Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-04-2011) 13-05-2011, n. 18853 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 28 aprile 2010, la Corte di appello di Messina, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Messina, in data 10/7/2008, che aveva condannato, fra gli altri, R. S. (classe (OMISSIS)) alla pena di anni due e mesi due di reclusione e D.G.V. alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione ed Euro 200,00 di multa per i reati di associazione per delinquere, truffa e tentata truffa, nonchè R.S. (classe (OMISSIS)) alla pena di mesi sei di reclusione Euro. 200,00 di multa per i reati di tentata truffa e danneggiamento.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con gli atti d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità di ciascun imputato in ordine ai reati ascritti, ed equa la pena inflitta a ciascuno.

Avverso tale sentenza propongono ricorso R.S. (classe (OMISSIS)), D.G.V. e R.S. (classe (OMISSIS)) per mezzo del rispettivi difensori di fiducia.

R.S. (classe (OMISSIS)) e D.G.V..

Deducono violazione di legge e vizio della motivazione. Al riguardo si dolgono che la Corte non abbia risposto alle censure formulate con l’atto d’appello in punto di inesistenza degli estremi del reato associativo, essendosi limitata a considerazioni tautologiche ed apodittiche. Eccepiscono, inoltre, che la Corte ha fornito una risposta meramente apparente all’eccezione di improcedibilità del reato di cui al capo G per tardività della querela e si dolgono della mancata concessione dell’attenuante del danno di particolare tenuità.

R.S. (classe (OMISSIS)).

Solleva due motivi di ricorso con i quali deduce violazione di legge, in relazione all’art. 640 c.p., eccependo che la condotta di cui al capo di imputazione contestato non sarebbe riconducibile al R., nonchè violazione di legge e vizio della motivazione, dolendosi dell’applicazione della recidiva, di cui all’art. 99, comma 4, in assenza di motivazione che la giustificasse.
Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono infondati.

R.S. (classe (OMISSIS)) e D.G.V..

In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, semprechè tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000), Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 (ud.

22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta nè quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice. In particolare la sentenza impugnata ha preso in considerazione gli argomenti dell’appello ed ha specificamente motivato sulla sussistenza nella fattispecie degli estremi dell’associazione osservando che le modalità dello svolgimento dei fatti, così come accertate nel corso del giudizio, non consentono di riscontrare la tesi delle decisioni estemporanee prese di volta in volta.

Quanto all’eccezione di tardività della querela, con riferimento al reato di cui al capo G), contestato al solo R.S. (classe (OMISSIS)), la censura è infondata.

Va premesso, che ai sensi dell’art. 124 c.p., comma 1, il diritto di querela deve essere esercitato nel termine di decadenza di "tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato", intendendosi per notizia del fatto la conoscenza certa dell’episodio delittuoso e quindi la piena cognizione che dello stesso si siano realizzati i requisiti costitutivi, nel senso cioè che l’interessato sia venuto in possesso degli elementi necessari per proporre fondatamente l’istanza punitiva.

In tale contesto è frequente l’incertezza circa la tempestività della querela ed il dubbio al riguardo investe, in particolare, il dies a quo. L’indirizzo giurisprudenziale prevalente è nel senso che l’onere della prova dell’intempestività della querela è a carico di chi allega l’inutile decorso del termine e la decadenza dal diritto di proporla va accertata con criteri rigorosi, non potendosi ritenere verificata in base a semplici supposizioni prive di valore probatorio (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10721 del 23/09/1998 Ud. (dep. 12/10/1998) Rv. 211740).

Di conseguenza: "Qualora venga eccepita la tardività della querela, la prova del difetto di tempestività deve essere fornita da chi la deduce ed un’eventuale situazione di incertezza va integrata in favore del querelante" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2486 del 10/11/1998 Ud. (dep. 25/02/1999) Rv. 212720).

Nella fattispecie il ricorrente nulla ha dedotto circa il momento in cui la parte offesa abbia avuto piena cognizione che il fatto integrava gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di truffa. Di conseguenza correttamente la Corte ha rigettato l’eccezione di intempestività della querela.

Ugualmente infondate sono le doglianze in tema di mancata concessione delle attenuanti generiche e di dosimetria della pena, giacchè la motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del primo giudice, si sottrae ad ogni sindacato per avere adeguatamente richiamato i precedenti penali ed il comportamento degli imputati – elementi sicuramente rilevanti ex artt. 133 e 62-bis c.p.p. – nonchè per le connotazioni di complessiva coerenza dei suoi contenuti nell’apprezzamento della gravita dei fatti. Nè i ricorrenti indicano elementi non considerati in positivo decisivi ai fini di una diversa valutazione.

R.S. (classe (OMISSIS)).

Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto il ricorrente ha sollevato questioni del tutto generiche, e che, in ogni caso, per l’assoluta aspecificità, non permettono alcuna seria e concreta valutazione delle censure. Viceversa, il ricorrente ha del tutto ignorato le ragioni poste a base del provvedimento impugnato così incorrendo nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità dell’impugnazione (Cass., sez. 6, n. 35656, 6 luglio 2004, Magno).

E’ infondato, invece, il secondo motivo di ricorso in punto di carenza di motivazione in ordine all’applicazione della recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 4.

Al riguardo è sufficiente rilevare che le considerazioni svolte dai giudici di merito, in punto di non riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti, in ordine ai precedenti penali dell’imputato ed alla "odiosità" (gravita) del fatto costituiscono motivazione implicita e rendono ragione della applicazione della recidiva.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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