Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 12-05-2011, n. 18650 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

co che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con ordinanza del 19.10.2010, il Tribunale della Libertà di Milano, rigettava l’istanza di riesame proposta da T.R. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 5.7.2010 per i reati di associazione mafiosa e detenzione illegale a fini di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina aggravata D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, di cui ai capi 1 e 141 della rubrica accusatoria.

Secondo l’accusa, l’imputato si sarebbe inserito nelle ramificazioni lombarde della ndrangheta, che aveva stabilito al nord numerose "locali" coordinate da un organo di vertice denominato "La Lombardia", e avrebbe inoltre detenuto, in concorso con altri soggetti, nell’interesse del gruppo criminale di appartenenza, gr.

984,40 di cocaina. Il contesto associativo generale di riferimento era ricostruito dai giudici del riesame sulla base di un’articolata attività investigativa, che soprattutto attraverso l’esito di servizi di intercettazione telefonica e ambientale, ma anche di arresti e altre operazioni di polizia, aveva consentito di accertare che la struttura ‘ndranghetista radicata in territorio lombardo si componeva di più di 15 "locali", legate alla "casa madre", cioè al centro calabrese dell’organizzazione, da rapporti alquanto ondivaghi e spesso conflittuali, a causa del progressivo affermarsi, in seno alla struttura settentrionale, di istanze "autonomistiche", storicamente rappresentate, nelle loro prime manifestazioni, da N.C., poi rimasto ucciso nelle faide criminali che avevano agitato la vita del gruppo. Il contenuto di alcune conversazioni intercettate (ad es. quella tra M.S. e R.V. del 13.6.2008; tra E.P. e M. F. del 5.9.2008; tra il M. e il N. del 29.12.2007 ecc…), sarebbe al riguardo inequivocabilmente esplicito nel riferimento alla nascita del gruppo criminale lombardo e alla sua progressiva strutturazione organizzativa, come anche nella ricostruzione dei diffìcili rapporti della nuova articolazione criminale con il centro di origine, di matrice calabrese.

Il tribunale ricordava poi che dalle acquisizioni investigative emergeva anche la ripetuta convocazione di riunioni criminali (ad es. quelle del 19.8.2009 e del 31.10.2009) indette per la soluzione dei problemi insorti nei rapporti della nuova struttura con quella calabrese, ed era possibile desumere, inoltre, la ricostruzione degli avvicendamenti al vertice della struttura di coordinamento dei vari "locali", cioè "La Lombardia".

Quanto alla posizione associativa del T., il tribunale del riesame riteneva la sussistenza di gravi indizi dell’inserimento dello stesso ricorrente nella "locale" di (OMISSIS).

I giudici evidenziavano, in particolare;

– i legami parentali del ricorrente con altri affiliati, cioè i suoi fratelli, C. e G.A. e il cugino B. A.;

– il suo interessamento, rivelato dalla conversazione con il fratello C. del 24.12.2008, alle vicende della fuga dello stesso C. da un appartamento di via (OMISSIS), oggetto di un’incursione delle forze dell’ordine in data 22.12.2008;

– l’implicazione, del ricorrente, desumibile, secondo i giudici territoriali, dal contenuto di altre conversazioni telefoniche, nelle vicende dell’arresto di tale S.C., arrestato per possesso illegale di droga il 30.12.2008; il ricorrente si sarebbe in particolare adoperato, su incarico di B.A., di prelevare il quantitativo di droga ancora in possesso di un altro S., A.V., evidentemente nel timore che le indagini si estendessero nei suoi confronti.

– le circostanze dell’arresto dello stesso ricorrente, trovato a sua volta in possesso, il 19.11.2009, di 50 gr di cocaina all’interno del maneggio di (OMISSIS), dove erano presenti, nell’occasione, anche D.N.S. e T.L., anche loro affiliati alla locale di (OMISSIS) e tratti in arresto per l’illegale detenzione di numerose armi, custodite nell’interesse della cosca;

– il contenuto dei colloqui carcerarii tra il ricorrente e la madre, F.B., oggetto di apposite intercettazioni ambientali;

– il precedente arresto del T.R. per possesso illegale di un’arma da fuoco con matricola abrasa modificata con una filettatura all’estremità idonea all’inserimento di un silenziatore.

In ordine al reato di cui al CAPO 141, i giudici territoriali desumevano la gravità indiziaria a carico del ricorrente dall’esito delle attività investigative seguite all’arresto di S. C.. Secondo la ricostruzione degli avvenimenti contenuta nell’ordinanza impugnata, durante un’operazione di polizia del 3.1.2009 era stato infatti rinvenuto in possesso di S. A.V., tratto conseguentemente in arresto, il quantitativo di cocaina, circa l kg, che il T. era stato incaricato di prelevare dopo l’arresto di C..

Il ricorrente era sopraggiunto sul posto mentre le operazioni di perquisizione dell’abitazione dello S.A.V. erano ancora in corso.

Riguardo alle esigenze cautelari, infine, i giudici territoriali rilevavano la pericolosità connessa al titolo del reato associativo, ma anche i pessimi precedenti del ricorrente.

Ricorre il difensore, deducendo, con un primo motivo, il vizio di violazione di legge e il difetto assoluto di motivazione del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 111 Cost., comma 6, per avere i giudici territoriali affermato la gravità indiziaria con motivazione soltanto apparente e/o giuridicamente inesistente.

Il tribunale si sarebbe in larga parte limitato a riprodurre le argomentazioni contenute nell’ordinanza cautelare senza preoccuparsi di dar conto delle numerose censure difensive contenute nella memoria scritta depositata in sede di riesame nell’interesse dell’indagato, mancando all’obbligo di verifica proprio del sindacato sulla correttezza formale e sostanziale dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.

Con il secondo motivo, la difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio di carenza e illogicità della motivazione, risultante dal testo dell’ordinanza impugnata, in ordine alla valutazione della gravità indiziaria per la condotta associativa.

Sarebbe incoducente il coinvolgimento dell’imputato nelle vicende della fuga del fratello C. dall’appartamento di via (OMISSIS), tanto più che all’intercettazione che aveva consentito di rilevare la circostanza non sarebbe seguito alcun apprezzabile risultato investigativo; la conversazione del 2.1.2009, ammesso che il " L." che vi risulta implicato possa identificarsi proprio con il ricorrente, potrebbe al più dimostrare cointeressenze del T. nel traffico di droga, ma non potrebbe refluire sulla prova della sua partecipazione all’associazione mafiosa; il Tribunale avrebbe indebitamente accomunato il T. nel possesso delle armi rinvenute in occasione del suo arresto, mentre al ricorrente era stato attribuito unicamente il possesso di un quantitativo di stupefacente, ancora una volta privo di rilevanza associativa; nella conversazione del 25.11.2009, intercettata in ambiente carcerario, il tribunale avrebbe ravvisato la manifestazione da parte della madre del T., di un progetto omicidiario contro il B., forzando illogicamente l’interpretazione dei termini letterali delle espressioni sottolineate.

Analoghi vizi motivazionali si riscontrerebbero, infine, nella valutazione dei giudici del riesame circa la sussistenza della gravità indiziaria e comunque dell’aggravante mafiosa in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 contestato al ricorrente per il suo presunto coinvolgimento nel tentativo di mettere al sicuro la droga in possesso di S.A. V..

Mancherebbe infatti la prova che il " L." di cui si parla nella conversazione che aveva preceduto il tentativo di recupero fosse proprio il ricorrente e non potrebbe comunque ritenersi la gravità indiziaria in relazione alla presenza dell’indagato nei pressi dell’abitazione dello S. soltanto dopo l’intervento delle forze dell’ordine.

Sull’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, mancherebbe infine qualunque specifica argomentazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il tribunale ha convenientemente valorizzato, in termini di gravità indiziaria, gli elementi di prova a carico del ricorrente sopra sinteticamente riassunti, contestati dalla difesa sulla base di un’alternativa interpretazione di merito delle stesse risultanze istruttorie, e con argomentazioni che appaiono oltretutto meno incisive sul piano logico. Così è, ad es., per l’identificazione del " L." di cui si parla nella conversazione del 2.1.2009 a proposito del soggetto incaricato di recuperare la droga ancora in possesso di S.A.V., essendo ovvio il collegamento con l’imputato attraverso la sua presenza nei pressi dell’abitazione del predetto S. in coincidenza con l’operazione di polizia che aveva interessato quest’ultimo dopo l’arresto del fratello C.; e altrettanto essendo rilevabile riguardo al coinvolgimento dell’imputato nella detenzione dello stupefacente, poichè le valutazioni del tribunale trovano sostegno logico nella consapevolezza dimostrata dal T. circa il luogo di custodia della droga.

E del tutto correttamente i giudici territoriali deducono dall’episodio non solo l’implicazione dell’imputato nello specifico reato, ma anche un concorrente elemento di prova della sua partecipazione all’associazione mafiosa, avendo egli agito su incarico di altri sodali, circostanza significativa inoltre dell’intento agevolativo dell’associazione e rilevante ai fini dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Per quanto possa ancora occorrere, il Tribunale della libertà non accomuna poi affatto il ricorrente nel possesso delle armi rinvenute presso altri soggetti in occasione del suo arresto per possesso di droga, ma si limita ad un rilievo soltanto "descrittivo" della circostanza del contemporaneo arresto dei due, senza dire che comunque, un eventuale equivoco sul punto non rileverebbe in alcun modo ai fini della tenuta del quadro indiziario, e nemmeno nella valutazione della pericolosità dell’imputato, già legata al titolo dei reati e comunque affermata anche in concreto dai giudici territoriali con riferimento alla negativa personalità del T..

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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