Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-04-2011) 13-05-2011, n. 18859 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26 maggio 2010, la Corte di appello di Messina, confermava la sentenza del Tribunale di Messina, in data 20 maggio 2008, che aveva condannato F.F. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il reato di rapina aggravata in concorso, concesse le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, equivalenti alla contestata aggravante.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di consapevolezza dell’azione delittuosa posta in essere dall’altro concorrente nel reato e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con i quali deduce:

1) Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2, con riferimento all’art. 628 c.p..

2) Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione in relazione alla gravità della pena inflitta.

Quanto al primo motivo, si duole che la Corte abbia fondato le proprie conclusioni in punto di responsabilità del prevenuto esclusivamente sulle dichiarazioni delle persone offese senza effettuare il dovuto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva dei dichiaranti.

Quanto al secondo motivo si duole che i giudici di merito abbiano confermato la pena inflitta senza una specifica indicazione dei motivi che li hanno portati a ritenere congrua una pena sproporzionata rispetto ai fatti oggetto di contestazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, è infondato il richiamo alla norma di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2 in quanto nel caso di specie l’affermazione della responsabilità del prevenuto non è fondata su una prova indiziaria bensì sulle dichiarazioni testimoniali delle persone offese. Quanto al riscontro di credibilità dei dichiaranti, dalla sentenza impugnata emerge che le dichiarazioni delle persone offese hanno trovato riscontro in fatti obiettivi (il ritrovamenteo dei telefoni cellulari sottratti, di cui uno trovato indosso al minore E., concorrente nel reato ed autore materiale della sottrazione) e che lo stesso F. ha ammesso di essere stato presente e di aver colpito con un pugno il S. per dar man forte al minore E.. Pertanto la Corte, più che valutare la credibilità oggettiva e soggettiva delle persone offese ( S. F. e D.M.) doveva limitarsi a valutare le giustificazioni fornite dall’imputato. Al riguardo la Corte ha ritenuto non fondato l’assunto difensivo del F., giudicandolo non aderente alle risultanze processuali, con motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici, come tale incensurabile in sede di legittimità.

Quanto al secondo motivo, il giudizio – sia pure stringatissimo – di adeguatezza della pena inflitta alla gravità dei fatti formulato dalla Corte territoriale deve essere deve essere esaminato in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado ad essa conforme.

Ne deriva che i giudici del merito hanno compiutamente spiegato le ragioni che risultano ostative al riconoscimento della prevalenza delle riconosciute attenuanti sulla contestata aggravante, così correttamente motivando sulla congruità della pena inflitta.

Di conseguenza il ricorso del F. deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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