione. Quest’ultima, infatti, disciplina ipotesi di prestazioni effettuate in Italia da personale straniero, non destinato a coprire fabbisogni stabili di manodopera dei soggetti richiedenti (fabbisogni, con ogni evidenza, da soddisfare con le modalità e nei limiti, corrispondenti alle quote stabilite annualmente nel cosiddetto decreto flussi, ai sensi dell’art. 3, comma 4 del più volte citato D.Lgs. n. 286/1998), o comunque in possesso di specializzazioni peculiari (personale altamente specializzato, lettori o professori universitari, artisti, giornalisti, atleti, ovvero – per quanto qui interessa – dipendenti di ditte estere che debbano effettuare sul territorio nazionale "prestazioni determinate").

Quando, come nel caso di specie, la prestazione non riguardasse l’oggetto tipico di attività della ditta straniera (per quanto deve ritenersi: conclusione di contratti di trasporto), ma la mera prestazione di forzalavoro (sulla base di quello che può definirsi un contratto a richiesta per la fornitura di manodopera, con integrazione salariale ai livelli italiani solo per il tempo di effettuazione del singolo servizio e con scadenze temporali di volta in volta stabilite, ma per rispondere ad esigenze continuative), la normativa di cui trattasi non poteva non ritenersi sostanzialmente elusa, con conseguente infondatezza dei primi due motivi di gravame prospettati.

Una volta ammesso, d’altra parte, che i provvedimenti impugnati corrispondessero ad una corretta linea interpretativa, non può che ammettersi la natura vincolata dei relativi contenuti, con conseguente infondatezza – ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 – della terza ed ultima censura (riferita a violazione dei principi sulla partecipazione al procedimento, pacificamente non invocabili quando il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso).

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, a favore delle controparti costituite in giudizio, vengono liquidate nella misura complessiva di Euro. 3.000,00 (Euro tremila/00), nei termini precisati in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello, come in epigrafe proposto; condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di Euro. 1.500,00 (euro millecinquecento) a favore di ciascuna delle parti costituite in giudizio, per un totale di Euro. 3.000,00 (Euro tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *