Cons. Stato Sez. IV, Sent., 16-05-2011, n. 2956 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ze l’Avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. La Signora G. C., già dipendente di Ente mutualistico, susseguentemente immessa nei ruoli regionali del Servizio sanitario nazionale in dipendenza della disciplina applicativa della L. 23 dicembre 1978 n. 833 e successive modifiche ed integrazioni e quindi collocata in quiescenza dopo aver prestato servizio presso il Ministero del Tesoro, ha coattivamente incassato in forza di decreto ingiuntivo l’intera somma a lei liquidabile in caso di cessazione dal servizio senza diritto a pensione e, quindi, comprendente anche la quota di contributi corrisposti dall’Ente mutualistico predetto.

Susseguentemente, in dipendenza del passaggio in giudicato della sentenza n. 278 del 1989 con la quale il Tribunale ordinario di Roma in sede di opposizione al decreto ingiuntivo anzidetto ha dichiarato al riguardo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, l’allora Ministero del Tesoro, mediante ingiunzione n. 643971 dd. 26 novembre 1991 ha dato corso alla procedura di recupero nei riguardi della C.: e ciò nel presupposto del venir meno del titolo fondante il pagamento di cui trattasi.

Peraltro, a seguito della sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 594 dd. 30 aprile 1993 è stato riconosciuto il diritto della medesima C. alla restituzione delle sole quote di contributi corrisposti nel Fondo integrativo di previdenza, maggiorati comunque della rivalutazione monetaria e dagli interessi legali con decorrenza fissata dalla cadenza del termine di opzione di cui all’art. 75 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761; e, in conseguenza di ciò, il Ministero anzidetto ha provveduto a rideterminare il debito della C. quale differenza tra quanto a suo tempo da lei incassato e quanto a lei dovuto in forza della sentenza del T.A.R. per il Lazio testè riferita.

Mediante ingiunzione fiscale n. 610514 dd. 29 marzo 1995, vidimata e resa esecutoria in data 3 maggio 1995 à sensi del R.D. 14 aprile 1010 n. 639 dal Pretore di Roma è stato conseguentemente intimato alla C. di corrispondere al Ministero del Tesoro – Ispettorato generale per la gestione del patrimonio degli Enti disciolti,

1.2. Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio la C. ha pertanto chiesto l’annullamento dell’ingiunzione testè descritta, invocando sostanzialmente la propria buona fede in ordine alla circostanza che l’Amministrazione del Tesoro effettivamente procedesse al recupero del proprio credito.

La ricorrente ha – altresì – contestato la sussistenza dell’obbligo a pagare talune somme formanti il credito dell’Amministrazione predetta, nonché la decorrenza degli interessi sulla sorte capitale da lei dovuta, e – da ultimo – l’intervenuta prescrizione del credito in questione, da ricondursi a suo avviso non già a restituzione di indebito ma a restituzione di importi retributivi illegittimamente corrisposti e, perciò, assoggettati a prescrizione quinquennale.

1.3. Con sentenza n. 3301 dd. 3 maggio 2005 la Sezione Iter del T.A.R. per il Lazio ha accolto il ricorso della C. limitatamente al riconoscimento del buon fine di un suo versamento alla controparte di Lire 200.000.- (Euro 103,29.) effettuato a titolo di saldo parziale del debito in questione e alla decorrenza dalla data dell’avvenuta notifica dell’ingiunzione (12 maggio 1995) degli interessi spettanti al Ministero del Tesoro, medio tempore divenuto à sensi del D.L.vo 30 luglio 1999 n. 300 e successive modifiche Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2. Quest’ultimo ha quindi proposto appello avverso tale sentenza chiedendone la riforma laddove è stata disposta la decorrenza degli anzidetti interessi dalla predetta data del 12 maggio 1995 anziché dalla data di percezione da parte della stessa C. delle somme a lei non spettanti, ossia dal 23 maggio 1986.

Secondo la prospettazione del ricorrente Ministero, nella specie dovrebbe trovare applicazione il principio per cui, qualora venga riformato o annullato il titolo giudiziale da cui è scaturito l’obbligo di pagamento, la parte soccombente ha comunque l’obbligo di reintegrare la parte vittoriosa di quanto quest’ultima abbia corrisposto con riserva di ripetizione, oltre agli interessi decorrenti dalla data del pagamento non dovuto.

Il ricorrente Ministero rimarca che nella specie sono state chieste in restituzione somme percepite in via coattiva, in esecuzione a provvedimenti giudiziali susseguentemente riformati o, ancor di più, su esecuzione forzata fondata su tale presupposto, ossia somme che consapevolmente sarebbero state percepite dalla C. con carattere di provvisorietà, essendo la legittima ritenzione delle somme medesime subordinata al definitivo accertamento giudiziale del credito.

Secondo il Ministero, pertanto, nella fattispecie della ripetizione di somme corrisposte a seguito di provvedimenti giudiziali caducati, non potrebbe che riprendere valore il principio generale della naturale fecondità del denaro, anche in dipendenza della circostanza che la durata del processo non può configurarsi quale danno per il contendente definitivamente vittorioso.

Né potrebbe nel caso di specie ravvisarsi in capo alla C. la buona fede in quanto tale status presupporrebbe, per il suo riconoscimento, la percezione delle somme nella ragionevole presunzione che le stesse siano senz’altro dovute a chi le riceve, ovvero un comportamento della controparte spontaneo, o quantomeno remissivo e che possa quindi far ritenere al percettore di essere nel giusto: il che, nella specie, non sarebbe – per l’appunto – ravvisabile.

La ricorrente rimarca – altresì – che l’obbligo di pagamento degli interessi sulle somme da restituire perché ricevute in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata decorre dalla data dell’effettiva percezione delle dette somme (Cassazione civile, sez. II, 23 maggio 1992 n. 6224) e che, comunque, anche la buona fede del pubblico dipendente non impedisce, di per sé, il recupero di somme indebitamente corrisposte da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro (cfr. al riguardo Cons. Stato, A.P., 20 dicembre 1992 n. 20 e 30 settembre 1993 n. 11).

3. Si è costituita in giudizio l’appellata C., replicando puntualmente alle censure avversarie e proponendo – altresì -ricorso incidentale avverso la predetta sentenza nella parte in cui sarebbe stata omessa la motivazione in ordine alle spese che il Ministero potrebbe ripetere, ed in particolare soltanto quelle liquidate dal Pretore in Lire 150.000 (ossia lire 10.000.- per spese, Lire 70.000.- per competenze e Lire 70.000.- per il ricorso), e non già per le spese relative all’atto di precetto e alla fase esecutiva, le quali dovevano viceversa restare a carico dell’Amministrazione ivi soccombente, stante il ritardo della stessa nel pagamento.

A fronte di ciò, ad avviso della difesa della C. il giudice di primo grado affermerebbe, in via del tutto contraddittoria, errerebbe l’Amministrazione intimata nell’indicare nell’avversaria ingiunzione fiscale l’importo di Lire 6.180.261.- quale sorte capitale interessi e non già quello inferiore di Lire 5.858.261.

Il primo giudice, in tal senso, non si sarebbe quindi avveduto che la C. non avrebbe percepito la somma di Lire 6.180.000., ma quella di Lire 5.958.261., di cui Lire 4.766.609.- per capitale e di Lire 1.191.652.- per interessi, nel mentre le restanti Lire 221.749.- non sarebbero dovuti in quanto diritti di precetto derivanti dal ritardo di pagamento da parte dell’Amministrazione, ossia spese legali relative all’inadempimento e che l’Amministrazione avrebbe potuto evitare provvedendo al pagamento tempestivo.

In conseguenza di ciò,pertanto, la ricorrente chiede l’ulteriore riduzione dell’indebito nella misura di Lire 221.749., pari ad Euro 114,52.

4. Con memoria dd. 7 dicembre 2010 il patrocinio del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato che à sensi dell’art. 1, comma 91, della L. 23 dicembre 2005n. 266 come sostituito dall’art. 1, comma 486, della L. 27 dicembre 2006 n. 296 e del conseguente accordo stipulato in data 23 luglio 2010 tra il Ministero medesimo e l’I.N.P.D.A.P., quest’ultimo è subentrato in sua vece nel presente contenzioso.

5. Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2011 la causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

6. Tutto ciò premesso, il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze va respinto.

Anche di recente è stato infatti affermato dalla giurisprudenza che l’obbligo di debenza degli interessi sulle somme erogate in eccedenza – e ciò, indipendentemente dal richiamo dell’Amministrazione al D.M.. 1 settembre 1998 n. 352 sulle modalità di conteggio degli interessi e della rivalutazione monetaria per ritardato pagamento di competenze retributive – si collega all’art. 2033 c.c., ultimo periodo, laddove nei casi di indebito oggettivo, nei quali la percezione delle somme sia avvenuta con affidamento e buona fede, prevede il calcolo dell’accessorio al credito principale dalla data della domanda di restituzione dell’indebito (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2010 n. 8215).

Il Collegio non sottace che la giurisprudenza ha pure altrettanto costantemente negato che la restituzione della somma pagata in ottemperanza ad una sentenza di merito provvisoriamente esecutiva possa essere riportata alla fattispecie legale della condictio indebiti disciplinata dall’art. 2033 cod. civ. e differente per natura e per funzione, posto che l’art. 2033 riguarda un pagamento eseguito nell’ambito un rapporto privatistico, pur se erroneamente ritenuto, e non nell’ottemperanza di un atto pubblico autoritativo.

In quest’ultimo caso e per quanto concerne gli accessori della somma da restituire, non rileverebbe quindi lo stato soggettivo di buona o mala fede dell’accipiens, ma l’assenza originaria di causa del pagamento, ossia del corrispondente arricchimento della controparte, con l’ulteriore conseguenza della necessità di porre il solvens nella stessa situazione patrimoniale in cui versava prima di pagare (cfr., ex plurimis, Cass. Lav., 17 dicembre 2010 n. 25589).

Tuttavia, il Collegio neppure ignora che la giurisprudenza assimila alla buona fede dell’accipiens anche il dubbio particolarmente qualificato circa l’effettiva fondatezza delle proprie pretese (cfr. al riguardo Cass., Sez. Lav., 5 maggio 2004 n. 8587): dubbio che nel caso di specie ragionevolmente sussisteva anche con riguardo al consistente lasso di tempo entro il quale il decreto ingiuntivo ha dispiegato il proprio effetto, in disparte restando – altresì – anche l’invero complessità della vicenda, anche ad iniziare dalla ben tardiva soluzione che è stata data alla questione della giurisdizione.

7. Il ricorso incidentale della C. va, viceversa, respinto posto che dall’accertata (e, peraltro, parziale) inesistenza del credito a suo tempo azionato da quest’ultima nei riguardi del Ministero del Tesoro non può che discendere l’obbligo per la C. medesima di rifondere comunque tutte le spese indebitamente fatte gravare nei riguardi del Ministero medesimo, ivi dunque compresa la rifusione dei diritti di precetto, comunque non più dovuti anche se conseguenti a ritardo all’epoca imputato al falso debitore.

8. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Respinge – altresì – l’appello incidentale proposto da C. G..

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

La presente sentenza, che si ordina sia eseguita dall’Autorità amministrativa, è depositata presso la Segreteria della Sezione, che provvederà a darne comunicazione alle parti, nonché all’I.N.P.D.A.P., viale Aldo Ballarin n. 42, 00142 – Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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