Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 12-05-2011, n. 18836 sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – L’odierno ricorrente, in qualità di legale rappresentante della soc. Angels in Venice S.r.l., è stato fatto oggetto di un sequestro probatorio di oltre 74.000 articoli vari (parte in vetro e parte in altri materiali) riproducenti murrine, ciondoli, collane, bracciali accessori di bigiotteria, animaletti, maschere veneziane ecc. ecc. in quanto, secondo l’accusa, trattavasi di materiale proveniente dalla Cina ma recante la dicitura "made in Italy" o, comunque, quelle di "Angels in Venice o di "Art Style Mode Design".

Con l’ordinanza qui impugnata, il Tribunale ha respinto la richiesta di riesame proposta avverso tale provvedimento reale.

Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite il difensore deducendo:

1) violazione di legge ( art. 606 c.p.p., lett. c) in rel. agli artt. 253 e 125 c.p.p.) perchè la motivazione del provvedimento di convalida del P.M. "al fine di esaminare la provenienza della merce, il luogo di produzione e l’eventuale frode in commercio" si risolve in una mera formula di stile che non spiega le ragioni di un sequestro di oggetti che già la società venditrice etichettava come prodotti in paesi stranieri; sequestro che è, comunque, superfluo visto che la provenienza degli oggetti ben può essere desunta dalla fatture di acquisto già sequestrate. In altri, termini, ciò che si contesta del provvedimento in discussione è la apprensione indiscriminata di tutta la merce rinvenuta considerata indiscriminatamente "corpo di reato" ovvero "cosa pertinente al reato". E’, quindi, censurabile la motivazione del Tribunale che, non potendo replicare alla medesima questione sottopostale ha asserito che il sequestro "integrale" si giustifica proprio come "indispensabile al fine – probatorio per l’appunto – dell’individuare e discernere quegli eventuali oggetti che risultassero davvero essere stati prodotti interamente in Italia, compresa la materia prima".

Si obietta, però, dal ricorrente, che siffatta motivazione non spiega la necessità di sottoporre a sequestro anche quegli oggetti la cui provenienza straniera sia sicura;

2) erronea applicazione della legge penale ( art. 606 c.p.p., lett. b) in rel. agii artt. 515 e 517 c.p. e L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 49). Si fa notare che gran parte della merce sequestrata non recava alcuna dicitura sulla provenienza geografica, una piccola parte quella di "Angels in Venice" ed, altra ancora, la esatta provenienza straniera "made in China". A tale stregua, la contestazione riguarda la detenzione di beni privi della indicazione di provenienza e solo per alcuni quella di recare contrassegni distintivi di una provenienza italiana.

Viene, quindi, censurata la tesi del Tribunale della non applicabilità della sanzione amministrativa di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49 bis perchè ignora l’orientamento della giurisprudenza di questa S.C. secondo cui per "provenienza ed origine" non si deve intendere la provenienza geografica bensì quella da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica del prodotto ed è garante della sua qualità (sez. 3^, 24.1.07, 8684, Emili; Sez. 3^, 17,3.07, Contenni;

Sez. 3^, 28.9.07, n. 166/08, Patentini; Sez. 3^, 13.5.08, Mazza).

Si afferma, quindi, il principio che in linea generale, nel nostro sistema non esiste l’obbligo di indicare il luogo di fabbricazione all’estero del prodotto e si evoca anche la giurisprudenza delle Comunità europee ed il fatto che anche la recente Legge 2010, relativa ai prodotti tessili, è stata censurata in sede comunitaria per la restrizione imposta imporre l’obbligo della indicazione dell’origine territoriale.

Si rammenta, poi, che anche recentissima sentenza di questa Corte (sez. 3^, 10.2.10, n. 15374) ha affermato la insussistenza del reato di cui all’art. 517 nel caso di apposizione al prodotto del marchio o del nome della ditta italiana senza specificazione del fatto che il prodotto sia stato fabbricato in Italia o altro paese. In proposito, il ricorrente cita della casistica giurisprudenziale.

Le critiche del ricorrente si diffondono, infine, a proposito del mancato approfondimento, da parte del Tribunale, circa i rapporti tra la L. n. 166 del 2009, art. 16 e l’ambito di applicabilità dell’art. 4, comma 49.

Il ricorrente conclude, quindi, affermando che nel caso in esame:

– per la stragrande maggioranza degli oggetti sequestrati (priva di qualsiasi indicazione di origine), non è integrata l’ipotesi delittuosa della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49 (neanche ove si dimostrasse che erano state staccate le etichette di "made in China", visto che non esiste un obbligo di indicare la provenienza geografica del bene);

– per gli oggetti che riportano la dicitura "Angels in Vertice" (ancorchè accompagnata da quella di "Art Style Mode Design" ovvero dal simbolo della bandiera italiana), Si tratterebbe di indicazioni di provenienza inidonee ad ingenerare il convincimento che gli articoli siano stati fabbricati in Italia, e ciò anche in considerazione del fatto che tale dicitura non è in lingua italiana e "non contiene alcun riferimento, neppure ad uno stile o ad una concezione realizzativi italiani" (f. 11 ric.).

Nella specie, perciò, non sono astrattamente configurabili, nè, la fattispecie di cui all’art. 517 c.p., nè quella di cui alla L. n. 166 del 2009, art. 16 ed, anche ammesso e non concesso, che la dicitura "Angels in Venice" possa ingenerare la fallace idea dell’origine italiana, al massimo, sarebbe configurabile l’illecito amministrativo di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49 bis.

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il primo motivo di ricorso è fondato.

Senza dubbio, infatti, la espressione del Tribunale secondo cui il sequestro era "indispensabile al fine – probatorio per l’appunto – dell’individuare e discernere quegli eventuali oggetti che risultassero davvero essere stati prodotti interamente in Italia, compresa la materia prima", rappresenta una formula di stile avulsa dal contesto e, come tale, è tamquam non esset e giustifica la denunciata violazione di legge (da ult.: sez. 5^, 25.6.10, Angelini, Rv. 248129).

Del resto – come giustamente osserva il ricorrente – il problema è "originario" perchè è la stessa motivazione della convalida del P.M. ("al fine di esaminare la provenienza della merce, il luogo di produzione e l’eventuale frode in commercio") a tradire il fatto che, in realtà, nella specie, la finalità reale era preventiva e non di ricerca della prova.

Ed infatti, l’apprensione della totalità dei beni del ricorrente sarebbe stata sicuramente sostenibile ove si fosse stati al cospetto di un sequestro preventivo preordinato ad impedire l’aggravamento e il protrarsi delle conseguenze della ipotizzata condotta criminosa ma non analogamente affermabile per un sequestro probatorio visto che scopo tipico di tale istituto è l’acquisizione del corpo di reato e delle cose pertinenti al reato "necessarie per l’accertamento dei fatti" ( art. 253 c.p.p.).

Il punto è, però, che nè il provvedimento del P.M. nè quello del Tribunale per il Riesame illustrano le ragioni per cui era necessario operare una apprensione indiscriminata di tutti gli oggetti rinvenuti, dal momento che già la società venditrice li etichettava come prodotti in paesi stranieri.

Come autorevolmente ricordato da questa S.C. (su. 28.1.04, p.m. in proc Bevilacqua, Rv. 226712) il potere di iniziativa del sequestro probatorio è attribuito al Pubblico Ministero (immediatamente, ovvero mediatamente tramite la convalida dell’operazione di sequestro della polizia giudiziaria ex artt. 354 e 355 c.p.p.), e non può che spettare allo stesso organo, esclusivo dominus delle indagini preliminari e delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, "identificare e allegare le ragioni probatorie che, in funzione dell’accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l’applicazione della misura".

La motivazione "apparente" addotta dal P.M. nel presente caso non avrebbe potuto, del resto, essere nè integrata nè, ancor meno, elaborata ex novo dal Tribunale per il Riesame perchè "quest’ultimo non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse".

Vi è da dire che, ad ogni modo, nella vicenda in esame, lo sforzo di avallo da parte del Tribunale è stato scarno perchè ha finito per risolversi in una espressione tautologica che da per vero ciò che, invece, si deve dimostrare.

L’assunto è tanto più valido se si considera che il ricorrente odierno già dinanzi al Tribunale per il Riesame aveva svolto le valide obiezioni formulate nel presente ricorso tese a segnalare che, se lo scopo del provvedimento era di verificare la provenienza della merce, non vi erano ragioni per quel sequestro "integrale" visto che erano già state apprese le fatture di acquisto e la stessa società ricorrente non ha mai negato la provenienza degli oggetti dalla Cina.

E’ fin troppo ovvio, quindi, che, nell’ipotesi in discussione, l’obiettivo perseguito era di prevenire il pericolo che la condotta criminosa ipotizzata fosse portata ad ulteriori conseguenze. Ma, a tal fine, esiste l’apposito strumento del sequestro preventivo che vive ed opera sulla base di presupposti e forme procedurali differenti.

Il tutto, a prescindere, poi, dall’ulteriore rilievo che il provvedimento impugnato non si è diffuso neppure nel qualificare compiutamente la merce sequestrata (se, cioè, corpo di reato o cosa pertinente al reato). Vi è, infatti, da soggiungere che anche quando il sequestro probatorio ha per oggetto il corpo del reato, l’autorità che lo dispone deve indicare le finalità che intende perseguire con tale provvedimento, così come anche il giudice del riesame deve farsi carico di controllare queste finalità per verificare la legittimità del provvedimento stesso.

Non può, infatti, ritenersi che il corpo del reato sia sempre necessario per l’accertamento dei fatti e che quindi debba in ogni caso formare oggetto di un sequestro probatorio, sia perchè nella realtà così non è, sia perchè lo stesso legislatore mostra di ritenere imprescindibile il nesso tra la misura e le esigenze probatorie imponendo la restituzione delle cose quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova ( art. 262 c.p.p., comma 1) di tutte le cose, anche di quelle che costituiscono corpo del reato, sempre che non ne sia disposto il sequestro a norma dell’art. 321 c.p.p..

Di conseguenza, come ribadito di recente, anche per le cose che costituiscono il corpo del reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita in concreto per l’accertamento dei fatti (Sez. 2^, 28.4.04, Palmi, Rv. 229708; conf.

Rv. 2297 21), a meno che la natura di corpo di reato non sia in re ipsa (come nel caso di stupefacente) (Sez. 4^, 15.1.10, Bettoni, Rv.

246350); ma tale non è il caso in esame.

Riassumendo, quindi, il vizio che affligge il provvedimento impugnato con riferimento alla illustrazione delle esigenze probatorie si risolve in una (assorbente rispetto agii altri motivi) mancanza di motivazione che ne giustifica l’annullamento senza rinvio per violazione di legge.

Per l’effetto, deve intendersi annullato anche il decreto di sequestro del 19.6.10 del P.M. di Venezia e va disposta la restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto.
P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonchè il decreto di sequestro del 19.6.10 del P.M. di Venezia e dispone la restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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