T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 13-05-2011, n. 695 agricoltura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le Aziende agricole ricorrenti riferiscono di essere produttrici di latte vaccino adoperato essenzialmente per la produzione di formaggi D.O.P.

In punto di fatto gli esponenti ripercorrono l’evoluzione storica del regime delle quote latte, lamentando che:

o lo Stato italiano non ha mai dato corretta attuazione al sistema comunitario di commercializzazione del latte, intervenendo altresì tardivamente;

o i bollettini di assegnazione delle quote – emanati dal 1995 in avanti – scontano evidenti vizi di legittimità;

o le Commissioni governative di indagine hanno accertato fenomeni truffaldini nella gestione delle quotelatte: nel 2002 in particolare si è acclarato che oltre 20.000 aziende dichiaravano falsamente di produrre, creando una situazione di apparente eccedenza rispetto al monte quote comunitario ed un iniquo conteggio di multe per prelievo supplementare;

o con il D.L. 411/1997 conv. in L. 5/98 A.I.M.A. è stata incaricata di accertare retroattivamente i quantitativi di latte prodotti e commercializzati nelle annate 1995/96 e 1996/97, con l’ausilio di Regioni e Provincie autonome;

o il D.M. 17/2/1998 (sospeso dal T.A.R. Lazio) ha previsto che A.I.M.A. si basasse su dati statistici ed induttivi per il calcolo delle produzioni 1995/96 e 1996/97;

o A.G.E.A. ha reiterato le comunicazioni di assegnazione retroattiva dei Q.R.I. (quantitativi di riferimento individuale), che di fatto non è stata ancorata ai dati effettivi;

o l’Italia non si è mai adeguata agli aumenti della quota consegne effettuata con i regolamenti CE 749/2000 e 603/2001;

o in mancanza di un conteggio delle quantità effettive, lo Stato italiano ha riproposto i Q.R.I. inattendibili di cui alla L. 468/92;

o il legislatore italiano, con il D.L. 49/2003 conv. in L. 119/2003, ha disatteso la normativa comunitaria prevedendo una compensazione non in base ai dati definitivi di fine campagna ma sulla base dei dati mensili di versamento.

Le ricorrenti producono in atti l’ordinanza del Tribunale di Bassano del Grappa dell’1/12/2004, con la quale, su ricorso promosso da numerosi di essi, veniva ordinato ai primi acquirenti (Coop. Iris Latte) di non versare all’amministrazione (anche per il periodo 2004/2005) alcuna somma a titolo di prelievo supplementare in nome e per conto dei rispettivi soci conferenti ricorrenti, e di restituire eventuali somme trattenute sul prezzo del latte consegnato nel periodo 1 settembre 2004 / 31 marzo 2005.

La Regione Lombardia, con le impugnate note del 23, 24 e 27/3/2006, riscontrava la mancata prova dell’avvenuto versamento del prelievo supplementare dovuto con riferimento al periodo 2004/2005 e rilevava l’insussistenza di una giusta causa del mancato pagamento: pertanto, ai sensi dell’art. 1 comma 9 del D.L. 28/3/2003 n. 49 conv. in L. 30/5/2003 n. 119 intimava il versamento della somma a titolo di prelievo supplementare e interessi, avvertendo che, decorsi 20 giorni senza la prova dell’avvenuto versamento, avrebbe avviato la riscossione coattiva mediante ruolo delle somme dovute, procedendo alle relative procedure sanzionatorie.

Con ricorso ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione le ricorrenti impugnano l’intimazione di pagamento, esponendo le seguenti censure in diritto:

a) Violazione di legge per inosservanza dell’ordine del giudice ordinario ed eccesso di potere per illegittimità ed ingiustizia manifesta, sviamento, difetto di motivazione e contraddittorietà con precedenti atti della Regione, in quanto il provvedimento d’urgenza del Tribunale di Bassano del Grappa ha inibito al primo acquirente ogni versamento a titolo di prelievo supplementare dai soci produttori;

b) Illegittimità per violazione e falsa applicazione dei regolamenti comunitari disciplinanti la materia e per mancata disapplicazione della normativa nazionale incompatibile, inosservanza degli artt. 3 e 7 della L. 241/90, poiché:

I. i Q.R.I. per il periodo 2004/2005 sono stati assegnati senza conteggiare le effettive quantità del latte prodotto e commercializzato in Italia; risultano dunque inattendibili – in quanto elaborati su parametri statistici ed induttivi – ed indebitamente dotati di efficacia retroattiva, incidendo in modo sensibile sull’iniziativa economica delle imprese;

II. è stata illegittimamente limitata in pejus la produzione;

III. sono stati lesi i principi di certezza del diritto, legittimo affidamento, non discriminazione e proporzionalità;

IV. le comunicazioni sono avvenute solo in corso di campagna (quando le quote devono essere note all’inizio del periodo) con avvisi non motivati (in particolare sull’entità inferiore alle produzioni aziendali) e non definitivi;

V. è mancata la pubblicità adeguata e la preventiva comunicazione individuale delle quote.

c) Violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria da parte di quella nazionale, illegittimità per omessa verifica a fine campagna dell’effettivo quantitativo di ogni singolo produttore – indispensabile per assicurare che la somma dei Q.R.I. non superi il Q.G.G. (quantitativo globale garantito) assegnato allo stato italiano – mancanza di motivazione e violazione del procedimento tipizzato di compensazione nazionale;

d) Violazione e falsa applicazione della normativa nazionale precedente all’emanazione del D.L. 49/2003 conv. in L. 119/2003, illegittimità degli atti presupposti a quelli impugnati e conseguente invalidità derivata dei secondi; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e seg. e 7 e seg. della L. 241/90;

e) Violazione della normativa comunitaria per l’indebita previsione del calcolo del prelievo mensile e di un sistema di restituzione che premia categorie non contemplate dal regolamento CE 1392/01 (produttori che hanno effettuato il prelievo mensile).

Le ricorrenti sollevano questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 4, 25, 4042, 97, 117118, 24 e 25 della Costituzione sotto i profili della certezza del diritto, del diritto all’eguaglianza e alla tutela del lavoro, di sicurezza e libertà dei traffici e tutela dell’ordine pubblico economico, del buon andamento dell’amministrazione, del diritto di difesa, tutti compressi da disposizioni retroattive, presuntive e provvisorie che producono effetti sfavorevoli nei confronti dei destinatari, che attribuiscono quote fuori termine, non danno dimostrazione del superamento del QGG nazionale e penalizzano i produttori che non hanno effettuato i versamenti mensili.

Le ricorrenti chiedono altresì di deferire alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni nazionali che prevedono il versamento del prelievo senza la preventiva verifica del superamento – da parte dello Stato membro – del quantitativo globale garantito ad esso assegnato. Chiedono inoltre di esaminare la compatibilità dei regolamenti CEE nella parte in cui prevedono un contingentamento nel settore lattiero, con gli artt. 32 e 33 del Trattato.

Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, eccependo in rito l’inammissibilità del ricorso e chiedendone la sua reiezione nel merito perché infondato. Si è costituita altresì A.G.E.A., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con ordinanza n. 1357 adottata nella Camera di consiglio del 12/9/2006 questo Tribunale ha respinto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati valorizzando l’insussistenza del periculum in mora, ed il Consiglio di Stato si è pronunciato nello stesso senso con ordinanza della sez. VI n. 1350 del 13/3/2007.

Alla pubblica udienza del 13/4/2011 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Le ricorrenti censurano le note regionali recanti l’intimazione a versare somme a titolo di prelievo supplementare e interessi per la campagna 2004/2005.

1. Il Collegio deve anzitutto esaminare l’istanza formulata durante l’udienza pubblica di discussione dal legale delle ricorrenti, tesa a far dichiarare la cessazione della materia del contendere a seguito dell’entrata in vigore della L. 33/2009. In detta sede gli avv.ti delle parti resistenti si sono opposti insistendo per la reiezione del gravame.

1.1 Ai sensi dell’art. 34 (rubricato "sentenze di merito") comma 5 del Codice del processo amministrativo, "Qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere". La pronuncia non ha dunque solo valenza processuale, ma racchiude l’accertamento della situazione giuridica accampata dall’esponente e del rapporto giuridico controverso. Ad identica conclusione si poteva pervenire con l’abrogato art. 23 comma 7 della L. 1034/71, ai sensi del quale doveva essere dichiarata cessata la materia del contendere a seguito dell’adozione, da parte della p.a., di provvedimenti integralmente satisfattivi della posizione sostanziale fatta valere in giudizio (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III – 5/5/2010 n. 1227).

1.2 In questa prospettiva, la giurisprudenza richiedeva la concorde dichiarazione del ricorrente e dell’amministrazione resistente in ordine alla satisfattività dei provvedimenti successivi adottati nelle more del giudizio, fermo restando il poteredovere del giudice di qualificare correttamente gli effetti derivanti dall’adozione di siffatti provvedimenti successivi (Consiglio di Stato, sez. V – 12/12/2009 n. 7800).

Anche per il processo civile la Corte di Cassazione (sez. III civile – 8/7/2010 n. 16150; sez. III civile – 8/9/2008 n. 22650) ha affermato che la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice con la pronuncia deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale.

Premesso che nella fattispecie le dichiarazioni delle parti non sono convergenti, in ogni caso le stesse non sono comunque arbitre della formula terminativa del processo, che spetta al giudice pronunciare interpretando la loro condotta processuale.

1.3 La cessata materia del contendere può essere definita come un’ipotesi qualificata di sopravvenuta carenza di interesse. L’elemento che la contraddistingue è costituito dalla causa che determina l’effetto estintivo del giudizio per cui l’amministrazione, con le proprie determinazioni, ha dato piena soddisfazione alla pretesa sostanziale azionata dall’interessato in giudizio: per pronunciare la cessata materia del contendere, quindi, è necessario verificare se il provvedimento sopravvenuto abbia determinato in modo davvero completo ed esauriente la realizzazione della pretesa fatta valere (Consiglio di Stato, sez. V – 13/8/2007 n. 4449).

1.4 Nella fattispecie parte ricorrente non si richiama ad un atto amministrativo ma alla L. 9/4/2009 n. 33, di conversione del D.L. 10/2/2009 n. 5, il quale all’art. 8bis introduce disposizioni in materia di quotelatte. In assenza di specificazioni delle ricorrenti, il Collegio è dell’avviso che gli effetti favorevoli prodotti nei loro confronti dalla novella legislativa investano le campagne 2007/2008 e 2008/2009, oltre alle successive (art. 8bis commi 1 e 2). Non essendo prevista un’ulteriore portata retroattiva delle nuove norme, deve essere esclusa un’interferenza con l’annata oggetto del presente gravame, rispetto alla quale le amministrazioni non hanno adottato alcun provvedimento in qualche modo sattisfattivo della pretesa azionata.

1.5 Anche in presenza dell’opposizione della Regione Lombardia, l’istanza formulata deve essere quindi respinta.

2. Non può essere accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dedotta da AGEA, atteso che detta amministrazione – che invero non ha in essere l’atto impugnato né ha concorso alla sua emanazione – è stata correttamente evocata in giudizio in quanto costituisce oggetto di contestazione l’intero sistema di determinazione del prelievo annuale, calcolato sulla base del QGG e dei dati nazionali, rispetto ai quali AGEA vanta precise competenze. Non si può dunque disporre l’estromissione dell’amministrazione statale.

3. La Regione Lombardia deduce l’inammissibilità del ricorso cumulativo in quanto l’atto introduttivo – promosso da più produttori e da Cooperative prime acquirenti malgrado la posizione differenziata di ciascuno di essi – non permetterebbe di ricostruire la pluralità dei rapporti giuridici, dei quali resterebbero totalmente incerti "petitum" e "causa petendi".

L’eccezione è priva di fondamento.

3.1 Se il principio per il quale il divieto di ricorso cumulativo è finalizzato ad evitare confusione tra controversie del tutto differenti o innescate da atti amministrativi promananti da autorità diverse e senza alcun collegamento tra loro, le note impugnate provengono dalla medesima amministrazione regionale e sono censurate sotto il profilo della lesione dello stesso bene della vita in titolarità ai produttori interessati, costituito dall’asserita illegittimità dei limiti massimi fissati con il meccanismo delle quotelatte.

Il principio per cui il gravame deve essere rivolto a pena di inammissibilità contro un solo atto ovvero contro atti diversi, purché collegati, va inteso senza formalismi, ed in termini di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, sicché risulta ammissibile il ricorso cumulativo quando sussistono oggettivi elementi di connessione tra i diversi atti ovvero quando le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto, o siano riconducibili nell’ambito di un medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale (Consiglio di Stato, sez. IV – 27/11/2010 n. 8251; sez. IV – 18/3/2010 n. 1617; T.A.R. Lazio Roma, sez. I – 2/8/2010 n. 29508).

Alla luce del delineato filone interpretativo, la tesi regionale non può essere condivisa.

4. Quanto alle ulteriori questioni processuali:

– è infondata l’eccezione di inammissibilità del gravame in quanto rivolto avverso atti ricognitivi, poiché le ricorrenti sono potenzialmente incise dalle note impugnate che quantificano il tetto massimo di latte che i rispettivi allevamenti sono abilitati a produrre: sono ravvisabili provvedimenti suscettibili di arrecare un pregiudizio nella sfera giuridica dei destinatari, che aspirano al venir meno dei valorisoglia attribuiti;

– l’eccezione di tardività esposta con riguardo alle precedenti comunicazioni non coglie nel segno, dato che le ricorrenti impugnano direttamente le note riferite alla campagna 2004/2005, seppur ricostruendo in chiave critica le vicende normative e procedimentali pregresse;

– non si ravvisa carenza di interesse in capo alle Cooperative prime acquirenti, tra l’altro destinatarie dell’ordine di un giudice di non effettuare il prelievo nei confronti dei conferenti: esse sono senz’altro lese dal provvedimento impugnato che impone il versamento di somme non trattenute, e che in caso di inadempienza si renderebbero responsabili in proprio e subirebbero una procedura coattiva (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia – 25/1/2006 n. 74 e n. 75).

5. Alla luce dei precedenti di questo Tribunale (cfr. da ultimo sentenze sez. II – 7/4/2011 n. 528; 16/3/2010 n. 1224; 30/4/2010 n. 1650; si vedano anche le pronunce 25/5/2006 n. 643; 25/1/2006 n. 74 e n. 75) le censure di cui alle lett. b), c), d), e) dell’esposizione in fatto, con cui si lamenta sotto diversi profili l’incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria, sono infondate alla luce dei fondamentali principi affermati dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con la sentenza della sez. VI – 25/3/2004 n. 480.

5.1 Il regime delle quote latte, limitativo per alcuni aspetti della libertà d’impresa, è stato introdotto essenzialmente nell’interesse dei produttori cosiddetti marginali, al fine di evitare l’espulsione dal mercato europeo delle aziende aventi costi di produzione più elevati e garantire un prezzo di vendita remunerativo per tutti.

Come precisato in detta pronuncia al punto 73, l’introduzione, nella Comunità Europea, del sistema delle c.d. quotelatte, persegue infatti lo scopo di "(…) ristabilire l’equilibrio fra domanda e offerta sul mercato lattiero, caratterizzato da eccedenze strutturali, limitando la produzione lattiera".

Nella medesima pronuncia la Corte, valorizzando tale finalità di politica economica sul mercato agricolo, ha escluso che il prelievo supplementare abbia carattere di sanzione, costituendo semmai misura di politica economica (cfr. punto 74 della sentenza).

Le doglianze di contrasto con la normativa comunitaria devono essere esaminate con riguardo alla citata sentenza del giudice comunitario, il quale ha affermato che:

– ogni Stato membro deve dare esecuzione alla normativa comunitaria attraverso le norme del proprio diritto nazionale;

– il regime del prelievo supplementare sul latte ha per obiettivo lo sviluppo razionale della produzione lattiera, la stabilizzazione del reddito degli allevatori ed il mantenimento di un equo tenore di vita della popolazione agricola;

– tali finalità sarebbero compromesse se, a seguito di un’erronea determinazione dei quantitativi individuali di riferimento, la produzione lattiera di uno Stato membro superasse il suo quantitativo globale garantito;

– il diritto comunitario impone perciò agli Stati membri di disporre adeguati mezzi di controllo per verificare la corretta riscossione del prelievo supplementare sul latte commercializzato;

– le misure italiane di correzione e rettifica "a posteriori" sono idonee a realizzare i fini perseguiti dal regime comunitario sul prelievo supplementare sul latte e non sono sproporzionate.

Detta pronuncia ha ancora statuito che, poiché le prime disposizioni legislative dirette ad attuare il regime del prelievo supplementare sul latte sono state adottate in Italia nel 1992 e poichè il pagamento del prelievo è stato richiesto ai produttori di latte italiani a partire dalla campagna lattiera 1995/1996, non può certo configurarsi un legittimo affidamento in ordine al mantenimento di una situazione manifestamente illegale rispetto al diritto comunitario: i produttori di latte degli Stati membri non possono legittimamente aspettarsi, molti anni dopo l’istituzione di tale regime, di poter continuare a produrre latte senza limiti.

Inoltre, ha aggiunto la Corte, poco importa che gli errori nella determinazione dei quantitativi di riferimento siano stati rilevati dopo che i provvedimenti nazionali adottati per l’attuazione del regime del prelievo supplementare fossero stati oggetto di un ricorso amministrativo o giurisdizionale, o nell’ambito della verifica di regolarità della cessione di una quota latte, o ancora a seguito di una modifica della normativa nazionale diretta a renderla compatibile con il diritto comunitario: nessuna di queste ipotesi può incidere sull’obbligo delle autorità italiane di rettificare i quantitativi di riferimento individuali errati, al fine di assicurare la corretta esecuzione del regime comunitario del prelievo supplementare sul latte.

Alla luce di tale pronuncia non può che essere dichiarata l’infondatezza delle censure volte a contestare il sistema nazionale delle quote latte ed il difetto o l’insufficienza di motivazione, per il denunciato contrasto con la normativa comunitaria, ed appaiono manifestamente infondate sia la questione di legittimità costituzionale prospettata che la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità europee.

5.2 E’ stato peraltro anche rilevato (T.A.R. Sardegna, sez. II – 28/12/2009 n. 2456) che il prelievo supplementare è inquadrabile non già tra i provvedimenti di carattere sanzionatorio, bensì tra gli interventi intesi a regolarizzare i mercati agricoli ed è destinato al finanziamento delle spese del settore lattiero: ne consegue che, oltre al suo obiettivo manifesto di obbligare i produttori di latte a rispettare i quantitativi di riferimento ad essi attribuiti, il prelievo supplementare ha anche una finalità economica, in quanto mira a procurare alla Comunità i fondi necessari allo smaltimento della produzione realizzata dai produttori in eccedenza rispetto alle loro quote, il che giustifica una "applicazione postuma" dello stesso prelievo. In secondo luogo si è rilevata l’estrema difficoltà per le autorità competenti di ricostruire tempestivamente le quote individuali applicabili ed i quantitativi effettivamente prodotti, trattandosi di grandezze necessariamente influenzate da variabili – quali la verifica sulla veridicità delle dichiarazioni, le frequenti cessioni di quote da un produttore ad un altro e la stessa compensazione nazionale – che per loro natura tendono a protrarsi in un arco di tempo più esteso rispetto all’esercizio di riferimento, per cui impedire all’A.I.M.A. di effettuare imposizioni retroattive significherebbe, nei fatti, frustrare gravemente l’effettività dell’intero sistema delle quote latte.

5.3 Sulle questioni dedotte nel presente ricorso si è altresì pronunciato il Consiglio di Stato con le sentenze della sez. VI – 8/6/2009 n. 3487; 23/2/2009 n. 1052 e 14/1/2009 n. 130.

Sotto un profilo generale, l’organo di appello ha statuito che la legittimità della rideterminazione delle quote latte con effetto retroattivo non appare contestabile, come già evidenziato in passato dalla Corte costituzionale. Quest’ultima infatti, con la decisione n. 272 del 7/7/2005 ha affermato che non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo alle disposizioni nazionali (art. 1 commi 3 e 4 del D.L. 1/3/1999 n. 43 conv. con modificazioni, in L. 27/4/1999 n. 118) che attribuiscono all’A.I.M.A. (oggi A.G.E.A.) il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali con effetto retroattivo. Ha rilevato la Corte che "Il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali – attribuito in via transitoria all’AIMA – ai fini dell’esecuzione della compensazione nazionale, si giustifica, sul piano costituzionale, per l’esigenza di perseguire interessi territorialmente infrazionabili, mentre rientra nella discrezionalità del legislatore nazionale determinare le concrete modalità di gestione delle funzioni assegnate all’AIMA nei limiti in cui le stesse siano strettamente funzionali al raggiungimento delle suddette finalità, senza che assuma rilievo la natura retroattiva di talune previsioni, in quanto le stesse si giustificano, in ossequio alle prescrizioni comunitarie e di quanto già riconosciuto dalla Corte di giustizia, alla luce della necessità di adeguare i quantitativi individuali e il sistema di compensazione alle risultanze delle verifiche svolte dagli organi a ciò preposti".

Nella stessa pronuncia, peraltro, è stata resa l’importante affermazione secondo cui la rettifica della compensazione delle "quotelatte" – disposta anche retroattivamente – appare sorretta costituzionalmente (e non contrasta con le competenze regionali) dalla normativa comunitaria come interpretata dalla Corte di giustizia europea, secondo cui si deve intendere consentito alle autorità nazionali di effettuare anche ex post, ossia successivamente alla campagna lattiera interessata, le rettifiche necessarie a fare in modo "che la produzione esonerata da prelievo supplementare di uno Stato non superi il quantitativo globale assegnato a tale Stato".

La Corte giustizia CE – sez. VI, 25/3/2004 n. 480 – aveva già ravvisato la correttezza di siffatto modus procedendi, statuendo che "gli art. 1 e 4 del regolamento (Cee) del Consiglio 3950/92 (che istituisce un prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari), nonché gli art. 3 e 4 del regolamento (Cee) della Commissione 536/93, (che stabilisce le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari), devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che a seguito di controlli uno Stato membro rettifichi i quantitativi di riferimento individuali attribuiti ad ogni produttore e conseguentemente ricalcoli, a seguito di riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti, successivamente al termine di scadenza del pagamento di tali prelievi per la campagna lattiera interessata".

Il Consiglio di Stato ha richiamato in proposito il dovere solidaristico generale di cui all’art. 2 della Costituzione, che può talora giustificare i sacrifici imposti ai privati nel perseguimento di interessi nazionali superiori, che in tal caso discendono dall’obbligo – avente del pari copertura costituzionale – di conformarsi ai Trattati internazionali.

6. Quanto alle ulteriori doglianze (da b) ad e) del presente gravame può essere rilevato che:

o è infondata la censura di mancata comunicazione di avvio del procedimento, atteso che le note impugnate rivestono natura sostanzialmente vincolata, con conseguente applicabilità dell’art. 21octies comma 2 della L. 241/90: in tali fattispecie ciò che conta non è la formulazione di una specifica eccezione, quanto la dimostrazione della ineluttabilità (e, quindi, della correttezza) dell’attività svolta (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I – 16/12/2010 n. 4747);

o la normativa vigente prevede la comunicazione della quota assegnata al soggetto obbligato, ma non impone che la stessa sia portata nella sfera di conoscenza del destinatario utilizzando le forme della notifica degli atti giudiziari;

o la distinzione tra quota A e quota B è espressamente prevista dal D.L. 49/2003 conv. in L. 119/2003 (art. 2), senza che siano ravvisabili violazioni del diritto comunitario;

o il Consiglio di Stato (sez. VI – 8/6/2009 n. 3487) ha sottolineato che, nell’attribuzione dei quantitativi, "non sussiste difetto di motivazione e violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento, in quanto la procedura stessa è caratterizzata dall’attribuzione ai produttori di un quantitativo provvisorio, in genere uguale al dato storico dell’anno precedente, che è loro comunicato con possibilità di indicare eventuali nuovi elementi; inoltre, il provvedimento di determinazione finale degli importi dovuti costituisce l’esito di mere operazioni aritmetiche e, comunque, è anche in questo caso comunicato ai produttori, che possono entro venti giorni inviare ogni documentazione utile per procedere alla modifica dell’importo; da ciò deriva che la partecipazione al procedimento è assicurata e che, anche esercitando il diritto di accesso agli atti, le aziende possono verificare i conteggi, la cui determinazione non richiede una motivazione, trattandosi appunto di un mero calcolo, sulla base di dati comunque contenuti negli atti delle amministrazioni".

6.1 Sotto quest’ultimo profilo, si rinvia alla pronuncia recente del T.A.R. Lazio Roma, sez. IIter – 10/5/2010 n. 10588 (già diffusamente citata nel proprio precedente 7/4/2011 n. 529) che ha statuito sulla procedura di accertamento "postuma" introdotta dalla normativa nazionale, precisando che la stessa "…. non corrisponde al vero che l’A.I.M.A. abbia accertato la quota di produzione in via presuntiva, residuando questa ipotesi nel solo caso in cui l’interessato non si sia opposto alla determinazione del Q.R.I. (facendo così diventare definitivo quanto emerso con le risultanze incrociate, attraverso cioè il modello L1 e i rilievi dell’ASL) e quando, nel contempo, non siano state riscontrate anomalie nelle autodichiarazioni ovvero non si fosse a conoscenza di indagini (penali) conseguenti a dichiarazioni false inserite nei modelli di che trattasi da parte dei soggetti interessati. Del resto, il mancato accertamento effettuato "a tappeto" da parte degli organismi amministrativi di controllo (in particolare, A.I.M.A. e Regioni) non può tradursi in un vizio di legittimità della procedura di accertamento della quota di produzione del latte in quanto questi devono poter fare affidamento sulle dichiarazioni dei produttori e dei primi acquirenti, salvo il riscontro di anomalie accertate sulla base di incongruenze ivi contenute ovvero di controlli incrociati di immediata verifica".

6.2 Nella fattispecie del resto non sono rintracciabili elementi dai quali poter evincere l’assoluta erroneità dei calcoli effettuati da AGEA ai fini dell’assegnazione del QRI alle singole imprese deducenti. Nella documentazione allegata al ricorso, gli istanti non hanno infatti ricostruito la specifica vicenda che ha riguardato ciascuno di loro dal momento dell’assegnazione della quota di riferimento individuale, in modo tale da mettere il Collegio nelle condizioni di poter valutare gli eventuali errori commessi dall’Ente impositore. Le ricorrenti si limitano a censurare le modalità di individuazione e di assegnazione dei QRI a livello nazionale (con riferimento cioè a tutti i produttori) senza segnalare nulla con riferimento a lacune, carenze ed omissioni commesse nella determinazione della quota assegnata. A fronte dei quantitativi di riferimento indicati da AGEA le ricorrenti nulla hanno contestato nello specifico indicando, ad esempio, il dato produttivo iniziale, la modalità di individuazione della quota assegnata e l’eccessivo (e quindi ingiustificato) scostamento tra i due quantitativi.

6.3 Quanto alla contestazioni sul sistema delle restituzioni e sull’indebito privilegio riservato ad alcune categorie, il Collegio richiama la propria precedente pronuncia 8/7/2010 n. 2473 che ha condiviso le argomentazioni addotte nella sentenza T.A.R. Lazio n. 4095/2010.

7. E’ invece fondato il primo motivo di ricorso, con il quale le ricorrenti lamentano la mancanza in concreto dei presupposti per la pretesa del versamento delle somme contestate (cfr. le già citate sentenze di questo Tribunale 25/5/2006 n. 643; 25/1/2006 n. 74 e 75 queste ultime confermate dal Consiglio di Stato, sez. VI – 15/12/2009 n. 7933 e 7934).

Come già affermato da questa Sezione (cfr. sentenza 30/4/2010 n. 1349), il provvedimento cautelare del giudice civile imponeva senza riserve né possibilità di equivoco ai primi acquirenti di non versare proprio le somme oggetto della pretesa di cui al provvedimento impugnato. In particolare ordinava di non versare alcuna somma all’amministrazione a titolo di prelievo supplementare in nome e per conto dei rispettivi soci conferenti anche per il periodo 2004/2005, e di restituire eventuali somme trattenute sul prezzo del latte consegnato in tale campagna. Il relativo giudizio risultava ancora pendente alla data di adozione dell’atto impugnato. Non può assumere rilievo il fatto che la Regione non sia stata (come sembra emergere dagli atti prodotti) evocata in quel giudizio e fosse all’oscuro dell’iniziativa del giudice, in quanto il provvedimento giurisdizionale si impone univocamente ai suoi destinatari – tra i quali rientrano le ricorrenti – mentre l’amministrazione, in qualità di soggetto terzo, è tenuta a prenderne atto e ad osservarlo, salva la possibilità di far valere con altri mezzi le proprie ragioni.

In secondo luogo, premesso che non rileva il difetto di giurisdizione (in quanto il Tribunale ha ritenuto di pronunciarsi con ordinanza produttiva di effetti), la circostanza che il ricorso sia stato in epoca posteriore respinto nel merito (cfr. sentenza Trib.le Bassano 323/2007 in atti) non può ripercuotersi sul principio tempus regit actum, anche se la Regione ha il potere/dovere di tenerne conto in sede di riedizione della potestà amministrativa.

In definitiva, sotto tale profilo, la censura di cui al primo motivo di ricorso è fondata e merita accoglimento, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

8. La soccombenza reciproca e la complessità di numerose questioni (non univocamente risolte all’epoca dei fatti) costituiscono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti in causa.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *