Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 12-05-2011, n. 18649 misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 5.11.2010, il Tribunale della Libertà di Milano rigettava l’istanza di riesame proposta da M.G.A. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa nei suo confronti dal gip dello stesso Tribunale il 18.10.2010, per i reati di cui all’art. 110 c.p., D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies aggravato D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, art. 648 c.p. e art. 477 c.p., art. 61 c.p., n. 6.

Secondo l’accusa, l’imputato, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, aveva intestato fittiziamente a tale R.A. le quote possedute nella New RE IX srl, che gestiva un ristorante in (OMISSIS). Si era procurato inoltre, durante lo stato di latitanza per la sottrazione alla misura cautelare applicata in precedenza nei suoi confronti per i delitti di associazione mafiosa e di detenzione illegale di armi ed esplosivo, una carta di identità rilasciata dal Comune di Rovello Porro a nome di A.P., apponendovi la propria fotografia.

Il ristorante di (OMISSIS) era stato oggetto di confisca con decreto n. 138/04 del tribunale di Milano, divenuto definitivo, emesso all’esito del procedimento di prevenzione promosso contro il M..

Il Tribunale del riesame riteneva però che l’imputato avesse ugualmente mantenuto la disponibilità effettiva dell’esercizio di ristorazione, tanto desumendo dal contenuto di numerose intercettazioni telefoniche che avrebbero provato la sua persistente ingerenza nella gestione, e dai suoi rapporti con il R., divenuto unico socio e amministratore della New RE IX srl, e peraltro anche in passato mostratosi disponibile ad intestarsi beni di pertinenza del M..

Ricorre la difesa, lamentando con il primo motivo il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per avere i giudici territoriali ritenuto la configurabilità del reato di cui alla L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, nonostante l’ormai intervenuta confisca delle quote della società che gestiva il ristorante e della loro successiva cessione, per iniziativa dell’amministratore giudiziario, ad un soggetto diverso dall’amministratore originario, avendo il M. assunto nel frattempo soltanto la qualità di dipendente della stessa società.

Sarebbe quindi del tutto incongrua la valenza indiziaria attribuita dal Tribunale a poche telefonate intercettate, a fronte del costante controllo dell’autorità giudiziaria sulla gestione della società titolare del ristorante.

Sotto il profilo delle esigenze cautelari poi, i giudici del riesame avrebbero sostanzialmente eluso l’obbligo di motivazione con riferimento agli specifici addebiti oggetto del provvedimento restrittivo impugnato, trasfondendo nelle loro valutazioni il giudizio di pericolosità espresso nei confronti del M. a proposito dei fatti contestatigli con la precedente ordinanza cautelare, senza considerare, peraltro, che il relativo quadro accusatorio aveva subito un consistente ridimensionamento in ordine ai reati in materia di armi.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

La difesa, a fronte di tutte le numerose indicazioni sulla (riacquistata) disponibilità dell’attività imprenditoriale in oggetto da parte del M., convenientemente sottolineate dai giudici del riesame, si limita più che altro a dedurre una sorta di impossibilità giuridica del fatto di reato contestato, che non avrebbe potuto verificarsi sotto il controllo dell’amministrazione giudiziaria.

La valutazione, a parte il rilievo del Tribunale della Libertà secondo cui la difesa non aveva dimostrato che tutte le cessioni fossero state autorizzate dal giudice della prevenzione, corrisponde però, in definitiva, ad una semplice petizione di principio, non potendosi certo escludere la possibilità che i soggetti che contrattino con l’amministratore giudiziario di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento di prevenzione, siano occultamente legati al proposto e agiscano nel suo interesse, con l’effetto di eludere la funzione tipica del sequestro e della confisca degli stessi beni.

Nel "merito" degli uffici sintomatici della effettiva disponibilità dell’esercizio di ristorazione in oggetto da parte del M., i rilievi difensivi appaiono poi alquanto deboli, e corrispondenti ad apprezzamenti alternativi incapaci di cogliere vizi logico-giuridici nella motivazione del provvedimento impugnato.

In punto di esigenze cautelari, infine, i giudici territoriali sottolineano anzitutto il rilievo della contestazione dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, oggetto in ricorso di contestazioni generiche e soprattutto incomplete, nella misura in cui investono soltanto la motivazione del provvedimento impugnato e non anche quella dell’ordinanza cautelare, esplicitamente richiamata per relationem dal Tribunale della liberta (in generale, nel senso che il provvedimento restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame sono strettamente collegati e complementari, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza del Tribunale della libertà integra e completa l’eventuale carenza di quella del G.i.p. ed allo stesso modo la motivazione insufficiente del giudice del riesame ben può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato (Corte di Cassazione 16587 del 24/03/2010, imputato Di Lorenzo e altro).

In ogni caso, nel provvedimento si sottolinea pur sempre la sistematicità del ricorso a prestanome da parte del M., con riferimento ai precedenti interventi di favore del R. diretti a consentire al ricorrente l’occultamento della titolarità di altri beni.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00 commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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