Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 12-05-2011, n. 18653 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 7/10/2010, il Gup presso il Tribunale di Napoli dichiarava non doversi procedere nei confronti di F.S. in ordine al reato di estorsione continuata in danno di S. G. perchè il fatto non sussiste.

Il Gup rilevava che le dichiarazioni della persona offesa risultavano contraddittorie e non confermate dalle persone sentite sui fatti, che avevano riferito di minacce ed offese, senza alcun riferimento a pretese somme di denaro. Tali dichiarazioni, pertanto, non riscontravano il reato di estorsione.

Avverso tale sentenza propone ricorso il P.G. precisando che il fatto andava qualificato non come estorsione consumata ma come tentativo di estorsione in quanto il comportamento dell’imputato tendeva ad ottenere in modo minaccioso l’accettazione di una transazione o di una rinunzia al credito. Tanto premesso eccepisce che il Gup qualificando come inattendibile la deposizione testimoniale della persona offesa, ha esercitato un potere riservato al giudice del dibattimento.

Propone ricorso anche la parte civile S.G.M.R. sollevando due motivi di ricorso con i quali deduce violazione di legge, violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e vizio della motivazione in relazione agli artt. 425 e 192 c.p.p. e 629 c.p., nonchè violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 425 e 428 c.p.p. e artt. 610, 612 e 594 c.p..

Quanto al primo motivo si duole che la sentenza di proscioglimento ha ritenuto la scarsa attendibilità della parte lesa, sostituendosi alle valutazioni che spettano al giudice del dibattimento in base a considerazioni illogiche che travisano il dato processuale. In particolare la sentenza non avrebbe analizzato la potenzialità espansiva nel futuro dibattimento degli elementi di prova disponibili.

Quanto al secondo motivo eccepisce che, anche a volere ritenere insussistente l’estorsione, comunque dagli atti emergevano i reati di violenza privata, ingiurie, minacce e molestie riferite dalla parte offesa e confermate dai testi.
Motivi della decisione

In punto di diritto occorre avere riguardo alla natura della sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p.. La regola di giudizio che governa la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup all’esito della fase dell’udienza preliminare è quella inerente alla prognosi di non evoluzione in senso favorevole all’accusa del materiale probatorio raccolto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 45046 del 11/11/2008 Cc. Rv. 242222).

Con una recente pronunzia questa Corte ha ribadito che: "La previsione di cui all’art. 425 c.p.p., comma 3, – per la quale il G.u.p. deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori – è qualificata dall’ultima parte del suddetto comma 3 che impone tale decisione soltanto ove i predetti elementi siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio. Ne deriva che solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22864 del 15/05/2009 Cc. (dep. 03/06/2009) Rv. 244202).

Tanto premesso, deve osservarsi che dalla motivazione della sentenza di proscioglimento emerge che gli elementi acquisiti per la loro contraddittorietà non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio.

A ciò si deve aggiungere che lo stesso capo d’imputazione contestato all’imputato non descrive una condotta che possa rientrare nella fattispecie tipica del reato di estorsione, in quanto, come rilevato dallo stesso P.G. l’evento di profitto, avuto di mira dall’imputato, non poteva essere quello – indicato nell’imputazione – della mancata restituzione della somma da lui ricevuta in prestito, fatto che costituisce semplice inadempimento dell’obbligato e non richiede la cooperazione della vittima.

Tuttavia dalla stessa motivazione della sentenza emerge che i testi hanno confermato che, in talune occasioni la S. aveva ricevuto minacce ed offese dall’imputato.

Pertanto a fronte della ritenuta insussistenza del reato di cui all’art. 629 c.p., e della sussumibilità della condotta dell’imputato sotto alter fattispecie penali ( artt. 594, 610, 612 e 660 c.p.), il g.u.p. del Tribunale di Napoli avrebbe dovuto affrontare la correlata tematica dell’eventuale rinvio a giudizio dell’imputato per i suddetti reati così giuridicamente (e diversamente) qualificata la condotta antigiuridica del F., immutate rimanendo le componenti ontologiche di tale condotta. Nel caso di specie, infatti, permanendo immutato il fatto storico attribuito all’imputato e variando soltanto il nomen iuris, il g.u.p. non si troverebbe ad esercitare impropri poteri sostitutivi o di supplenza del pubblico ministero (titolare esclusivo dell’azione penale), ma si limiterebbe, "come qualsiasi giudice di merito, a dare al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica più favorevole all’imputato, senza ledere i diritti della difesa, nei limiti della sua competenza" (così Cass. Sez. 5^, 4.10.1996 n. 9616, Pianeti, rv. 206305).

Di conseguenza il g.u.p. avrebbe dovuto disporre – sussistendone le condizioni – il rinvio a giudizio dell’imputato per i diversi reati emergenti dal "fatto" criminoso contestato all’imputato.

In tale prospettiva l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso.

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