Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-03-2011) 12-05-2011, n. 18823

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Richiesto di emettere decreto penale di condanna nei confronti di M. F. accusato di avere occupato abusivamente il suolo pubblico (area demaniale marittima), il G.i.p. ha, invece, pronunciato sentenza di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p. sul rilievo che l’occupazione, realizzata e protratta per soli 23 giorni, era conseguenza del ritardo con cui la P.A. aveva provveduto a rinnovare la licenza di concessione di cui il M. già disponeva e per il cui rinnovo si era rivolto tempestivamente all’autorità competente.

Avverso tale decisione, il P.M. ha proposto ricorso deducendo:

1) erroneità e contraddittorietà della motivazione. Premessi alcuni richiami giurisprudenziali per eliminare l’eventuale dubbio circa la esperibilità del ricorso in cassazione avverso la sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., il ricorrente osserva che, essendosi in presenza di un atto concessorio e non autorizzativo, l’occupazione in assenza di concessione "vigente" deve considerarsi sempre arbitraria. E’, appunto, per evitare che si creino vuoti di legittimazione nella occupazione che il legislatore – D.P.R. 15 febbraio 1952, art. 10 (reg. esec. c.n.) – ha espressamente previsto un atto denominato concessione provvisoria, rilasciato con procedure semplificate per il periodo intercorrente tra la scadenza della precedente concessione e la sua rinnovazione. Si richiama, a tal fine anche giurisprudenza di questa S.C. (Rv. 231817) in base alla quale sussiste il reato di cui all’art. 1161 anche "in ipotesi di prosecuzione della occupazione dello spazio demaniale dopo la scadenza del titolo autorizzativo, a nulla rilevando in proposito la esistenza di trattative in corso per il rinnovo della autorizzazione". 2) illogicità della motivazione ed errore di diritto in relazione all’elemento soggettivo del reato. L’elemento soggettivo del reato in esame consiste "nella consapevolezza di occupare in assenza di autorizzazione (definitiva 0 provvisoria)" e tale consapevolezza esisteva e non è negata neppure dal giudice. Anche a voler sostenere una ignoranza in tal senso, essa sarebbe inescusabile anche perchè l’ordinamento richiede da parte di chi abbia ottenuto una concessione "una particolare sollecitudine" nel garantirsi la conoscenza delle norme che regolano il periodo intercorrente tra la domanda di rinnovo ed il rinnovo stesso.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Sebbene, infatti, le considerazioni del ricorrente siano corrette sul piano oggettivo, non altrettanto può dirsi – nella specie – per il profilo afferente l’elemento psicologico.

E’ senz’altro conforme alla norma, ed alla lettura costantemente datane da questa S.C. (Sez. 3^, 7.6.05, Rv. 231817; Sez. 3^ 3.2.95, Rv. 202068; Sez. 3^, 24.1.97, Deodori, Rv. 207368), Che si realizza la condotta di occupazione abusiva di suolo pubblico tutte le volte in cui essa non sia legittimata da titolo concessorio, valido ed efficace e, quindi, anche nel caso in cui la stessa si protragga oltre al scadenza del titolo abilitativo precedentemente rilasciato.

Ciò non di meno, cosi come ogni comportamento che possa dar luogo a reato, è necessaria la ricorrenza dell’elemento psichico da individuare non nella semplice condotta di occupazione cosciente – come assume il ricorrente – bensì nel complesso degli elementi fattuali che caratterizzano la fattispecie.

A tale stregua, è senz’altro vero che, come ricorda il ricorrente, in altra occasione questa S.C. ha escluso la buona fede per quell’agente che difettava del titolo concessorio scaduto per il quale aveva avanzato istanza di rinnovo (Rv. 231817 cit.) ma, a differenza del caso in esame, nel precedente appena citato, vi era una controversia sul rinnovo del titolo tanto è vero che erano ancora in corso trattative. Analogamente, anche in altra decisione (Rv. 207368 cit.) non è stata ravvisata buona fede nel fatto di quell’imputato che si era erroneamente "attestato in una posizione di aspettativa" (che sarebbe stata giustificata dalla cosiddetta "prassi" dell’autorizzazione informale, invece di chiedere – come in aderenza alla disciplina normativa avrebbe dovuto – il rilascio della concessione provvisoria, che gli avrebbe consentito la legittima occupazione dello spazio marittimo – mediante due pontili galleggianti – in attesa dell’approvazione del provvedimento definitivo e formale di concessione).

Gli esempi che precedono, evidenziano dunque come, in via di principio, la valutazione dell’atteggiamento soggettivo dell’imputato non debba essere pretermessa, ma, al contrario, apprezzata volta per volta in base alle cartteristiche del fatto.

A tale proposito, di certo, non è corretto che – come sostiene il ricorrente – "l’elemento soggettivo del rato de quo consiste nella consapevolezza di occupare in assenza di autorizzazione".

Quella descritta dal ricorrente è solo la coscienza e volontà dell’azione che, invero, è solo un presupposto del vero elemento psichico da individuarsi nel dolo o nella colpa. Perchè vi sia il primo, occorre, infatti anche la volontà dell’evento e, per il secondo, che l’evento si sia verificato per imprudenza, negligenza 0 imperizia ovvero inosservanza di leggi regolamenti ordini 0 discipline.

A norma dell’art. 1161 c.n. è punito "chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico …".

L’utilizzo dell’avverbio "arbitrariamente" connota l’elemento psichico del reato facendolo rientrare tra quelle ipotesi cd. ad illiceità speciale (spesso rinvenibili laddove il legislatore usi avverbi simili: es. "indebitamente", art. 328 c.p.) che qualificano l’elemento soggettivo, non nel senso di comportare l’esigenza di un dolo specifico, ma ove si sottolinea la necessità della precisa consapevolezza di agire in violazione del disposto normativo e, di avere, ciò nonostante proseguito. Cosi è, pertanto, nel caso dell’omissione di atti di ufficio (Sez. 6^, 15.11.84, Frangini, Rv.

168219; Conf. Rv. 155315 e n. 142076) e così, ad esempio, anche nel caso di arresto o perquisizione illegali ( artt. 606 e 609 c.p.) ove si è detto che l’abuso o l’arbitrarietà dell’atto compiuto, oltre ad essere parte integrante del fatto di reato, "condiziona anche la sussistenza del dolo, che consiste nella coscienza e volontà dell’abuso delle funzioni da parte dell’agente" (sez. 6^, 18.1.96, Geracetano, Rv. 204497).

Trasferendo tali rilievi nella fattispecie in esame, è più che mai evidente che la sussistenza dell’elemento psichico del reato contestato non può essere rinvenuta in modo alquanto semplicistico (ed al limite del dolus in re ipsa) nel semplice fatto di avere consapevolmente continuato ad occupare lo spazio pubblico oltre il termine di scadenza della concessione dovendosi, piuttosto, avere riguardo al "modo" in cui tale occupazione – pur consapevole – sia avvenuta per verificare la sussistenza anche della volontà dell’evento.

In tale prospettiva, però, il caso concreto qui portato all’attenzione impedisce di concludere l’indagine in modo positivo perchè tale ipotizzata "volontà di proseguire arbitrariamente l’occupazione" è contraddetta dalla diversa condotta di avere, tempestivamente (come sottolineato dal giudice di merito), avanzato richiesta di rinnovo della concessione. Nè su tale chiaro atteggiamento della volontà può incidere l’errore commesso nell’avanzare la richiesta di rinnovo – vale a dire richiedere il rinnovo della concessione vera e propria, e non semplicemente il rilascio della cd. concessione provvisoria – posto che, in ogni caso, si è trattato di azione incompatibile con la volontà dell’agente di usufruire dello spazio demaniale "arbitrariamente", vale a dire, senza concessione.

La sostanziale validità della decisione impugnata è, peraltro, confermata anche dalla sottolineatura, in essa contenuta, della estrema brevità del periodo di occupazione senza titolo. Ed infatti, la concessione è poi stata rilasciata dalla P.A. solo 18 giorni dopo la scadenza della precedente (ad ulteriore dimostrazione dell’assenza di qualsivoglia controversia o trattativa che potesse assimilare la presente fattispecie a quella di cui al precedente giurisprudenziale evocato dal ricorrente) mettendo anche in luce la estrema modestia della offensività della condotta posta in essere dall’agente (sempre che la si voglia ravvisare posto che, anche a valutarla in termini di reato di pericolo, e quindi ex ante, l’assenza di danno è in re ipsa per il fatto di essersi l’agente attivato in tempo – – "il 13.12.06, ben prima della scadenza" – per ottenere il rinnovo della concessione).
P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;

rigetta il ricorso del P.M..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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