Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 12-05-2011, n. 18635 Valutazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 12 ottobre 2009, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, in data 28/10/2008, riconosciuta agli imputati l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, equivalente alle contestate aggravanti, riduceva la pena inflitta a D.D. e P.D. per i reati di rapina e porto ingiustificato di coltello, rideterminandola in anni tre, mesi sette di reclusione ed Euro 800,00 di multa, per ciascuno.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello in punto di responsabilità. In particolare riconosceva come indiscutibile l’identificazione di P.D. effettuata dalla persona offesa, C.L., sia in sede di individuazione fotografica, sia in sede di incidente probatorio, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti. Riconosciuta l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, la Corte provvedeva a ridurre la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso P.D. per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce il vizio di motivazione in relazione all’art. 530 c.p.p., comma 2 e artt. 192 e 194 c.p.p..

Al riguardo si duole che la Corte abbia ritenuto coerenti ed attendibili le dichiarazioni della presunta persona offesa, laddove, invece le stesse apparivano altamente contraddittorie e divergenti fra di loro.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

Secondo l’insegnamento di questa Corte:

"In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6910 del 27/04/1999 Ud. (dep. 01/06/1999) Rv.

213613; Sez. 5, Sentenza n. 8934 del 09/06/2000 Ud. (dep. 08/08/2000) Rv. 217355; Sez. 2, Sentenza n. 4281 del 17/08/2000 Cc. (dep. 24/08/2000) Rv. 217419).

Tanto premesso, occorre precisare che: "in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud. (dep. 25/02/2008) Rv. 239342).

Nel caso di specie il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale non presenta contraddizioni manifeste, al contrario il controllo dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa è stato effettuato dalla Corte con argomentazioni in fatto coerenti e prive di vizi logico-giuridici.

E’ il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della responsabilità dell’imputato per il reato contestato.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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