T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 13-05-2011, n. 1238 Legittimazione processuale Ricorso giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con le ordinanze di cui in epigrafe i Sindaci dei comuni sopra menzionati, richiamata la vigente normativa in materia di iscrizione anagrafica degli stranieri extracomunitari e comunitari, preso atto che a seguito della entrata in vigore della nuova disciplina generale in ordine ai diritti di libera circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari si è verificato un fenomeno di esponenziale incremento delle richieste di iscrizione che, se non adeguatamente regolamentato, potrebbe assurgere a vera e propria emergenza sotto il profilo della salvaguardia della igiene e sanità pubblica, posto che, assai spesso, gli alloggi destinati ad ospitare i nuovi residenti versano in condizioni di degrado incompatibili con il requisito della abitabilità, palesando gravi carenze in ordine alla sussistenza dei requisiti minimi di salubrità previsti dalla legislazione vigente; considerato che tale situazione mette altresì a repentaglio l’incolumità, l’ordine e la sicurezza pubblica intesa nella sua più ampia accezione, hanno ritenuto di adottare adeguate misure di carattere preventivo volte ad accertare la sussistenza delle condizioni igienico sanitarie minime poste a garanzia della abitabilità degli alloggi nell’ambito dei procedimenti connessi alla richiesta di iscrizione anagrafica in applicazione del D.P.R. 223 del 1989 e della normativa nazionale di recepimento della Direttiva CE 38/04.

Avverso tali atti sono insorti i sig.ri S.M., M.A. M., T.K., in qualità di cittadini residenti in comuni della Brianza limitrofi a quelli emarginati, nonché l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere Lombardia e l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere Brianza, le quali annoverano fra i propri scopi statutari la promozione e la difesa, anche in sede legale, dei diritti degli immigrati e degli stranieri in genere.

I ricorrenti si ritengono lesi dalle ordinanze impugnate in quanto esse regolerebbero in modo notevolmente restrittivo la possibilità per tutti gli stranieri, comunitari ed extracomunitari di iscriversi nei registri anagrafici della popolazione residente tenuti dai comuni ove sono state adottate e, per tale ragione, chiedono che ne venga dichiarata la nullità o pronunciato l’annullamento per i seguenti

MOTIVI

1) Nullità ex art. 21 septies della L. 241/90 per difetto assoluto di attribuzione e discriminazione per motivi razziali o etnici.

I provvedimenti impugnati disciplinano le materie dell’anagrafe e della immigrazione che devono ritenersi di esclusiva competenza statale e, inoltre, prefigurano discriminazioni rilevanti ai fini dell’art. 43 del D.Lgs 25 luglio 1998 n. 286 perché introducono trattamenti ingiustificatamente più svantaggiosi in ragione della cittadinanza o della razza dei loro destinatari.

2) Violazione degli artt. 50 e 54 del D.Lgs 267 del 2000; eccesso di potere per carenza dei presupposti di legge per la emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti; eccesso di potere per difetto di motivazione, sviamento e carenza di istruttoria.

Il potere dei sindaci di emettere ordinanze contingibili ed urgenti in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, oppure per prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica dei cittadini, presuppone la necessità e l’urgenza di fronteggiare situazioni locali assolutamente eccezionali ed imprevedibili che, nel caso di specie, non ricorrono, non potendo considerarsi tali i generici riferimenti a non meglio precisate situazioni di precarietà abitativa conseguenti ad asseriti flussi migratori.

I provvedimenti impugnati sono, in realtà, finalizzati ad ostacolare in via permanente l’iscrizione dei cittadini stranieri nelle anagrafi dei comuni emarginati.

3) Violazione della L. 1228 del 1954 e del D.P.R. 223 del 1989.

I provvedimenti impugnati stravolgono il senso della disciplina statale delle registrazioni anagrafiche che è unicamente volta ad accertare situazioni di fatto, al fine di rendere identificabili i soggetti che dimorano stabilmente nello Stato e di rendere conoscibili i dati statistici relativi alla popolazione residente. Invece, le ordinanze introducono arbitrariamente presupposti e condizioni per l’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri affatto eccedenti rispetto a tale funzione.

4) Violazione dell’art. 117 comma 2 lett. b) Cost., dell’art. 160 del D.Lgs 112 del 1998, dell’art. 1 comma 3 lett. f) della L. 59 del 1997, degli artt. 5, 6, 9 e 31 del D.Lgs 286 del 1998, dell’art. 9 comma 3 del D.P.R. 223 del 1989, degli artt. 9 e 17 del D.P.R. 394 del 1999, del D.Lgs 251 del 2007, delle circolari del Ministero dell’Interno del 5/08/2006, del 19/04/2005, del 17/11/2006, del 2/04/2007; eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di motivazione, sviamento.

Le ordinanze impugnate sono altresì illegittime laddove subordinano l’iscrizione anagrafica dei cittadini extracomunitari a requisiti, adempimenti ed oneri probatori non previsti dalla vigente normativa. Ciò, in particolare, accade nei punti in cui esse prevedono: a) che lo straniero extracomunitario per ottenere l’iscrizione anagrafica debba essere munito di carta di soggiorno e debba esibire agli uffici il passaporto con regolare visto di ingresso; b) che lo straniero extracomunitario il quale abbia richiesto e non ancora ottenuto la carta di soggiorno debba dimostrare all’ufficiale di anagrafe di avere un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria.

5) Violazione del D.Lgs n. 30 del 2007.

Le ordinanze impugnate sono altresì illegittime nelle parti in cui introducono un regime restrittivo anche per l’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari.

In particolare esse richiedono che il cittadino UE sia tenuto a dimostrare il possesso dei requisiti previsti dal D.Lgs 30 del 2007 per il prolungamento del soggiorno per più di tre mesi sul territorio italiano ogniqualvolta intenda trasferire la propria residenza in uno dei comuni interessati anche qualora non si tratti della prima richiesta di iscrizione anagrafica da esso presentata dopo il trasferimento dal paese di origine.

6) Violazione degli artt. 46 e 47 del DPR 445 del 2000, violazione dell’art. 1 comma 2 della L. 241/90 e dell’art. 43 del D.Lgs 286 del 1998.

I sindaci dei comuni resistenti hanno illegittimamente previsto che gli uffici a cui venga richiesta l’iscrizione nei registri anagrafici da parte di cittadini stranieri debbano sistematicamente effettuare un controllo preventivo della veridicità delle circostanze da essi autocertificate ai sensi del DPR 445 del 2000 e debbano altresì accertare se i redditi dichiarati dagli stranieri per comprovare il diritto di soggiorno provengano da fonti lecite.

7) Violazione degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, dell’art. 1 della legge 241 del 1990 e dell’art. 43 del D.Lvo 286 del 1998.

In contrasto con la normativa che prevede controlli a campione in caso di fondati dubbi e con sistematico aggravio del procedimento, i provvedimenti sindacali hanno illegittimamente disposto il controllo generalizzato delle dichiarazioni sostitutive provenienti dagli stranieri, come se la loro provenienza fosse di per sé indice della loro dubbia veridicità. Il che concreta anche una illegittima discriminazione.

8) Violazione del DPR 223 del 1989 della L. 1228 del 1954 e dell’art. 222 del RD 1265 del 1934.

Le ordinanze impugnate pretendono, inoltre, di subordinare l’iscrizione anagrafica dei soli stranieri ad una verifica delle condizioni di salubrità ed abitabilità degli alloggi in cui essi intentono portare la propria residenza.

I provvedimenti impugnati sono stati sospesi cautelarmente da questo TAR con ordinanza del 8 maggio 2008.

Nelle more della decisione sul merito del ricorso, i Sindaci dei comuni resistenti hanno tuttavia emanato nuove ordinanze destinate a "sostituire" le precedenti.

In base a tali provvedimenti il potere di emettere provvedimenti finalizzati a disciplinare le iscrizioni anagrafiche dei cittadini stranieri si fonderebbe anche sul D.L. 92/08 convertito in legge 125/08 e sul relativo regolamento ministeriale di attuazione del 5/08/2008 che hanno ampliato l’ambito dei poteri di ordinanza sindacale prevedendo che il Capo dell’Amministrazione comunale, nella sua qualità di Ufficiale di governo, possa emanare provvedimenti anche di carattere non contingibile ed urgente al fine di prevenire gravi pericoli che minacciano l’incolumità e la sicurezza urbana intesa come bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa del rispetto delle norme che regolano la vita civile nell’ambito delle comunità locali, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale.

Rilevanti ai fini dell’esercizio di un potere di ordinanza in materia di anagrafe sarebbero inoltre: il comma 5 bis dell’art. 54 del D.Lgs 267/00 secondo cui il Sindaco segnala alle competenti autorità giudiziarie o di pubblica sicurezza la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’Unione Europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o allontanamento dal territorio dello Stato, nonché l’art. 1 comma 18 della L. 94/2009 nella parte in cui dispone che l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo a verifica da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza.

Le nuove ordinanze sindacali modificano sotto alcuni profili quelle precedenti.

In particolare, ai fini della iscrizione nei registri anagrafici del cittadino extracomunitario viene ora ritenuto sufficiente il permesso di soggiorno, con la precisazione, tuttavia che, gli stranieri in attesa di rilascio o di rinnovo di tale permesso debbono dimostrare di possedere un reddito superiore a quello previsto per l’esenzione dalla spesa sanitaria. Inoltre viene previsto che i cittadini extracomunitari al fine di ottenere la residenza nei comuni resistenti debbano altresì dare la dimostrazione della idoneità della sistemazione alloggiativa ai sensi dell’art. 1 comma 2 della L. 1228/54 come modificato dall’art. 1 comma 18 della L. 94/09. La dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dal D.Lgs 30 del 2007 è ora richiesta solo nei caso si tratti di prima iscrizione anagrafica dei cittadini UE dopo il trasferimento dal paese di origine.

Avverso i citati provvedimenti i ricorrenti hanno proposto i seguenti

MOTIVI AGGIUNTI

1) Violazione degli artt. 50 e 54 del D.Lgs 267 del 2000, violazione dell’art. 117 Cost, violazione della L. 1228 del 1954 e del D.P.R. 223 del 1989; eccesso di potere per travisamento dei presupposti e sviamento; incompetenza.

L’eliminazione del riferimento ai presupposti della contingibilità e della urgenza dall’art. 54 del D.P.R. 267 del 2000 non vale ad attribuire al sindaco un potere sostanzialmente normativo in materie, come l’immigrazione e l’anagrafe, riservate alla competenza legislativa esclusiva delloStato.

Il potere di ordinanza rimane finalizzato alla prevenzione e rimozione di gravi pericoli che minaccino l’incolumità o la sicurezza urbana, fra i quali non può certo essere annoverato il fenomeno migratorio.

2) Violazione del D.Lgs 30 del 2007, della circolare ministeriale del 6/04/2007, dell’art. 222 del R.D. 1265 del 1934, violazione degli artt. da 24 a 25 del D.P.R. 380 del 2001, violazione del D.Lgs 286 del 1998, violazione della L. 1228 del 1954.

L’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari viene condizionata alla dimostrazione di tetti reddituali rigidi in contrasto con l’art. 6 del D.Lgs 30 del 2007 che prevede solo il possesso di risorse sufficienti per non divenire un onere a carico della assistenza sociale dello stato ospitante.

I cittadini comunitari ed extracomunitari continuano, inoltre, ad essere discriminati da quelli italiani per quanto riguarda la validità delle autocertificazioni da essi presentate al fine di ottenere la registrazione nei registri anagrafici le quali vengono sottoposte a verifiche sistematiche e preventive.

Con riguardo ai cittadini extracomunitari i comuni interessati continuano ad arrogarsi il potere di verificare la sussistenza delle condizioni reddituali minime di cui al D.Lgs 286/98 le quali, invece, rilevano solo ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.

Si continua a chiedere ai cittadini extracomunitari di esibire all’ufficiale di anagrafe il passaporto con regolare visto di ingresso anziché il solo permesso di soggiorno.

Anche le nuove ordinanze sono censurabili nella parte in cui impongono ai soli cittadini extracomunitari la dimostrazione del possesso di un’idonea sistemazione alloggiativa.

Si sono costituiti i comuni resistenti che hanno opposto la inammissibilità e la reiezione del ricorso.

All’udienza del 2 marzo 2011, sentiti gli avvocati delle parti come da separato verbale, relatore Dr. Raffaello Gisondi, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Le Amministrazioni resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.

Esse affermano che le controversie concernenti i registri anagrafici della popolazione residente coinvolgono situazioni di diritto soggettivo in quanto afferenti ad un attività amministrativa di natura vincolata, con la conseguenza che la loro cognizione dovrebbe essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.

Ciò è senza dubbio vero con riguardo ai singoli atti o provvedimenti con cui il comune neghi l’iscrizione nei registri anagrafici o ometta di pronunciarsi su una corrispondente istanza.

Nel caso di specie, tuttavia, siamo di fronte ad un fenomeno diverso.

I sindaci dei comuni resistenti, infatti, hanno inteso esercitare un potere di ordinanza, o, in ogni caso, una potestà normativa finalizzata a governare, attraverso apposite disposizioni concernenti i servizi anagrafici, un presunto fenomeno migratorio suscettibile di minare l’igiene, l’incolumità e la sicurezza pubblica.

Le posizioni soggettive che stanno a fronte del predetto potere hanno natura di interesse legittimo in quanto esso non ha natura vincolata ma è il frutto di scelte discrezionali che, come meglio si dirà, innovano sotto plurimi aspetti sostanziali e procedurali la vigente disciplina legislativa in materia di iscrizioni anagrafiche.

In ogni caso, in relazione ai ricorsi recanti motivi aggiunti avverso la seconda serie di ordinanze emanate dai sindaci delle amministrazioni resistenti deve ritenersi operante l’art. 133 del codice del processo amministrativo che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti, anche contingibili ed urgenti, in materia di ordine, sicurezza pubblica, incolumità pubblica, di sicurezza urbana, di edilità, polizia locale, igiene pubblica e dell’abitato.

Le amministrazioni resistenti eccepiscono, poi, che i ricorsi sarebbero stati erroneamente incardinati contro i comuni e non contro i rispettivi sindaci autori delle ordinanze impugnate.

L’eccezione non ha pregio in quanto il sindaco è un organo del comune e, quindi, è chiaro gli atti da esso emanati debbano essere imputati all’amministrazione di appartenenza.

L’inammissibilità del ricorso viene, inoltre, eccepita per il fatto che esso sarebbe stato cumulativamente proposto contro più atti di amministrazioni diverse che non presentano fra loro profili di collegamento.

Anche tale eccezione è infondata in quanto il principio secondo cui il ricorso deve essere rivolto a pena d’inammissibilità contro un solo atto ovvero contro atti diversi, purché collegati, va inteso senza formalismi, in termini di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, sicché risulta ammissibile il ricorso cumulativo quando sussistono oggettivi elementi di connessione tra i diversi atti ovvero quando le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto (Cons. Stato, IV, 27/11/2010 n. 8251).

Nel caso di specie risulta evidente, attesa l’identità di contenuto delle ordinanze impugnate e delle censure formulate, che sussiste quella comunanza di presupposti di fatto e di diritto che ne giustifica la impugnazione con un unico ricorso.

Viene, poi, contestata anche la sussistenza di un rapporto di connessione fra le ordinanze sindacali impugnate con il ricorso principale e quelle successivamente impugnate con i motivi aggiunti che non potrebbero valere come ricorso autonomo in quanto notificati esclusivamente al procuratore costituito.

Anche tale rilevo non merita accoglimento. Ai fini della sussistenza del rapporto di connessione fra l’atto impugnato con motivi aggiunti e quello oggetto del ricorso principale, è sufficiente che il primo costituisca un "episodio della medesima lesione nei confronti dell’interesse della parte" (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 07 aprile 2008 n. 2877); cosa che, indubbiamente avviene nel caso di specie, tenuto conto che le ordinanze emanate in ottobre del 2010 reiterano le medesime prescrizioni restrittive del diritto all’iscrizione anagrafica degli stranieri che erano già contenute nelle precedenti ordinanze di dicembre 2007.

Le Amministrazioni eccepiscono ancora la carenza di interesse al ricorso per quei profili delle ordinanze impugnate che riproducono la circolare ministeriale n. 19 del 2007.

Anche tale eccezione è priva di pregio in quanto la circolare, per sua stessa natura, non costituisce atto presupposto la cui mancata impugnazione possa determinare preclusioni a valle impedendo la contestazione giudiziale dell’atto che ne abbia fatto applicazione.

Le amministrazioni resistenti affermano, inoltre, che le associazioni ricorrenti difetterebbero di legittimazione ed interesse a ricorrere.

Le missioni statutarie da esse invocate per radicare la loro legittimazione ad agire abbraccerebbero molteplici temi, che comprendono il disarmo, la tutela dell’ambiente, la fratellanza fra i popoli senza appuntarsi sugli interessi collettivi di una specifica categoria.

L’eccezione è infondata.

E’ vero che la legittimazione attiva degli organismi esponenziali di determinate categorie economicoproduttive è configurabile nella sola ipotesi in cui gli stessi agiscano a tutela di quegli interessi di categoria la cui protezione costituisce fine istituzionale delle associazioni stesse, senza che a tal fine possa valere il riferimento (nello statuto) ad un’esigenza di tutela di interessi di portata generale (T.A.R. Liguria Genova sez. I 03 febbraio 2003 n. 129).

Ed è vero altresì che l’astratta legittimazione delle associazioni di categoria a tutelare interessi collettivi orbitanti nelle materie di competenza deve essere verificata alla luce dei provvedimenti effettivamente impugnati e della loro concreta attitudine a ledere, in rapporto di diretta congruità, gli interessi medesimi (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 settembre 2005, n. 6582).

Nel caso di specie, tuttavia, non può dubitarsi del fatto che le associazioni ricorrenti siano statutariamente orientate alla integrazione degli stranieri nel territorio italiano (ciò emerge chiaramente dalla lettura "integrale" dei rispettivi statuti).

Esse sono, inoltre, dotate di effettiva rappresentatività della categoria sociale che intendono tutelare, come è dimostrato dalla loro inclusione nell’elenco delle associazioni che svolgono attività a favore degli immigrati la quale presuppone la verifica dello svolgimento di un’attività almeno biennale nel settore della integrazione degli stranieri (art. 54 D.P.R. 394/99).

Va, pertanto dichiarata la sussistenza della legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti le quali hanno un evidente interesse a contestare provvedimenti che restringono la possibilità dei cittadini stranieri di ottenere l’iscrizione anagrafica nei comuni resistenti, limitandone così la libertà di movimento ed ostacolandone l’accesso alle prestazioni assistenziali.

Il difetto di interesse a ricorrere va, invece, dichiarato con riguardo ai ricorrenti S.M., M.A. M., T.K. i quali non hanno dimostrato di avere un concreto ed attuale interesse individuale a portare la propria residenza in uno dei comuni che hanno emanato le impugnate ordinanze.

Nel merito il ricorso è parzialmente fondato.

Occorre preliminarmente osservare che i Comuni non sono titolari di ordinaria potestà regolamentare o, comunque, normativa, né per quanto riguarda la disciplina della condizione giuridica dello straniero né per quanto riguarda quella del servizio anagrafico.

La condizione giuridica dello straniero, infatti, rimane in linea di principio sottratta alle determinazioni della pubblica amministrazione essendo soggetta ad una riserva di legge tendenzialmente assoluta ( art. 10 Cost.), almeno per i profili sostanziali che riguardano l’esercizio delle libertà fondamentali.

L’art. 117 Cost. attribuisce le materie dell’immigrazione e della cittadinanza alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Allo Stato sono altresì attribuite le funzioni amministrative concernenti l’ingresso ed il soggiorno dello straniero extracomunitario (D.Lgs 286 del 1998). In tali materie, pertanto, in base al disposto dell’art. 117 comma 6° Cost., i comuni non possono esercitare alcuna potestà regolamentare.

La normativa interna che ha recepito la direttiva CE relativa al diritto di soggiorno e circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari fa coincidere l’ "iscrizione presso le autorità competenti" prevista dall’art. 8 della direttiva medesima con l’iscrizione nei registri anagrafici disciplinata dalla L. 1128 del 1954 e dal relativo regolamento di attuazione approvato con D.P.R. n. 223 del 1989.

In conseguenza di ciò l’iscrizione nei predetti registri dei cittadini UE e dei loro familiari viene subordinata al possesso di requisiti ulteriori rispetto allo stabilimento della dimora abituale nel comune ove essa viene richiesta.

Ciò non significa, tuttavia, che i comuni abbiano acquisito una potestà normativa che li abiliti a disciplinare sul piano sostanziale o su quello procedurale la registrazione negli elenchi anagrafici dei cittadini comunitari.

L’anagrafe è, infatti, un servizio di competenza statale che non rientra nelle attribuzioni delle amministrazioni locali, le quali ne hanno unicamente la gestione.

A tal fine occorre ricordare che ai sensi dell’art. 117 la competenza a legiferare nella predetta materia è attribuita in via esclusiva allo Stato; allo Stato compete altresì, in base al decreto legislativo 30.7.1999 n. 300, la funzione di vigilanza e di indirizzo sullo svolgimento del servizio, mentre la tenuta dei registri anagrafici è attribuita al Sindaco nella sua veste di Ufficiale del Governo (art. 14 decreto legislativo 267/2000)

Sicchè, anche ai fini della iscrizione dei cittadini stranieri appartenenti alla UE, il Sindaco deve limitarsi a fare applicazione delle norme esistenti senza poter in alcun modo innovare né gli aspetti sostanziali né quelli procedurali.

I provvedimenti impugnati, tuttavia, invocano a proprio fondamento anche il potere di ordinanza attribuito ai Sindaci dagli artt. 50 e 54 del D.Lgs 267/00.

Sul presupposto che l’apertura delle frontiere italiane ai cittadini UE ed extracomunitari starebbe determinando incontrollati flussi migratori suscettibili di mettere in pericolo l’igiene e la sicurezza pubblica, i Sindaci dei Comuni intimati hanno ritenuto di poter istituire forme di controllo di tale fenomeno attraverso l’emanazione di ordinanze che assicurino l’idoneità igienica ed abitativa delle unità in cui i cittadini stranieri intendono stabilire la propria dimora abituale e verificando, in taluni casi, la sussistenza dei requisiti reddituali prescritti dalla disciplina nazionale ai fini della regolarità del loro soggiorno nel territorio italiano.

L’emanazione dei predetti atti è stata tuttavia effettuata in difetto dei presupposti che legittimano l’esercizio del potere di ordinanza a livello comunale.

Infatti, il potere di ordinanza previsto dalle citate norme è volto a fronteggiare situazioni di pericolo per l’igiene, l’incolumità o la sicurezza pubblica che si manifestino a livello locale (art. 50 D.Lgs 267/2000 art. 1 DM 5/08/2008). Il Sindaco, pertanto, non ha la possibilità di dettare una disciplina particolare in relazione a fenomeni che interessino in ugual misura l’intero territorio nazionale o alcune zone dello stesso, come è, appunto, quello della immigrazione.

Questo è, invece, ciò che fanno le ordinanze impugnate, le quali, al di là del generico riferimento a imprecisati pericoli connessi ai flussi migratori da paesi extracomunitari e comunitari, non specificano quali siano le peculiari situazioni di criticità che tali eventi hanno determinato a livello locale, né individuano un limite temporale alla disciplina da esse introdotta che non appare, quindi, temporalmente correlata ad una specifica situazione di emergenza.

Nelle ordinanze del 2010, impugnate con i motivi aggiunti, la legittimazione del potere esercitato viene individuata nell’esigenza di tutelare la sicurezza urbana definita nei termini di cui all’art. 1 del DM 5/08/2008 come bene proprio delle comunità locali da proteggere attraverso azioni poste a difesa del rispetto delle norme che regolano la vita civile, la convivenza e la coesione sociale nei centri urbani.

Tuttavia, anche a prescindere dalla natura amministrativa del decreto invocato quale fonte del potere, nemmeno il riferimento alla nozione di sicurezza urbana vale a dare fondamento al tipo di provvedimento emanato dai sindaci delle amministrazioni resistenti.

Infatti, in conformità alla giurisprudenza di questo Tribunale, deve ribadirsi che, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle richiamate disposizioni, il concetto di "sicurezza urbana" di cui all’art. 54 co. 4 T.U.E.L. ed al D.M. 5 agosto 2008 deve farsi coincidere con la "sicurezza pubblica", vale a dire con l’attività di prevenzione dei fenomeni criminosi che minacciano i beni fondamentali dei cittadini (Corte Cost. 1 luglio 2009 n. 196), e non può, quindi, essere estesa fino a comprendere quegli strumenti volti all’eliminazione dei fenomeni di degrado che possono affliggere i centri urbani senza essere necessariamente correlati con esigenze di repressione della criminalità: con la conseguenza che il potere di ordinanza disciplinato dalla disposizione citata può essere esercitato a condizione che la violazione delle norme che tutelano la convivenza civile non assuma rilevanza solo in sé considerata, ma costituisca la premessa per l’insorgere di fenomeni di criminalità capaci di minare la sicurezza pubblica (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 6 aprile 2010, n. 981, in termini TAR Toscana, Sez. II, 5 gennaio 2011 n. 22).

Le ordinanze del 2010 nulla dicono a proposito del collegamento fra i paventati fenomeni migratori e l’esigenza di prevenire (concreti e specifici) fenomeni criminosi a livello locale, né illustrano come l’introdotta disciplina delle iscrizioni anagrafiche potrebbe contrastare i suddetti (ipotetici) fenomeni. Esse, pertanto, non possono trovare fondamento nemmeno nelle previsioni del nuovo art. 54 del D.Lgs 267 del 2000 e del D.M. 5/08/2008.

Nelle memorie delle amministrazioni resistenti si afferma che, in realtà, i provvedimenti impugnati non costituirebbero né atti normativi né ordinanze sindacali ai sensi degli artt. 50 e 54 del D.Lgs 267/00. Si tratterebbe invece di atti interni di indirizzo rivolti dai sindaci agli uffici al fine di garantire una migliore applicazione delle leggi vigenti anche alla luce delle circolari ministeriali emanate in materia.

Tale prospettiva, che implica una sostanziale reinterpretazione in chiave riduttiva e conservativa del potere esercitato, può essere accolta, ma non vale a salvare l’intero contenuto delle ordinanze impugnate le quali devono essere dichiarate illegittime nella parte in cui "innovano" la disciplina dell’iscrizione anagrafica rispetto alle vigenti norme nazionali e comunitarie.

In particolare, le ordinanze impugnate presentano plurimi profili di illegittimità laddove disciplinano la registrazione del luogo di residenza dei cittadini extracomunitari.

Le ordinanze del 2007 prevedevano addirittura che potessero chiedere la residenza nei Comuni resistenti solo gli stranieri in possesso dell’attestato di soggiornanti di lungo periodo ("carta di soggiorno"), violando, così, palesemente il disposto dell’art. 6 comma 7 del D.Lgs 286 del 1998 secondo il quale le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante (e, quindi, in possesso del solo permesso di soggiorno), sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani.

Ma anche le nuove ordinanze 2010, pur avendo eliminato la suddetta previsione, subordinano l’iscrizione nei registri anagrafici a requisiti ed oneri probatori non previsti dalla disciplina nazionale.

Si chiede, infatti, allo straniero che voglia stabilire la propria residenza nei comuni di Lazzate, Lissone, Biassono, Seregno, Cogliate e Lesmo di produrre documentazione attestante la disponibilità di un alloggio idoneo e la disponibilità di un reddito annuo di importo superiore al tetto di esenzione dalla spesa sanitaria qualora abbia richiesto ma non ancora ottenuto il permesso di soggiorno.

Tale documentazione, anche se necessaria al fine di perfezionare il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno, non può tuttavia essere richiesta anche nel procedimento di registrazione anagrafica, in quanto, ai sensi del citato art. 6 comma 7 del D.Lgs 268 del 1998 l’iscrizione nei registri dell’anagrafe dei cittadini extracomunitari "regolarmente soggiornanti" deve essere effettuata alle medesime condizioni dei cittadini italiani.

"Regolarmente soggiornanti" devono essere considerati sia coloro che abbiano già ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno sia gli extracomunitari che lo abbiano richiesto, poiché, altrimenti, i ritardi nella conclusione del procedimento del rilascio del permesso di soggiorno si riverbererebbero ingiustificatamente a loro danno.

I Comuni, pertanto, non possono subordinare la registrazione della residenza richiesta da cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti a requisiti ulteriori rispetto alla prova della stabile dimora, così come avviene per i cittadini italiani.

Parimenti illegittime sono le disposizioni contenute nelle ordinanze impugnate che impongono ai cittadini extracomunitari di esibire agli ufficiali dell’anagrafe il passaporto con regolare visto di ingresso.

A parte il fatto che del visto di ingresso non possono essere in possesso gli stranieri entrati clandestinamente e, successivamente, "regolarizzati", le menzionate disposizioni violano palesemente il disposto dell’art. 8 comma 2 del D.Lgs 286/98 nella parte in cui attribuisce al permesso di soggiorno piena ed esclusiva validità ai fini del rilascio di autorizzazioni o l’effettuazione di iscrizioni da parte della pubblica amministrazione.

In senso contrario a quanto sopra affermato non può invocarsi l’art. 1 comma 2 della L. 1228 del 1954 (modificato dal’art. 1 comma 18 della L. 94/2009) in base al quale l’iscrizione e la richiesta di variazione possono dar luogo alla verifica da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria dimora abituale.

A parte il fatto che la regolarità sotto il profilo igienico sanitario è cosa diversa dalla idoneità alloggiativa (che tiene conto non solo delle condizioni di salubrità dell’appartamento ma anche della superficie minima per abitante), appare dirimente la considerazione che la suddetta norma non condiziona l’iscrizione anagrafica alla prova della regolarità igienico sanitaria dell’alloggio da parte del richiedente, ma stabilisce solo che il procedimento volto alla attribuzione della residenza può costituire l’occasione per una verifica igienico sanitaria del luogo di stabile dimora da parte dei competenti uffici comunali ai fini della adozione di provvedimenti che riguardano l’immobile (sgombero, sanzioni per la mancanza del certificato di abitabilità etc.) e non la persona che intende risiedervi.

La richiesta prova del possesso di un reddito superiore a quello minimo in pendenza del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno non può, inoltre, giustificarsi in relazione al potere di segnalazione della condizione di irregolarità in cui versa lo straniero previsto dal comma 5 bis dell’art. 54 del D.Lgs 267/00 in quanto tale norma non abilita certo il Sindaco ad imporre agli stranieri che chiedano iscrizioni o autorizzazioni di competenza del Comune di comprovare, oltre al possesso del permesso di soggiorno, anche i requisiti previsti dalla legge per il suo rilascio, sostituendosi così alla competente autorità di PS.

Le ordinanze impugnate presentano profili di illegittimità anche per quanto riguarda i requisiti chiesti per l’iscrizione anagrafica dei cittadini UE.

Senza dubbio illegittima era la previsione (poi accantonata nella seconda serie di ordinanze) che anche i cittadini comunitari già iscritti nei registri anagrafici dovessero nuovamente dimostrare di possedere i requisiti necessari per il soggiorno ultratrimestrale in Italia in occasione di ogni richiesta di trasferimento della residenza nei comuni resistenti.

L’iscrizione dei cittadini comunitari negli stati ospitanti richiesta dalla direttiva CE 38 del 2004 per i cittadini che prolunghino il proprio soggiorno oltre il trimestre è, infatti, unica e riguarda l’intero territorio nazionale.

Sarebbe, quindi, illegittima ogni disposizione di diritto interno che richiedesse la ripetizione della iscrizione in occasione del trasferimento di residenza da un comune ad un altro, e non è certo in tal modo che può essere interpretato il D.Lgs 30 del 2007 che alla citata direttiva ha dato attuazione.

Le ordinanze impugnate si discostano, inoltre, dalla direttiva CE n. 38/04 nella parte in cui subordinano l’iscrizione anagrafica alla produzione di un atto notorio che attesti il possesso di un reddito superiore alla soglia per l’esenzione dalla spesa sanitaria.

Sul punto il Collegio deve dare atto che i sindaci dei comuni resistenti hanno recepito le previsioni della circolare del Ministero dell’Interno n. 19 del 2007, la quale, a sua volta, sembra altresì fondarsi sul disposto dell’art. 9 comma 3 lett. b) D.Lgs 30 del 2007 secondo cui il cittadino UE che si trovi per più di tre mesi in Italia per motivi diversi da quelli di studio o di lavoro, al fine di ottenere l’iscrizione anagrafica deve dimostrare di possedere la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Tuttavia, il D.Lgs n. 30 del 2007 deve essere integrato con quanto prevede la direttiva n. 38/04 CE a proposito dei requisiti che deve possedere il cittadino UE che voglia soggiornare per più di tre mesi in uno Stato diverso da quello di appartenenza.

In base all’art. 7 comma 1 lett. b) della menzionata direttiva il cittadino UE che intenda soggiornare per motivi diversi da quelli di lavoro o studio deve dimostrare di disporre per se stesso ed i propri familiari di risorse economiche sufficienti affinchè non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato ospitante. Ai sensi dell’art. 8 comma 4 della medesima fonte comunitaria nell’individuare i parametri di sufficienza delle risorse economiche gli Stati membri devono, tuttavia, astenersi dal fissare un importo preciso e devono, altresì, tener conto della situazione personale dell’interessato.

La norma citata si correla a quanto affermato nel 16° considerando della direttiva secondo cui i beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finchè non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato ospitante e tale situazione non può automaticamente desumersi dal fatto che il cittadino UE abbia fatto ricorso per qualche tempo al sistema di assistenza sociale, dovendo lo Stato ospitante verificare se si tratta di una difficoltà temporanea o definitiva, tenendo conto della durata del soggiorno, della situazione personale dell’interessato e dell’ammontare dell’aiuto concesso.

E’ vero che le linee guida emanate per l’applicazione della direttiva n. 38/04 hanno stabilito che il primo passo per accertare se un cittadino dell’Unione disponga di risorse sufficienti per sé ed i propri familiari può consistere nel verificare se egli soddisfa i criteri nazionali per la concessione di un sussidio sociale minimo; ma ciò significa solo che coloro che dispongono di un reddito superiore al minimo sociale debbono essere per ciò solo considerati in possesso dei requisiti di soggiorno previsti dalla direttiva CE 34/08, ma non anche che i cittadini UE che non raggiungano tale soglia devono automaticamente esserne ritenuti privi con conseguente difetto del diritto di soggiorno.

Ne deriva che la normativa nazionale, se interpretata conformemente alla direttiva di riferimento, non può precludere l’iscrizione anagrafica ai cittadini comunitari che soggiornino per motivi diversi da quelli di studio o di lavoro per il solo fatto che essi non possano dimostrare di possedere un reddito superiore alla soglia di esenzione dalla contribuzione per la spesa sanitaria.

Le ordinanze impugnate vanno, pertanto, dichiarate illegittime nella parte in cui ancorano la autosufficienza economica ad una verifica meramente reddituale.

Non si può, invece, ritenere preclusa agli uffici comunali la verifica delle circostanze dichiarate dai cittadini stranieri al fine di dimostrare il possesso dei requisiti necessari per ottenere la registrazione della propria residenza, essendo tale facoltà non solo consentita dalla disciplina comunitaria ma anche espressamente prevista dall’art. 71 del D.P.R. 445 del 2000.

Tali verifiche non devono tuttavia trasformarsi in discriminatorie ragioni di ritardo nella iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri, per cui gli uffici sono tenuti ad accettare per vere le dichiarazioni di atto di notorietà ed iscrivere, sussistendone i requisiti, coloro che le hanno rese, salvo poi procedere alla cancellazione in caso di riscontro negativo della loro veridicità.

A voler diversamente opinare dovrebbe ritenersi vanificato, limitatamente al servizio anagrafico dei comuni resistenti, tutto il sistema di semplificazione dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione istituito dal D.P.R. 445 del 2000 che, al fine di velocizzare il disbrigo delle pratiche amministrative, impone alle pubbliche amministrazioni di accettare in luogo dei certificati o della prova di determinate situazioni di fatto, le autocertificazioni o dichiarazioni di atto notorio presentate ai loro sportelli. Sistema, che è bene ricordarlo, si applica anche ai rapporti fra p.a. e stranieri con il solo limite per gli extracomunitari di autocertificare stati, fatti, qualità presenti nei registri della pubblica amministrazione italiana (art. 3 D.P.R. 445/00).

Anche la pretesa dei sindaci dei comuni resistenti di subordinare l’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari all’accertamento della liceità delle fonti di ricchezza da essi dichiarate è destituita di ogni fondamento non trovando riscontro alcuno nella direttiva CE 38/04.

I requisiti che secondo la menzionata direttiva legittimano i cittadini comunitari a soggiornare per più di tre mesi in uno Stato diverso da quello di appartenenza hanno carattere tassativo. Ed hanno carattere inderogabilmente tipico anche i documenti giustificativi che possono essere richiesti dalle autorità competenti ai fini del rilascio dell’attestato d’iscrizione onde evitare che pratiche amministrative o interpretazioni divergenti costituiscano un indebito ostacolo all’esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini (14° considerando direttiva CE 38/04).

In conclusione le ordinanze impugnate devono essere annullate nelle parti: a) in cui subordinano l’iscrizione anagrafica dei cittadini extracomunitari alla esibizione della carta di soggiorno del passaporto e del visto di ingresso, alla dimostrazione della idoneità della situazione alloggiativa, alla dimostrazione del possesso di un reddito annuo superiore al livello minimo per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria qualora siano in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno; b) in cui subordinano l’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari già iscritti nei registri anagrafici di altri comuni italiani che intendano trasferire la propria residenza nei comuni resistenti a dare prova del possesso dei requisiti richiesti dalla direttiva 38/04 e dal D.Lgs 30 del 2007 ai fini del soggiorno ultratrimestrale sul territorio italiano; c) in cui subordinano l’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari che intendano iscriversi per la prima volta nei registri anagrafici italiani di dare dimostrazione del possesso di un reddito superiore alla soglia di esenzione alla compartecipazione sanitaria, senza tener conto della situazione personale del richiedente; d) in cui subordinano l’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari che intendano iscriversi per la prima volta nei registri anagrafici italiani all’accertamento da parte degli uffici della veridicità di quanto dichiarato (salvo la successiva cancellazione in caso di falsità) e della liceità delle fonti di ricchezza dichiarate.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Resta, inoltre, fermo l’onere di cui all’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del decretolegge n. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico delle parti soccombenti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nelle parti e nei limiti di cui in motivazione.

Condanna le amministrazioni resistenti, in via fra loro solidale, alla refusione delle spese di lite nei confronti delle sole associazioni ricorrenti che si liquidano nella misura di Euro 7.000,00 oltre IVA, CPA e rimborso CU. Compensa le spese fra i restanti ricorrenti e le amministrazioni resistenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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