Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 12-05-2011, n. 18824

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore della Repubblica di Genova proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il G.I.P., ai sensi dell’art. 129 c.p.p., il 19 gennaio 2010 assolveva G.O. dal reato di cui all’art. 1161 cod. nav., per il quale il Pubblico Ministero aveva richiesto l’emissione di decreto penale di condanna, perchè il fatto non costituisce reato.

Il predetto era incolpato di aver arbitrariamente occupato un’area demaniale marittima senza alcun titolo, ma il G.I.P., rilevato che detta occupazione si era protratta per il breve periodo (31 giorni) intercorrente tra la scadenza della precedente concessione ed il rilascio della nuova e che il ritardo nel rilascio del titolo concessorio non potesse ridondare in danno del privato, escludeva la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Il Pubblico Ministero ricorrente osservava preliminarmente che, a fronte di una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p., unico rimedio esperibile è il ricorso per cassazione.

Aggiungeva, evidenziando la differenza intercorrente tra autorizzazione e concessione, che dopo la scadenza di quest’ultima nessun diritto è configurabile in capo al privato e che, in ogni caso, il legislatore ha specificamente disciplinato, prevendendo la concessione provvisoria, il regime applicabile per il periodo tra la scadenza della concessione ed il rinnovo della stessa.

Osservava come mancasse del tutto l’indicazione dell’iter motivazionale percorso dal G.I.P. per pervenire all’affermazione secondo la quale il ritardo della P.A. non poteva ricadere sul privato.

Deduceva inoltre il vizio di motivazione anche con riferimento alla valutazione dell’elemento psicologico del reato, impropriamente escluso dal G.I.P. laddove, trattandosi di contravvenzione, era sufficiente la mera coscienza e volontà di occupare l’area sine titulo ed alla circostanza che, qualora si volesse ipotizzare la mancanza di conoscenza dell’obbligo della concessione, tale ignoranza era comunque inescusabile, stante l’onere di informazione gravante sul concessionario.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente osservare che la questione relativa alla individuazione del corretto mezzo di impugnazione della sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell’art. 459 c.p.p. è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte nel senso prospettato dal ricorrente, individuando quale unico rimedio esperibile il ricorso per cassazione, riconoscendo così la validità del maggioritario indirizzo formatosi in precedenza (SS. UU. n. 43055, 3 dicembre 2010).

Ciò posto, deve osservarsi che sebbene le considerazioni del ricorrente siano corrette sul piano oggettivo, non altrettanto può dirsi – nella specie – per il profilo riguardante l’elemento psicologico.

E’ senz’altro conforme alla norma, ed alla lettura costantemente datane da questa S.C. (Sez. 3^ n. 25813, 14 Iuglio2005; Sez. 3^ n. 4332, 24 aprile 1995; Sez. 3^ n. 2545, 17 marzo 1997), che si realizza la condotta di occupazione abusiva di suolo pubblico tutte le volte in cui essa non sia legittimata da titolo concessorio, valido ed efficace e, quindi, anche nel caso in cui la stessa si protragga oltre al scadenza del titolo abilitativo precedentemente rilasciato.

Ciò non di meno, così come ogni comportamento che possa dar luogo a reato, è necessaria la ricorrenza dell’elemento psichico da individuare non nella semplice condotta di occupazione cosciente – come assume il ricorrente – bensì nel complesso degli elementi fattuali che caratterizzano la fattispecie.

A tale stregua, è senz’altro vero che, come ricorda il ricorrente, in altra occasione questa S.C. ha escluso la buona fede per quell’agente che difettava del titolo concessorio scaduto per il quale aveva avanzato istanza di rinnovo (Sez. 3^ 25813/05 cit.) ma, a differenza del caso in esame, nel precedente appena citato, vi era una controversia sul rinnovo del titolo tanto è vero che erano ancora in corso trattative.

Analogamente, anche in altra decisione (Sez. 3^ n. 245/97 cit.) non è stata ravvisata buona fede nel fatto di quell’imputato che si era erroneamente "attestato in una posizione di aspettativa" (che sarebbe stata giustificata dalla cosiddetta "prassi" dell’autorizzazione informale, invece di chiedere – come in aderenza alla disciplina normativa avrebbe dovuto – il rilascio della concessione provvisoria, che gli avrebbe consentito la legittima occupazione dello spazio marittimo – mediante due pontili galleggianti – in attesa dell’approvazione del provvedimento definitivo e formale di concessione).

Gli esempi che precedono, evidenziano dunque come, in via di principio, la valutazione dell’atteggiamento soggettivo dell’imputato non debba essere pretermessa, ma, al contrario, apprezzata volta per volta in base alle caratteristiche del fatto.

A tale proposito, di certo, non è corretto che – come sostiene il ricorrente – "l’elemento soggettivo del reato de quo consiste nella consapevolezza di occupare in assenza di autorizzazione".

Quella descritta dal ricorrente è solo la coscienza e volontà dell’azione che, invero, è solo un presupposto del vero elemento psichico da individuarsi nel dolo o nella colpa. Perchè vi sia il primo, occorre, infatti anche la volontà dell’evento e, per il secondo, che l’evento si sia verificato per imprudenza, negligenza o imperizia ovvero inosservanza di leggi regolamenti ordini o discipline.

A norma dell’art. 1161 c.n. è punito "chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico …".

L’utilizzo dell’avverbio "arbitrariamente" connota l’elemento psichico del reato facendolo rientrare tra quelle ipotesi cd. ad illiceità speciale (spesso rinvenibili laddove il legislatore usi avverbi simili: es. "indebitamente", art. 328 c.p.) che qualificano l’elemento soggettivo, non nel senso di comportare l’esigenza di un dolo specifico, ma ove si sottolinea la necessità della precisa consapevolezza di agire in violazione del disposto normativo e, di avere, ciò nonostante proseguito. Così è, pertanto, nel caso dell’omissione di atti di ufficio (Sez. 6^, n. 2274, 11 marzo 1985;

conf. Sez. 6^ n. 8534, 4 ottobre 1982 e Sez. 6^ n. 4740, 29 maggio 1979) e così, ad esempio, anche nel caso di arresto o perquisizione illegali ( artt. 606 e 609 c.p.) ove si è detto che l’abuso o l’arbitrarietà dell’atto compiuto, oltre ad essere parte integrante del fatto di reato, "condiziona anche la sussistenza del dolo, che consiste nella coscienza e volontà dell’abuso delle funzioni da parte dell’agente" (Sez. 6^, n. 3413, 5 aprile 1996).

Trasferendo tali rilievi nella fattispecie in esame, è più che mai evidente che la sussistenza dell’elemento psichico del reato contestato non può essere rinvenuta in modo alquanto semplicistico (ed al limite del dolus in re ipsa) nel semplice fatto di avere consapevolmente continuato ad occupare lo spazio pubblico oltre il termine di scadenza della concessione dovendosi, piuttosto, avere riguardo al "modo" in cui tale occupazione – pur consapevole – sia avvenuta per verificare la sussistenza anche della volontà dell’evento.

In tale prospettiva, però, il caso concreto qui portato all’attenzione impedisce di concludere l’indagine in modo positivo perchè tale ipotizzata "volontà di proseguire arbitrariamente l’occupazione" è contraddetta dalla diversa condotta di avere, prima della scadenza del termine, come evidenziato nella sentenza impugnata, avanzato richiesta di rinnovo della concessione. Nè su tale chiaro atteggiamento della volontà può incidere l’errore commesso nell’avanzare la richiesta di rinnovo – vale a dire richiedere il rinnovo della concessione vera e propria, e non semplicemente il rilascio della cd. concessione provvisoria – posto che, in ogni caso, si è trattato di azione incompatibile con la volontà dell’agente di usufruire dello spazio demaniale "arbitrariamente", vale a dire, senza concessione.

La sostanziale validità della decisione impugnata è, peraltro, confermata anche dalla sottolineatura, in essa contenuta, della estrema brevità del periodo di occupazione senza titolo. Ed infatti, la concessione è poi stata rilasciata dalla P.A. solo 31 giorni dopo la scadenza della precedente (ad ulteriore dimostrazione dell’assenza di qualsivoglia controversia o trattativa che potesse assimilare la presente fattispecie a quella di cui al precedente giurisprudenziale evocato dal ricorrente) mettendo anche in luce la estrema modestia della offensività della condotta posta in essere dall’agente (sempre che la si voglia ravvisare posto che, anche a valutarla in termini di reato di pericolo, e quindi ex ante, l’assenza di danno è in re ipsa per il fatto di essersi l’agente attivato in tempo per ottenere il rinnovo della concessione).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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