Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 13-05-2011, n. 18884 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 14.8.2010, il Tribunale di Reggio Calabria, sezione del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da F.G. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale del 30.6.2010, con il quale era stato emessa nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato per i reati di cui:

-al capo n) della rubrica ( art. 378 cod. pen., aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7: favoreggiamento personale, per avere aiutato il latitante B.G., classe (OMISSIS), a sottrarsi alle ricerche dell’autorità);

-al capo o) della rubrica ( art. 390 cod. pen., aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7: avere aiutato il latitante B.G., classe (OMISSIS), a sottrarsi all’esecuzione della pena, avendogli fornito aiuto logistico ed assistenza, in data antecedente e prossima al suo arresto, avvenuto il (OMISSIS));

-al capo p) della rubrica ( L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14 aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7: illecita detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola calibro 6,35, ricevuta dal latitante BE.Gr., in data antecedente e prossima al suo arresto, avvenuto il (OMISSIS)).

2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza a carico del ricorrente di gravi indizi di colpevolezza, fondati su di un cospicuo ed approfondito materiale indiziario, raccolto dai carabinieri del R.O.S. di Reggio Calabria nel progetto investigativo denominato "Pettirosso", principalmente inteso alla cattura di BE. G. e B.G., esponenti di spicco della cosca mafiosa "Bellocco" di Rosarno, associazione armata a base familiare tuttora viva ed operante sul territorio, dedita alla commissione di delitti ed all’acquisizione ed al rafforzamento del controllo sulle attività economiche del territorio controllato. Il materiale acquisito era consistito in intercettazioni telefoniche ed ambientali; in sommarie informazioni testimoniali; in documenti; in esiti di servizi di osservazioni e pedinamenti; in accertamenti tecnici sui bunker rinvenuti; in rilevamenti di sistemi di localizzazione radio satellitare G.P.S.. Era stata in tal modo scoperta una vasta ed articolata rete di fiancheggiatori dei latitanti della cosca Bellocco, operanti nelle campagne di (OMISSIS), i quali avevano dato luogo ad un complesso ed efficace sistema di protezione dei latitanti, protrattosi per oltre un decennio 3. I gravi indizi a carico del F. per i reati di cui ai capi n) ed o) sono stati ravvisati:

a)-nella conversazione captata il 1.8.06 a bordo dell’auto nella sua disponibilità, dalla quale era emerso che l’indagato si era lamentato bonariamente con B.G. per non aver ricevuto i dischi da suo padre latitante BE.Gr., del quale aveva altresì chiesto notizie;

b)-nella conversazione captata il 22.8.06, nel corso della quale l’indagato aveva fatto ascoltare ad un suo interlocutore non identificato una canzone che rievocava la cattura di BE. G., avvenuta il (OMISSIS) e che era stata composta da B.G., ed aveva mostrato di conoscere il suo luogo di rifugio; dal che, secondo il Tribunale, era dato desumere che l’indagato fosse depositario di informazioni riservate sulla cosca mafiosa dei Bellocco;

c)-nella conversazione fra presenti del 7.8.06, nel corso della quale l’indagato aveva vantato i suoi buoni rapporti con importanti esponenti della criminalità organizzata, fra cui BE. G.; in tale conversazione poi l’indagato aveva rievocato l’aiuto da lui prestato ad un latitante, che aveva subito diffuse ustioni al corpo per l’esplosione di una bombola di gas; tuttavia la stessa ordinanza impugnata ha chiarito che il soggetto cui l’indagato si era riferito era da intendere non B.G., ma tale B.C.;

d)-nella conversazione del 26.7.06, nel corso della quale l’indagato aveva manifestato la sua aspirazione ad entrare in rapporto diretto con un latitante della famiglia BELLOCCO, identificato in B. G.;

e)-nella conversazione del 13.8.06, intercorsa con FA. G., altro gestore della latitanza di B.G., conversazione fatta di brevi scambi di battute per concordare appuntamenti in località che non venivano precisate e per trattare di persona argomenti che non venivano precisati;

f)-nella conversazione captata il 3.8.06 fra l’indagato ed il FA., in cui si era parlato di cattura di latitanti, di un bunker e di un latitante non meglio precisato che era riuscito nuovamente a sfuggire alla cattura.

4. I gravi indizi a carico dell’indagato per il delitto di cui al capo p) della rubrica sono consistiti nella dichiarazione fatta dall’indagato nel corso di una conversazione captata il 1.8.06, nel corso della quale il medesimo aveva affermato di avere ricevuto la pistola, di cui al capo d’imputazione anzidetto, in dono da BE.Gr..

5. Il Tribunale ha poi ritenuto sussistere a carico del F. l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in quanto l’assistenza ai latitanti costituiva una delle primarie finalità della ‘ndrangheta, atteso che, in tal modo, l’associazione mafiosa proteggeva sè stessa, alimentava nel contempo la diffusa sensazione della propria impunità ed accresceva la capacità intimidatoria che la contraddistingueva; non si trattava quindi di una singola vicenda di assistenza fatta nei confronti di un singolo criminale, ma di un sistema di protezione dei latitanti, si che l’aiuto prestato dal F. a B.G. era oggettivamente funzionale ad agevolare l’attività della consorteria mafiosa; e l’aggravante in questione era da ritenere riferita anche al reato in materia di armi, atteso che il dono di un’arma da sparo da parte di un esponente di vertice della cosca durante la sua latitanza ad una persona contigua aveva la finalità di gratificare il donatario e rafforzare il suo legame alla cosca mafiosa.

6. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto che dai gravi fatti accertati fosse desumibile l’elevata pericolosità del F. e che sussisteva, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. c), il concreto pericolo che il medesimo, una volta rimesso in libertà, avrebbe potuto reiterare nei confronti di altri latitanti i reati commessi, ovvero avrebbe potuto compiere delitti di criminalità organizzata con l’uso delle armi.

Inoltre il Tribunale ha rilevato come l’art. 275 cod. proc. pen., comma 3 poneva a carico del ricorrente, che aveva agevolato un’associazione di tipo mafioso, una presunzione di pericolosità sociale superabile non con il mero decorso del tempo, ma con la positiva dimostrazione della rescissione dei legami con l’associazione mafiosa di riferimento; e tali prove contrarie non erano emerse nella specie.

6. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Reggio Calabria F.G. ha proposto ricorso per cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto:

-carenza di motivazione, per avere il Tribunale ritenuto le conversazioni intercorse far esso ricorrente e FA.Gi. gravi indizi idonei a supportare la contestata condotta di favoreggiamento; ed il fatto che esso ricorrente avesse inteso relazionarsi con uno o più soggetti latitanti del clan Bellocco non comportava necessariamente una prestazione di assistenza da parte sua, atteso che dalle intercettazioni disposte non erano emerse precise sue condotte ausiliatrici della latitanza di B. G.; era stato cioè ipotizzato una sorta di automatismo probatorio, atteso che la ricerca da parte sua di un incontro con un esponente apicale di un clan mafioso non comportava necessariamente l’aiuto dato al medesimo latitante di sottrarsi alle ricerche dell’autorità; e l’ordinanza impugnata aveva ravvisato la sua specifica condotta favoreggiatrice nella conversazione captata il 7.8.06; tuttavia il soccorso prestato ad un latitante ferito, desumibile da detta conversazione, non era stato da lui portato a B.G., ma ad un cugino di quest’ultimo di nome C..

Anche le altre conversazioni intercettate erano state in modo immotivato lette dal Tribunale come ulteriori indizi a suo carico;

così l’intercettazione del 1.8.06 era stata ritenuta dal Tribunale come prova di un suo incontro con il latitante B.G., mentre invece la stessa ordinanza coercitiva aveva interpretato detta intercettazione come indicativa di una mera sua intenzione di incontrarsi col latitante anzidetto;

-erronea applicazione della Legge panale, riferita alla contestazione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 in ordine al reato d’illegale detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola calibro 6,35; non poteva infatti ritenersi tale sua condotta criminosa come funzionale allo scopo di rafforzare un’associazione mafiosa, in quanto detta proiezione finalistica della sua condotta non poteva desumersi unicamente dall’essere stato il fatto inserito in un contesto mafioso; invero costituiva una mera petizione di principio l’aver qualificato la cessione gratuita di una pistola da borsetta, fatta in suo favore dal latitante BE.Gr. come rafforzamento sul piano psichico del suo legame al clan mafioso, al quale il latitante anzidetto apparteneva, in quanto il gesto era stato compiuto da BE.Gr. a titolo personale; nè il Tribunale aveva accertato in che modo la condotta di quest’ultimo avesse oggettivamente agevolato l’attività dell’organizzazione mafiosa, alla quale il BE. apparteneva.
Motivi della decisione

1. E’ fondato il motivo di ricorso proposto da F.G., avente ad oggetto la carenza di motivazione circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico per i delitti di favoreggiamento personale nei confronti del latitante B. G. e di aiuto, fornito al medesimo, per sottrarsi all’esecuzione della pena.

2. E’ noto che sia il reato di favoreggiamento personale, sia quello di procurata inosservanza di pena presuppongono una condotta dell’agente tale da evidenziarne l’attitudine, sia pure astratta, ad intralciare in qualche modo il corso della giustizia; ed è noto che nessun rilievo scriminante può essere conferito all’asserita ininfluenza concreta del comportamento incriminato (cfr. Cass. Sez. 6 n. 24161 del 24 ottobre 2006 dep. 20/06/2007, imp. D’ANGELO, Rv.

236688).

E’ quindi necessario che sussista un comportamento di segno positivo dell’agente, tale da potere essere qualificato come intralcio al corso della giustizia.

3. Nella specie in esame, al contrario, nessuno degli indizi addotti dal Tribunale è idoneo a rappresentare in concreto una qualsiasi attività posta in essere dal ricorrente, idonea ad essere qualificata come favoreggiamento della latitanza di B. G., ovvero come aiuto al medesimo prestato per sottrarsi all’esecuzione della pena.

Gli elementi addotti dal provvedimento impugnato, pur essendo certamente rappresentativi di un’assai discutibile alta considerazione e quasi venerazione che il ricorrente mostra di nutrire per il latitante anzidetto e per l’ambiente malavitoso in cui il medesimo vive, non integrano di per sè alcun comportamento qualificabile come violazione degli artt. 378 e 390 c.p..

Come riferito in parte narrativa, sono sostanzialmente sei i più rilevanti indizi ritenuti dal Tribunale a carico del ricorrente, per i due delitti in esame e precisamente:

a)-la conversazione captata il 1.8.06 a bordo dell’auto nella sua disponibilità, dalla quale era emerso che l’indagato si era lamentato bonariamente con B.G. per non aver ricevuto i dischi da suo padre latitante BE.Gr., del quale aveva altresì chiesto notizie;

b)-la conversazione captata il 22.8.06, nel corso della quale l’indagato aveva fatto ascoltare ad un suo non identificato interlocutore una canzone rievocante la cattura di BE. G., avvenuta il (OMISSIS), canzone scritta da B. G., del quale avrebbe mostrato di conoscere il luogo in cui si rifugiava; dal che, secondo il Tribunale, poteva desumersi che il ricorrente fosse depositario di informazioni riservate sulla cosca mafiosa Bellocco;

c)-la conversazione fra presenti del 7.8.06, nel corso della quale il ricorrente aveva vantato i suoi rapporti con importanti esponenti della criminalità organizzata, fra cui BE.Gr.; in tale conversazione l’indagato aveva in particolare vantato l’aiuto da lui prestato ad un latitante, che aveva subito diffuse ustioni al corpo per l’esplosione di una bombola di gas; tuttavia la stessa ordinanza impugnata ha chiarito che il soggetto cui l’indagato si era riferito era da intendere non B.G., ma tale B.C.;

d)-la conversazione del 26.7.06, nel corso della quale il ricorrente aveva manifestato la sua aspirazione ad entrare in rapporto diretto con un latitante della famiglia BELLOCCO, identificato in B. G.;

e)-la conversazione del 13.8.06, intercorsa con FA.Gi., altro gestore della latitanza di B.G., della quale il Tribunale ha messo in rilievo come fosse consistita in brevi scambi di battute per concordare appuntamenti in località non precisate e per trattare a voce argomenti non precisati;

f)-la conversazione captata il 3.8.06 fra l’indagato ed il FA., in cui si era parlato di cattura di latitanti, di un bunker e di un latitante non meglio precisato che era riuscito nuovamente a sfuggire alla cattura.

Dall’esame di tali supposti indizi emerge chiaramente che essi, pur certamente indicativi di un’evidente contiguità del ricorrente all’ambiente malavitoso facente capo al clan Bellocco, non sono tali da configurare un concreto aiuto portato dal ricorrente al latitante B.G. per aiutarlo a sfuggire alla giustizia; non può in particolare valere come indizio in tal senso nè la semplice conoscenza, da parte del ricorrente, del luogo in cui il latitante anzidetto si sarebbe nascosto, nè la circostanza che il ricorrente abbia mostrato un’evidente quanto discutibile condivisione emotiva degli sforzi fatti dal latitante medesimo per sottrarsi alla sua cattura.

2. E’ altresì fondato l’altro motivo di ricorso proposto dal ricorrente, avente ad oggetto la contestazione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 riferita al delitto contestatogli al capo p) della rubrica ( L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14:

illecita detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola calibro 6,35, ricevuta dal latitante BE.Gr., in data antecedente e prossima al suo arresto, avvenuto il (OMISSIS)).

Lo stesso ricorrente peraltro non nega la sussistenza a suo carico del reato anzidetto, non avendo in sostanza contestato la valenza dell’indizio ravvisato a suo carico dal Tribunale, indizio costituito dalla dichiarazione da lui fatta nel corso di una conversazione captata il 1.8.06, nel corso della quale egli ha affermato di avere ricevuto la pistola, di cui al capo d’imputazione, in dono da BE.Gr..

Il ricorrente censura unicamente che il Tribunale di Reggio Calabria abbia ritenuto detto reato aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Tale ultima circostanza aggravante ben può consistere nella condotta di chi, anche senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, abbia tuttavia offerto un contributo significativo al perseguimento delle finalità proprie della cosca mafiosa, essendo solo indispensabile che il comportamento tenuto dal soggetto risulti assistito da una cosciente ed univoca volontà, intesa ad agevolare il sodalizio criminoso considerato nel suo complesso (cfr. Cass. 6, 13.11.08 n. 2696, rv. 242686).

Tanto tuttavia non è ravvisabile nella specie in esame, nella quale un esponente di spicco di un’associazione mafiosa risulta aver fatto dono all’odierno ricorrente di una pistola, apparendo tautologico e meramente assertivo aver ritenuto, come ha fatto il Tribunale di Reggio Calabria, che il gesto di liberalità posto in essere da BE.Gr. abbia finito per rafforzare il vincolo fra il ricorrente e la cosca mafiosa, cui il donante apparteneva; invero un gesto di liberalità, anche se commesso da un pregiudicato, non perde la sua normale valenza di atto per sua natura strettamente personale e riferibile esclusivamente alla persona del donatario, si che, in assenza di ulteriori, specifici elementi oggettivi, non evidenziati dal provvedimento impugnato, appare arduo ritenere che il gesto, valutato in sè e per sè, abbia potuto perseguire la finalità di rafforzare la cosca mafiosa, di cui il donante era esponente.

3. Da quanto sopra consegue l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio degli atti al Tribunale del riesame di Reggio Calabria in diversa composizione (cfr. art. 34 cod. proc. pen.), affinchè, in piena autonomia di giudizio, provveda nuovamente ad esaminare il ricorso proposto da F.G., tenendo presenti le lacune motivazionali sopra riscontrate.

4. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94, comma 1 ter delle disposizioni di attuazione c.p.p..
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente ai reati previsti dagli artt. 378 e 390 cod. pen., nonchè all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 contestata in relazione al reato di detenzione e porto di pistola e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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