Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 12-05-2011, n. 18647 misure cautalri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Milano, rigettava l’istanza di riesame proposta da F.B. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal gip dello stesso Tribunale il 5.7.2010 per i reati di associazione mafiosa e altro.

Secondo l’accusa, l’imputato si sarebbe inserito nelle ramificazioni lombarde della ndrangheta, che aveva stabilito al nord numerose "locali" coordinate da un organo di vertice denominato "La Lombardia".

Il contesto associativo generale di riferimento era ricostruito dai giudici del riesame sulla base di un’articolata attività investigativa, che ^soprattutto attraverso l’esito di servizi di intercettazione telefonica e ambientale, ma anche di arresti e altre operazioni di polizia, aveva consentito di accertare che la struttura ‘ndranghetista radicata in territorio lombardo si componeva di più di 15 "locali", legate alla "casa madre", cioè al centro calabrese dell’organizzazione, da rapporti alquanto ondivaghi e spesso conflittuali, a causa del progressivo affermarsi, in seno alla struttura settentrionale, di istanze "autonomistiche", storicamente rappresentate, nelle loro prime manifestazioni, da N.C., poi rimasto ucciso nelle faide criminali che avevano agitato la vita del gruppo.

Il contenuto di alcune conversazioni intercettate (ad es. quella tra M.S. e R.V. del 13.6.2008; tra E. P. e Ma.Fi. del 5.9.2008; tra il M. e il N. del 29.12.2007 ecc…), sarebbe al riguardo inequivocabilmente esplicito nel riferimento alla nascita del gruppo criminale lombardo e alla sua progressiva strutturazione organizzativa, come anche nella ricostruzione dei difficili rapporti della nuova articolazione criminale con il centro di origine, di matrice calabrese.

Il tribunale ricordava poi che dalle acquisizioni investigative emergeva anche la ripetuta convocazione di riunioni criminali (ad es. quelle del 19.8.2009 e del 31.10.2009) indette per la soluzione dei problemi insorti nei rapporti della nuova struttura con quella calabrese, ed era possibile desumere, inoltre, la ricostruzione degli avvicendamenti al vertice della struttura di coordinamento dei vari "locali", cioè "La Lombardia".

Quanto al F., egli avrebbe fatto parte, in concreto della "locale" di Desio, una delle più numerose e di più risalente costituzione nel territorio lombardo.

Il gruppo sarebbe stato guidato, in particolare, da Mo.

A.G.; avrebbe annoverato tra i suoi componenti, Mi.Ni., con compiti di contabile, e C.P. nel ruolo di vice capo; vi avrebbero partecipato anche Mo.

S., P.D. cl. (OMISSIS), Mi.Gi., S. G., S.E.S., Po.Ca., Tr.An., Ma.Do., Sa.Gi., D. P.F., e Co.Vi..

Nei confronti del F., i giudici del riesame sottolineavano, a conferma della gravità indiziaria, i seguenti elementi di prova:

– precedenti penali e di polizia per reati contro il patrimonio e la persona;

– legami di parentela con altro membro della medesima "locale", cioè C.V.;

– l’intervento del ricorrente, oggetto del capo 21 dell’incolpazione provvisoria, in una disputa tra tale Me.Cl. e C. P., nata dall’utilizzazione da parte di quest’ultimo, di un camion di proprietà del primo. La questione era stata risolta da C. P. con l’appoggio della propria cosca e con il ricorso a tipiche forme di intimidazione mafiosa; il Me. era stato tra l’altro sottoposto ad un brutale pestaggio, Alla vicenda avrebbe partecipato lo stesso F., come risulterebbe da alcune conversazioni intercettate, come quella tra il F. e C.P. delle ore 21,54 del 7.10.2009;

– il contenuto di alcune conversazioni intercettate tra il ricorrente e tale MA.Ig., vittima di un’estorsione ad opera del C.P.;

– l’esito di un servizio di osservazione con pedinamento, rassegnato nell’annotazione di pg del 21.5.2009, corredata di documentazione fotografica;

la conversazione del 6.5.2009 tra il F. e C.P., tutti elementi indicativi, secondo il Tribunale, dello stretto legame criminale tra i due.

Sotto il profilo delle esigenze cautelari, poi, i giudici sottolineavano che la presunzione di pericolosità legata al titolo del reato associativo era vieppiù rafforzata dalla personalità dell’imputato e dalla gravità dei fatti addebitatigli.

Ricorre il difensore, rilevando il vizio di motivazione dell’ordinanza ex art. 606 c.p.p., lett. e) anzitutto per il superamento dei limiti in cui potrebbe ritenersi ammissibile la motivazione per relationem, alla stregua della tecnica argomentativa che sarebbe stata utilizzata del tutto impropriamente dai giudici del riesame, con continui riferimenti alle argomentazioni del provvedimento restrittivo.

Con il secondo motivo, la difesa eccepisce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 628 e 629 c.p., e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla valutazione del concorso dell’imputato nel reato fine costituito dall’estorsione in danno di Me.Cl.. Non risulterebbe anzitutto agli atti l’intercettazione delle ore 21,54 del 7.10.2009, peraltro citata dai giudici territoriali non nel suo contenuto testuale, ma alla stregua di un approssimativo discorso indiretto che condurrebbe ad una forzata interpretazione in senso accusatorio delle espressioni usate dagli interlocutori. Anche l’implicazione del F. nei preparativi del pestaggio sarebbe stata illogicamente desunta dai giudici del riesame sulla base di conversazioni telefoniche nelle quali non comparirebbe però mai alcun riferimento al ricorrente, potendosi anzi desumere dalla mancata citazione un rilevante argomento in chiave difensiva, nella misura in cui se ne dovrebbe escludere un atteggiamento di disponibilità criminale del F. nei confronti del P..

Alla stregua del secondo motivo, sarebbe comunque illogica e sofistica la valorizzazione, da parte del Tribunale del riesame, della rilevanza probatoria, ai fini della conferma dell’accusa associativa delle due sole intercettazioni a carico dell’imputato, quella del 21.5.2009 evocando peraltro un incontro in nessun modo caratterizzato da modalità sospette. La difesa inoltre rileva il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, che sarebbe esclusa dalla stessa infondatezza dell’ipotesi associativa e lamenta il difetto di motivazione in punto di sussistenza delle esigenze cautelari, avendo la Corte di merito trascurato le deduzioni difensive al riguardo. Sono stati depositati motivi aggiunti.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. In punto di gravità indiziaria, i giudici territoriali sottolineano adeguatamente con le articolate argomentazioni sopra sintetizzate, numerosi elementi di prova singolarmente dotati di maggiore o minore efficacia dimostrativa, ma nel complesso ritenuti correttamente indicativi dell’appartenenza dell’imputato alla cosca di Desio e del suo coinvolgimento nell’estorsione in danno di Me.Cl.. A queste valutazioni la difesa oppone alternative argomentazioni di merito, che non colgono alcun vizio logico- giuridico nel provvedimento impugnato, e l’eccezione (non di inutilizzabilità ma addirittura) di inesistenza dell’intercettazione delle ore 21,54 del 7.10.2009, eccezione che, contrariamente a quanto si legge in ricorso, non risulta in alcun modo formulata davanti al giudice del riesame all’udienza del 3.8.2010 (a meno che non fosse contenuta nella memoria depositata nel corso della stessa udienza, circostanza peraltro non dedotta dalla difesa), dovendosi ovviamente privilegiare le letterali risultanze della verbalizzazione rispetto alle attestazioni mnemoniche del difensore. Nemmeno la difesa sollecita poi autonomi accertamenti, in questa sede processuale, in ordine alla dedotta inesistenza dell’intercettazione (oggetto in ipotesi di un’evocazione surreale da parte dei giudici territoriali) ogni indagine istruttoria essendo peraltro incompatibile con i limiti del giudizio di legittimità (cfr. Cassazione nr 12175 del 21/01/2005, Sez. 6, Tarricone ed altri, dove l’affermazione che la regola per cui la inutilizzabilità può essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento deve essere raccordata alla norma che limita la cognizione della corte di cassazione, oltre i confini del "devolutimi", alle sole questioni di puro diritto, sganciate da ogni accertamento sul fatto, con la conseguenza che non possono essere proposte per la prima volta, nel giudizio di legittimità, questioni di inutilizzabilità la cui valutazione richieda accertamenti di merito, che come tali devono essere necessariamente sollecitati nel giudizio di appello).

Il contenuto della conversazione, peraltro piuttosto trasparente nella parte relativa all’implicazione dell’imputato nella vicenda estorsiva, è stato poi correttamente valutato in chiave accusatoria dai giudici del riesame, e lo stesso (tardivo) tentativo difensivo di sottrarla al materiale istruttorio costruisce indiretta conferma della sua rilevanza probatoria.

2. Le questioni difensive sulla valutazione della sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, in relazione al fatto estorsivo, sono pregiudicate dalla conferma della correttezza del giudizio di gravità indiziaria in ordine al reato associativo, come presupposto logico-fattuale del riferimento del reato fine agli scopi e ai metodi di un gruppo criminale di stampo mafioso. La natura del fatto, e le modalità della partecipazione dell’imputato sono state comunque correttamente valutate dai giudici del riesame come significative della sussistenza dell’aggravante speciale.

3. Del tutto generiche, infine, sono le deduzioni difensive sul presunto difetto di motivazione dell’ordinanza in punto di esigenze cautelari, in particolare con riferimento alla mancata risposta ai non meglio precisati rilievi al riguardo formulati con la richiesta di riesame, mancando comunque in ricorso ogni concreta o comunque significativa indicazione di circostanze favorevoli all’imputato idonee a contrastare la presunzione di pericolosità qualificata connessa al titolo dei reati, ma arricchita, nelle valutazioni dei giudici territoriali, anche dalla considerazione della negativa personalità dell’imputato e della gravità dei fatti.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *