T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 13-05-2011, n. 840 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il 31 maggio del 1986 il Sig. E.B., rispettivamente padre e marito delle odierne ricorrenti, presentava una domanda di condono per due box in lamiera di complessivi mq. 19,25, realizzati nel Comune di Chianciano Terme in zona vincolata ai sensi della legge n. 1497 del 1939 e del D.M. 21 dicembre 1967.

Il successivo 31 maggio 1988 la Sig.ra G.B. chiedeva la voltura di detta domanda, essendo nel frattempo intervenuto il decesso del padre.

Per un evidente disguido amministrativo, l’Amministrazione Comunale, in data 5 marzo 1996, inviava una richiesta di integrazione documentale relativa alla suindicata domanda di condono edilizio, indirizzando la richiesta al Sig. E.B..

Nonostante l’erronea individuazione del destinatario della richiesta, la Sig.ra B. riscontrava la stessa il 9 aprile 1996, per il tramite del proprio tecnico di fiducia, depositando una relazione tecnica, nonché documentazione fotografica e planimetrica relative agli abusi da sanare.

Il 5 febbraio 1997, la domanda di condono veniva respinta con provvedimento sindacale prot. n. 2998, motivato con riferimento al verbale n. 440 della Commissione Edilizia Integrata del 30 gennaio 1997, che si era così espressa: "parere contrario in quanto l’abuso, considerati i materiali, la precarietà degli stessi e la non contiguità con le tipologie di zona risulta in contrasto con l’ambiente nel quale insiste, recando pregiudizio all’aspetto esteriore dell’area e al vincolo paesaggistico".

A tale diniego faceva, quindi, seguito l’ordine di demolizione prot. n. 17347 del 18 luglio 1997 avente ad oggetto due box in lamiera e due tettoie.

Tali provvedimenti venivano impugnati dalle Sig.re B. e Cuculi, odierne ricorrenti, rispettivamente, come si è detto, figlia e moglie del Sig. E.B., con il ricorso R.G. n. 3512/1997.

Fra i motivi di doglianza dedotti vi erano anche quelli di errata individuazione del destinatario (E.B. anziché i suoi eredi legittimi), e di errata notificazione dei provvedimenti stessi, che avrebbero dovuto essere notificati agli eredi del defunto Sig. B. personalmente presso la loro residenza.

Con nota prot. 25303 del 30 ottobre 1997, l’Amministrazione Comunale, considerato che il termine per ottemperare alla suindicata ordinanza n. 17347 del 18 luglio 1997 era scaduto il 19 ottobre 1997, disponeva che la Polizia Municipale effettuasse un sopralluogo per accertare l’ottemperanza o meno all’ingiunzione di demolizione, nonché la verifica del ripristino dei luoghi, ed invitava la Sig.ra B. ad essere presente sul posto del sopralluogo che sarebbe stato effettuato il 10 novembre successivo.

In data 3 novembre 1997, la Sig.ra B. replicava con memoria a firma del suo legale con la quale si invitava l’Amministrazione Comuanale a non far rimuovere i manufatti, consistenti in due box ed una tettoia, esistenti sull’area dal 1966.

Con provvedimento n. 28300 del 27 novembre 1997 a firma del Funzionario Tecnico del Settore Uso ed Assetto del Territorio venivano annullati, in via di autotutela, sia il diniego di condono del 5 febbraio 1997 che l’ordinanza di demolizione del 18 luglio 1997, per un duplice ordine di ragioni, e cioè sia perché erroneamente notificati al Sig. E.B., sia perchè le integrazioni alla domanda di condono presentate il 9 aprile 1996 avevano evidenziato l’esistenza di una "discrepanza tra quanto dichiarato nella documentazione del condono presentata in data 31.05.86 prot. 10434… anche attraverso il confronto tra le foto allegate a tale domanda di condono e quelle presentate in data 9.4.96 prot. n. 8084". Con il medesimo provvedimento veniva, altresì, disposto "l’avvio del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990, per la verifica, mediante sopralluogo da parte degli Uffici competenti, dello stato dei luoghi per il confronto tra quanto dichiarato nella domanda di condono presentata in data 31.05.86 prot. 10434 e quanto successivamente riportato nella documentazione integrativa presentata in data 9.4.96 prot. n. 8084".

Il sopralluogo si svolgeva il 4 marzo 1998, con gli esiti che si evincono dalla nota al Procuratore della Repubblica di Montepulciano (prot. n. 9144 del 14 aprile 1998) che ne è derivata, in cui si evidenziava che "è stato commesso un altro abuso e più precisamente il Sig. E.B. ha realizzato una tettoia in aderenza ad un annesso, regolarmente autorizzato, di mt. 2,35 x 4,70 con altezza media di mt. 1,90… Per quanto concerne i due box in lamiera oggetto della domanda di condono del 1986, solo uno è ancora esistente… Il manufatto riportante la lettera A è ancora esistente mentre quello riportante la lettera B non è più esistente", con allegata documentazione fotografica e planimetria.

Il 19 marzo 1998 veniva, quindi, adottato dal Dirigente del Comune di Chianciano un nuovo provvedimento di diniego di concessione edilizia in sanatoria (prot. 7311), nel quale veniva richiamata la determina sindacale del 16 marzo 1998 recante il parere contrario sotto il profilo paesaggistico per la sanatoria degli abusi in questione, formulato sulla scorta del verbale della Commissione Edilizia Integrata dell’11 marzo 1998, il cui contenuto veniva integralmente riportato.

In tale occasione la Commissione Edilizia Integrata – dopo aver richiamato il ricorso al TAR R.G. n. 3512/1997 presentato dalle odierne ricorrenti, il provvedimento prot. n. 28300 del 27 novembre 1997 con il quale erano stati annullati in via di autotutela l’atto di diniego prot. n. 2998 del 5 febbraio 1997 e l’ordinanza di demolizione prot. n. 70 del 19 luglio 1997, l’avvio del procedimento (contenuto nel suindicato provv. n. 28300 del 1997) ai sensi della legge n. 241/1990 per la verifica mediante sopralluogo da parte degli Uffici competenti dello stato dei luoghi per il confronto fra quanto dichiarato nella domanda di condono presentata in data 31.5.1986 prot. n. 10434 e quanto successivamente riportato nella documentazione integrativa presentata in data 9.4.96 prot. n. 8084 – aveva evidenziato che a seguito di una più accurata istruttoria era risultato, in sintesi, che la domanda di condono era stata presentata dal Sig. E.B. in data 31.5.86 prot. n. 10434 per la realizzazione di n. 2 box in lamiera per una superficie complessiva di mq. 19,25 e con allegate n. 2 fotografie, e che la successiva integrazione documentale presentata in data 9.4.96 prot. n. 8084, consistente in una relazione tecnica, documentazione fotografica e relativi elaborati grafici, aveva messo in evidenza che oltre ai 2 box per i quali era stata presentata la domanda di condono, di superficie di mq. 5,75 e di mq. 13,95 per una superficie complessiva di mq. 19,70 (quasi coincidente con la superficie indicata nella domanda originale), vi erano altri manufatti, consistenti in un pollaio costruito tra i due box e una tettoia appoggiata ad un’altra costruzione esistente, in relazione ai quali, non risultando oggetto della domanda di condono, non aveva ritenuto che la C.E. dovesse esprimersi. Aveva concluso, quindi, esprimendo parere contrario all’istanza di condono, ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 della legge n. 47/85 e della legge n. 1497/39, "in quanto l’abuso, considerata la pessima qualità dei materiali e la precarietà degli stessi e la non congruità con le tipologie di zona risulta in contrasto con l’ambiente nel quale insiste, recando pregiudizio all’aspetto esteriore dell’area e al vincolo paesaggistico".

Tale diniego di condono edilizio e l’allegato parere contrario rispetto al vincolo di tutela paesaggistica venivano, quindi, impugnati con il ricorso R.G. n. 1737/98.

Questi i motivi di doglianza dedotti a sostegno del gravame:

1) eccesso di potere per vizio di motivazione, stante la mancata rappresentazione delle ragioni per le quali i manufatti realizzati sarebbero risultati inconciliabili con il paesaggio circostante, e per carenza dei presupposti, in quanto l’intervento per cui è causa non sarebbe proprio inadeguato al luogo in cui è ubicato;

2) eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, in quanto il diniego di condono sarebbe stato preceduto solo dal parere della C.E.I. e non anche da quella Commissione Edilizia "ordinaria";

3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, nonché eccesso di potere per carenza dei presupposti, di istruttoria e di motivazione, per non avere l’Amministrazione resistente rilasciato una concessione edilizia in sanatoria sottoposta a condizioni e/o prescrizioni;

4) eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, in quanto l’Amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda di condono non contenesse anche la tettoia, contrariamente a quanto risulterebbe dalla istanza e dalla relazione tecnica;

5) eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria, in quanto il Sindaco (e per lui l’Assessore all’urbanistica) avrebbe emesso il parere sotto il profilo paesaggistico mediante acritico recepimento del parere obbligatorio ma non vincolante della Commissione Edilizia Integrata;

6) eccesso di potere per illogicità e perplessità, e per difetto di istruttoria, in quanto il provvedimento di diniego concernerebbe oltre ai due box anche due tettoie, mentre la domanda di condono comprendeva una sola tettoia;

7) violazione del principio del buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto nel caso in questione, tenuto conto che l’accertamento del fatto che costituisce il presupposto del provvedimento è oggetto di contestazione (esatta consistenza dello stato dei luoghi circostanti ed impatto ambientale delle opere), e tenuto altresì conto del lungo tempo trascorso (anche dalla data di realizzazione dei manufatti), sarebbe stata particolarmente utile e proficua la partecipazione del privato che avrebbe giovato al corretto ed imparziale comportamento dell’Amministrazione;

8) incompetenza del dirigente a firmare in data 19 marzo 1998 il diniego di condono edilizio;

9) incompetenza del Sindaco che non avrebbe potuto firmare il parere negativo dal punto di vista paesaggistico, che invece avrebbe dovuto essere emesso dal Dirigente Comunale.

A tale ricorso faceva seguito un terzo ricorso (R.G. n. 2795/98) proposto sempre dalle medesime ricorrenti avverso il conseguente ordine di demolizione dei box in lamiera oggetto della domanda di condono (uno dei quali, peraltro, non più esistente), stante il mancato accoglimento della stessa, e delle ulteriori opere abusive riscontrate nell’area, stante, appunto, la loro illecita realizzazione.

Questi i motivi di doglianza dedotti a sostegno del gravame:

1) eccesso di potere per difetto di motivazione, non essendo stato evidenziato, tenuto conto del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso (risalente al 1966), l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento impugnato;

2) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985, ed eccesso di potere per carenza di presupposti e difetto di requisiti essenziali, in quanto l’ingiunzione di demolizione richiama espressamente, quale fondamento del potere repressivo esercitato, l’art. 7 della legge n. 47 del 1985, disponendo la demolizione ed il ripristino, senza peraltro avvertire che in caso di mancata ottemperanza nel termine di 90 giorni, il privato avrebbe perso la proprietà del bene, dell’area di sedime, nonché quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe; inoltre, l’ingiunzione non conterrebbe l’indicazione esatta e puntuale del terreno che sarebbe stato acquisito dal Comune in caso di mancata demolizione;

3) incompetenza del Dirigente ad emettere il provvedimento di ingiunzione a demolire che avrebbe dovuto, invece, essere emanato dal Sindaco;

4) violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per omessa comunicazione di avvio del procedimento;

5) eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errore dei presupposti, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni ed integrazioni, in quanto l’Amministrazione ha irrogato la sanzione della demolizione indistintamente per tutte le opere descritte nell’ordinanza mentre ciascuna (o ciascun gruppo di esse) avrebbe una rilevanza edilizia diversa non configurando un unico complessivo intervento edilizio e non essendo, tra l’altro, tra loro collegate funzionalmente; in ogni caso la sanzione dell’art. 7 citato non avrebbe potuto essere applicata a nessuna delle opere realizzate in quanto esse potrebbero configurare al massimo interventi rientranti nel regime autorizzatorio o di denuncia di inizio di attività, e, quindi, avrebbero dovuto, caso mai, essere sanzionate secondo la disciplina prevista dall’art. 10 della legge n. 47 del 1985 o con la sanzione pecuniaria; per quanto riguarda, inoltre, l’intervento oggetto dell’istanza di condono, si deduce l’illegittimità derivata in parte qua dell’ordinanza di demolizione, derivante dall’illegittimità del diniego di condono impugnato con il ricorso R.G. n. 1737/98.

2. I ricorsi indicati in epigrafe vanno previamente riuniti per evidenti ragioni di carattere soggettivo e oggettivo.

3. Il ricorso R.G. n. 3512/1997 è stato proposto, come si è visto, dalle Signore B. e Cucuili per l’annullamento del diniego di condono prot. n. 2998 del 5 febbraio 1997 e del conseguente ordine di demolizione n. 70 del 19 luglio 1997, i quali, tuttavia, sono stati già annullati dalla stessa Amministrazione Comunale di Chianciano Terme in via di autotutela con la già ricordata determina n. 28300 del 27 novembre 1997 a firma del funzionario tecnico del Settore Uso ed Assetto del Territorio.

Ne consegue che il detto ricorso, così come eccepito dall’Amministrazione resistente, non può che essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Peraltro, si ritiene comunque opportuno evidenziare, così come emerge dalla esposizione in fatto, che i suindicati provvedimenti sono stati annullati in via di autotutela non solo per correggere un asserito vizio di notifica dei provvedimenti annullati, ma anche perché l’Amministrazione aveva rilevato una "discrepanza tra quanto dichiarato nella documentazione del condono presentata in data 31.05.86 prot. 10434… anche attraverso il confronto tra le foto allegate a tale domanda di condono e quelle presentate in data 9.4.96 prot. n. 8084".

Ciò, come si è visto, ha reso necessario un supplemento di istruttoria che ha portato alla luce uno stato di fatto diverso da quello che era stato dichiarato nella originaria domanda di condono e nella successiva documentazione integrativa su di essa depositata.

4. Con il ricorso R.G. n. 1737/1998, le ricorrenti hanno, come detto, impugnato il provvedimento di diniego di condono edilizio emesso dal Dirigente del Comune di Chianciano Terme in data 19 marzo 1998 prot. n. 7311 relativamente a due box in lamiera, nonché l’atto sindacale del 16 marzo 1998 a firma dell’Assessore all’Urbanistica con il quale, sotto il profilo paesaggistico, viene espresso parere contrario al rilascio della concessione in sanatoria, e il parere della C.E.I. espresso nel verbale n. 32 dell’11 marzo 1998.

Il ricorso è infondato.

Il diniego di sanatoria, impugnato con il ricorso in esame, è stato emesso sulla base di un diniego di autorizzazione paesaggistica, a sua volta motivato mediante integrale recepimento del parere negativo espresso dalla Commissione Edilizia Integrata; nel suddetto parere la Commissione ha rilevato che "l’abuso, considerata la pessima qualità dei materiali e la precarietà degli stessi e la non congruità con le tipologie di zona risulta in contrasto con l’ambiente nel quale insiste, recando pregiudizio all’aspetto esteriore dell’area e al vincolo paesaggistico".

In particolare, le ricorrenti deducono che se l’Amministrazione avesse preventivamente condotto un’adeguata istruttoria sarebbe emerso che l’intervento abusivo per cui è causa non reca alcun danno o pericolo per l’ambiente tutelato, in considerazione del fatto che la zona risulterebbe già interessata dalla medesima tipologia di opere.

Inoltre, il contestato diniego sarebbe affetto da assoluto difetto di motivazione, non solo perché si sarebbe limitato ad un acritico recepimento dell’orientamento negativo della C.E.I., ma anche perché quest’ultimo sarebbe stato reso in forma stereotipata e comunque non sarebbe stato accompagnato da indicazioni o prescrizioni volte a rendere l’opera edilizia compatibile con il paesaggio e quindi, sotto questo profilo, sanabile (primo, terzo e quinto motivo di ricorso).

Le doglianze non hanno pregio.

Il parere contrario formulato dalla C.E.I. per le opere abusive di cui si controverte, risulta motivato in termini che, per quanto sintetici, risultano del tutto chiari e univoci e non evidenzia, alla luce della documentazione anche fotografica prodotta, profili di travisamento o palese illogicità della valutazione, insindacabile nel merito, compiuta dalla C.E.I.. Dalla motivazione del parere si evince l’avvenuto accertamento della esistenza di un impatto negativo sull’ambiente protetto dei manufatti in questione. L’Amministrazione comunale ha recepito detto giudizio di disvalore che, stanti le caratteristiche strutturali delle opere, non può considerarsi privo di una sua puntuale e logica giustificazione.

La valutazione negativa del predetto organo collegiale, riferita ad un contesto tutelato dal punto di vista paesaggistico, costituisce, inoltre, atto vincolante ai fini del diniego di condono edilizio (cfr., TAR Toscana, III, 2 ottobre 2000 n. 2011; 6 marzo 2006 n. 793; 26 febbraio 2010 n. 547; 14 maggio 2010 n. 1458).

Difficilmente, del resto, il Sindaco potrebbe discostarsi dal giudizio della C.E.I., rilevando non l’esercizio di una discrezionalità amministrativa, ma valutazioni tecniche che trovano nelle attribuzioni della Commissione stessa la sede appropriata.

Né l’organo preposto alla tutela del vincolo è tenuto, in sede di esame delle istanze di sanatoria, contrariamente a quanto dedotto con il terzo motivo di ricorso, a fornire indicazioni circa gli adattamenti eventualmente idonei a rendere l’opera compatibile con l’ambiente, essendo la possibilità di indicare prescrizioni o accorgimenti prevista dalla normativa solo per la diversa ipotesi di preventiva richiesta di autorizzazione paesaggistica, allorchè oggetto della valutazione è un progetto; in sede di sanatoria si tratta, invece, di opere già realizzate abusivamente, che vanno valutate per come si presentano (cfr., T.A.R. Toscana, n.806 del 19.04.02; T.A.R. Toscana 05.10.2006 n° 4228; Cons di Stato, II Sez.. parere n° 398/95 del 30 aprile 1996).

Nessun rilievo, ha, infine, la circostanza che la zona si trovi in una situazione di fatto già pregiudicata da precedenti interventi analoghi a quello per cui è causa.

Con il secondo motivo le ricorrenti deducono l’illegittimità del diniego di sanatoria per non essere stato preventivamente acquisito il parere della Commissione Edilizia.

La doglianza non ha pregio.

Il diniego di sanatoria, infatti, è stato preceduto dal parere reso dalla C.E.I. e ciò è ragione sufficiente per ritenere regolare l’attività istruttoria procedimentale posta in essere dal Comune.

Invero, come specificato in giurisprudenza (cfr., Cons. di Stato, sez. II, 19 ottobre 2005), il rilascio della concessione edilizia in sanatoria presuppone il parere della Commissione Edilizia nell’ipotesi di valutazioni squisitamente tecniche, per cui, allorchè, come nella fattispecie, i profili giuridici dell’abuso, legati agli aspetti di tutela del paesaggio, sono prevalenti, deve ragionevolmente dedursi che il solo parere della C.E.I. sia sufficiente a soddisfare gli adempimenti procedurali richiesti dalla normativa per la definizione delle domande di concessione edilizia in sanatoria (cfr., TAR Toscana, sez. III, 16 marzo 2009 n. 418).

Ugualmente destituiti di fondamento sono, poi, in punto di fatto, il quarto e il sesto motivo di ricorso, concernenti un asserito difetto di istruttoria e perplessità nell’individuazione degli abusi realizzati.

A seguito di una accurata istruttoria, infatti, il Comune ha potuto accertare che solo due box erano stati oggetto di istanza di condono, che uno di tali box era stato demolito dagli stessi istanti, e che al suo posto erano nel frattempo stati realizzati una pluralità di ulteriori manufatti, non oggetto della domanda di condono, dei quali è stata poi ordinata la demolizione, unitamente a quelli oggetto della domanda di condono, con l’ordinanza impugnata con il ricorso R.G. n. 2795/1998.

Con il settimo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano la mancata partecipazione al procedimento conclusosi con l’adozione dei provvedimenti impugnati.

Anche tale motivo di doglianza non può essere condiviso.

Il diniego di condono conclude, infatti, un procedimento attivato dall’interessato, con la conseguenza che non possono trovare applicazione le garanzie partecipative previste dalla legge n. 241 del 1990.

Non può sottacersi, peraltro, che nel caso di specie, come si è visto, le ricorrenti, con il provvedimento n. 28300 del 27 novembre 1997, sono state avvisate dell’avvio "del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990, per la verifica, mediante sopralluogo da parte degli Uffici competenti, dello stato dei luoghi per il confronto tra quanto dichiarato nella domanda di condono presentata in data 31.05.86 prot. 10434 e quanto successivamente riportato nella documentazione integrativa presentata in data 9.4.96 prot. n. 8084". E, proprio all’esito di detto sopralluogo, effettuato il 4 marzo 1998, sono stati adottati i provvedimenti impugnati.

Per quanto riguarda, poi, l’asserita incompetenza del dirigente a firmare in data 19 marzo 1998 il diniego di condono edilizio (ottavo motivo di ricorso), è sufficiente richiamare quanto ormai pacificamente statuito dalla giurisprudenza amministrativa in ordine alla immediata applicabilità dell’art. 6, 2° comma, della legge n. 127 del 1997, con la quale è stata attribuita ai dirigenti degli enti locali la competenza in ordine agli atti di gestione, anche con riferimento ai provvedimenti in materia edilizia. Invero detta disposizione, nel sostituire l’art. 51 L. n.142/90, ha direttamente attribuito ai Dirigenti, tra l’altro, i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale (cfr., ex multis, Cons. Stato, V, 16 novembre 2004 n. 7488; 10 febbraio 2009 n. 758).

Ugualmente infondata è, infine, anche la censura di cui all’ultimo motivo di ricorso (nono motivo), con la quale si sostiene che il Sindaco non avrebbe potuto firmare il parere negativo rispetto al vincolo paesaggistico.

Infatti – come correttamente rilevato dall’Amministrazione comunale nella propria memoria difensiva – a differenza delle predette funzioni in materia di esame ed eventuale repressione di abusi edilizi, la competenza del Sindaco ad emanare pareri in materia di compatibilità paesaggistica non rientra nell’ambito delle funzioni riconosciute ai dirigenti in base alla predetta legge n. 127 del 1997, trattandosi piuttosto dell’esercizio di una potestà regionale, della quale il Sindaco era istituzionalmente investito in virtù della delega a suo favore espressamente prevista dalla Regione con la L.R. n. 52 del 2 novembre 1979.

In altre parole, posto che l’art. 51 della legge n. 142 del 1990, così come sostituito dall’art. 6 della legge n. 127 del 1997, prevedeva che il riparto di competenze fra attività di indirizzo politico e attività di gestione potesse operare solo con riferimento "ai compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, che la legge o lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell’ente", deve ritenersi che la competenza ad esprimere pareri in ambito di compatibilità paesaggistica di abusi realizzati in area vincolata continuava ad essere mantenuta dal Sindaco, trattandosi proprio di una competenza che la Regione aveva specificamente delegato al Sindaco con l’art. 4, comma 1, della già citata L.R. n. 52 del 1979, ove era previsto che "gli atti di cui al precedente art. 2 dovranno essere adottati dal Sindaco previo parere della Commissione edilizia integrata".

Pertanto, del tutto correttamente, nella fattispecie in esame, il parere negativo al rilascio della sanatoria edilizia richiesta dalle ricorrenti è stato espresso dal Sindaco che ha recepito un conforme parere della Commissione Edilizia Integrata.

Né è da dubitare della legittimità della subdelega effettuata dal medesimo Sindaco a beneficio dell’Assessore competente per materia, trattandosi di ipotesi espressamente contemplata dallo Statuto comunale dell’epoca.

5. Il ricorso R.G. n. 1737/1998 va, pertanto, respinto.

6. Con il ricorso R.G. n. 2795/1998, le ricorrenti hanno impugnato il provvedimento del 2 luglio 1998 prot. n. 15655 e prot. ord. n. 69, con il quale è stata ingiunta la demolizione delle seguenti opere:

– box relativo alla domanda di condono non ancora demolito individuato con la lettera D negli elaborati oggetto della suindicata domanda, essendo stata tale istanza respinta con provvedimento dirigenziale del 19 marzo 1998;

– tutte le altre opere abusive accertate e descritte nel verbale dei VV.UU. in data 4 marzo 1998 e 14 aprile 1998, consistenti in:

– recinzione per pollaio infissa al suolo con blocchetti in cemento;

– volume chiuso realizzato nella zona in cui era stato costruito un pollaio (box oggetto della domanda di condono ma non più esistente);

– due nuovi box delle dimensioni di mt. 3×7 e mt. 3,30×2;

– una tettoia in aderenza ad un annesso (preesistente e regolarmente autorizzato) di mt. 2,35×4,70 con altezza media di mt. 1,90.

Con il medesimo provvedimento veniva ingiunto, altresì, il ripristino dei luoghi a proprie spese e cura ai sensi dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 entro il termine di 90 giorni dalla data di notifica del provvedimento stesso, con l’avvertenza che, decorso inutilmente tale termine senza che fosse stata eseguita la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dei luoghi, si sarebbe proceduto a quanto previsto dall’art. 7 della legge n. 47 del 1985.

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo di ricorso si deduce difetto di motivazione, per non aver il Comune indicato – con riferimento ai manufatti oggetto dell’ingiunzione alla demolizione, asseritamente risalenti al 1966 – le ragioni di pubblico interesse che, al di là della mera constatazione del carattere abusivo dell’intervento, avrebbero giustificato l’adozione del provvedimento sanzionatorio a distanza di così tanto tempo.

La doglianza non coglie nel segno.

Come si è visto, l’ordine di demolizione riguarda, da un lato, quello fra i due box oggetto della originaria domanda di condono che ancora è risultato esistente sull’area in questione a seguito dell’accertamento svolto il 4 marzo 1998 e, dall’altro, gli ulteriori manufatti abusivi, non oggetto della domanda di condono, che in quell’occasione è emerso essere stati pure realizzati dalle ricorrenti.

Ne consegue che, per quel che riguarda il box in lamiera oggetto della domanda di condono, l’ordine di demolizione, essendo stato impartito dopo il diniego di condono dell’opera abusivamente realizzata e risultando meramente consequenziale a quest’ultimo, è sufficientemente motivato attraverso il mero richiamo al provvedimento al quale ha inteso dare attuazione, senza che fosse necessaria qualsivoglia ulteriore motivazione.

Anche perché basta ad escludere l’esistenza di un affidamento del privato al mantenimento in essere dell’opera medesima la circostanza che la stessa era stata oggetto di domanda di condono, ossia di una domanda con cui il privato ha ammesso il carattere abusivo dell’opera stessa e la necessità di acquisire un titolo abilitativo al suo mantenimento attraverso il positivo espletamento della procedura di condono edilizio a tal fine avviata.

Quanto, invece, alle altre opere abusive riscontrate nell’area e non fatte oggetto di domanda di condono, va rilevato che per giurisprudenza consolidata, l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con la affermazione della accertata abusività dell’opera, salva la l’ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi della inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa sola, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (Consiglio Stato, sez. IV, 06 giugno 2008, n. 2705; Consiglio Stato, sez. V, 04 marzo 2008, n. 883).

Nel caso di specie, peraltro, non risulta in alcun modo comprovato quanto asserito dalle ricorrenti in ordine alla data in cui sarebbero stati edificati i manufatti di cui si controverte.

Per converso, alcuni di essi (ossia "il volume chiuso realizzato nella zona in cui era stato costruito un pollaio") non potevano senz’altro risalire al momento di presentazione della domanda di condono, essendo stati realizzati proprio al posto di uno dei due box oggetto di domanda di condono, che quindi è stato demolito in un momento comunque successivo al 29 maggio 1986.

La circostanza, inoltre, che le opere in questione ricadano in zona sottoposta a vincolo paesaggistico sottintende la sussistenza di un preminente interesse pubblico alla demolizione, giustificativo della misura repressiva (cfr., TAR Toscana, III, 6 aprile 2010 n. 929).

Pertanto, il chiaro riferimento al predetto vincolo, espresso nell’atto impugnato, dà dimostrazione della sussistenza di un interesse pubblico al ripristino dell’originario stato dei luoghi, rispetto al quale l’interesse del privato è necessariamente recessivo, anche in caso di abusi edilizi risalenti ad epoca remota.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, è sufficiente rilevare che la l. n. 47 del 1985 ha distinto, nell’ambito dell’art. 7, i due atti, di ingiunzione e acquisitivo, basando il primo sul presupposto dell’abuso, con il contenuto proprio della contestazione della trasgressione e dell’ordine di demolizione, e il secondo sulla verifica di inottemperanza al primo. Requisiti dell’ingiunzione di demolizione sono perciò l’esistenza della condizione che la rende vincolata, cioè l’accertata esecuzione di opere abusive, e il conseguente ordine di demolizione e non anche la specificazione puntuale della portata delle sanzioni, richiamate nell’atto quanto alla tipologia preordinata dalla legge, ma recate con successivo, eventuale provvedimento (cfr., Consiglio Stato, sez. VI, 08/04/2004, n. 1998).

In linea con tale impostazione, infine, per quanto riguarda l’ulteriore profilo dedotto con il secondo motivo di ricorso, è sufficiente qui richiamare l’orientamento giurisprudenziale, ormai pacificamente affermatosi, secondo cui l’individuazione dell’area da acquisirsi non deve essere necessariamente contenuta nel provvedimento di ingiunzione della demolizione, ben potendo essere riportata al momento in cui si procede all’acquisizione del bene (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008 n. 4659).

In relazione, poi, alla doglianza di cui al terzo motivo di ricorso (incompetenza del dirigente ad emettere il provvedimento di ingiunzione a demolire), non possono che richiamarsi le considerazioni già sviluppate in relazione all’ottavo motivo del ricorso R.G. n. 1737/1998.

Ugualmente infondata è, poi, la doglianza di cui al quarto motivo di ricorso, concernente l’omessa comunicazione di avvio del procedimento.

Per giurisprudenza consolidata, infatti, gli atti sanzionatori in materia edilizia – attesa la loro natura rigidamente vincolata – non risultano viziati ove non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659; sez. V, 19 settembre 2008, n. 4530), e ciò anche alla luce delle disposizioni recate dall’art. 21 octies della stessa legge n. 241/90 (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2009, n. 30299).

Ugualmente infondato è anche il quinto motivo di ricorso.

L’impugnato ordine di demolizione ha considerato gli interventi abusivi per cui è causa, nel loro complesso, assoggettati a regime concessorio, trattandosi di abusi edilizi rispondenti ad un disegno unitario, ovvero costituenti l’uno il completamento dell’altro, stante la stretta connessione tra gli stessi. Si tratta, infatti, di volumi, tettoie e recinzioni tutti abusivi, che sorgono gli uni accanto agli altri e costituiscono pertinenze di un medesimo manufatto principale, e, dunque, correttamente l’Amministrazione Comunale, nel valutarli tali, li ha anche assoggettati ad una stessa sanzione demolitoria. Non è infatti dato scorporare le opere di trasformazione del territorio nei singoli interventi che le compongono, onde valutarne l’impatto e la disciplina isolandone l’una dall’altra, trattandosi di manufatti che rilevano, sul piano degli effetti lesivi del territori – essendo l’area interessata da tali opere assoggettata a vincolo paesaggistico – nel loro insieme. Inoltre, va esclusa l’applicabilità del regime autorizzatorio proprio delle pertinenze laddove l’opera accessoria acceda ad un manufatto principale abusivo assoggettabile alla sanzione demolitoria (Cass. pen., III, 22.2.2201 n. 13997; idem, 22.11.2007 n. 4087), estendendosi l’esigenza ripristinatoria al complesso dei beni realizzati abusivamente, compresi quelli accessori al manufatto principale abusivo (cfr., TAR Toscana, III, 26.2.2010 n. 545).

Restano assorbiti, pertanto, i profili di censura che investono i manufatti abusivi singolarmente considerati.

5. Il ricorso R.G. n. 2795/98 va, pertanto, respinto.

6. Quanto alle spese di giudizio, le stesse, valutata la vicenda contenziosa nel suo complesso, vanno poste a carico delle ricorrenti e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara improcedibile per carenza di interesse il ricorso R.G. n. 3512/97, e respinge i ricorsi R.G. n. 1737/98 e n. 2795/98.

Condanna le ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere all’Amministrazione resistente le spese dei giudizi che liquida nella complessiva somma di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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