Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 13-05-2011, n. 18881 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ei motivi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Lecce confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di C.M. e C.C. in relazione al delitto di estorsione ai danni dei fratelli B., escludendo l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Osservava che l’episodio si inseriva in una vasta indagine avente ad oggetto una compagine mafiosa facente capo al boss F.G. e, per tutti gli elementi relativi a questa indagine, richiamava per relationem l’ordinanza di applicazione della misura.

La vicenda aveva ad oggetto la vendita del ristorante (OMISSIS) avvenuta tra i B. e C.M. al prezzo di circa Euro 100.000, bene oggetto di confisca, in relazione al quale C. pretendeva che venisse riacquistato dai B. ad un prezzo triplicato, circa Euro 300.000, in ragione delle migliorie effettuate. La questione verteva quindi sia sulla arbitrarietà della richiesta che costituiva di per se ingiusto profitto sia sui metodi violenti utilizzati, tra i quali rientrava anche una episodio di danneggiamento del locale avvenuto nel (OMISSIS), in relazione al quale C.M. era stato arrestato e già condannato in primo grado.

L’ordinanza ripercorreva tutte le conversazioni intercettate dalle quali emergeva l’uso di minacce e violenze per ottenere il pagamento indebito; la trattativa aveva subito una battuta di arresto solo quando si era appreso che proprio il C. era l’autore dell’attentato dinamitardo. Il padre di costui, C.C., si era inserito nella vicenda solo nel (OMISSIS), quando il locale era già tornato nella disponibilità dei B. e la sua attività era consistita nell’utilizzare comportamenti minacciosi e violenti per costringere i due fratelli a consegnare il residuo denaro, quindi intromettendosi nelle richieste estorsive portate avanti dal figlio, dopo il suo arresto.

In relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari osservava che sussisteva il concreto pericolo di reiterazione della medesima condotta, vista la pervicacia con la quale avevano perseguito il loro intento, protraendo per anni la condotta illecita di minaccia, rafforzata dalla loro caratura criminale desunta dai collegamenti con la criminalità organizzata e dai loro certificati penali; ne conseguiva che l’unica misura idonea a prevenire la loro pericolosità sociale era la custodia in carcere. Avverso la decisione presentavano ricorso gli indagati che con due atti di ricorso deducevano inosservanza, erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi per il reato di estorsione; l’intera motivazione risentiva dell’omissione di motivazione in relazione al rapporto precedente la vicenda e cioè non si menzionava il fatto che C.M. aveva acquistato un bene che non poteva essergli trasferito in quanto oggetto di confisca e che tutta la vicenda successiva si era instaurata per ottenere che i vecchi proprietari si riprendessero il bene pagando quanto dovuto. Non vi era quindi alcuna illiceità della pretesa avanzata da C. nè alcuna ingiustizia del profitto, bensì solo una esecuzione di pregressi rapporti contrattuali. Nell’esaminare gli atti di indagine inoltre il tribunale aveva omesso ogni riferimento ai risultati favorevoli agli indagati, quali il contenuto di numerose altre intercettazioni segnalate dalla difesa come idonee a chiarire i rapporti tra i contraenti; inoltre nessuna menzione era stata fatto alla circostanza che l’episodio dell’attentato dinamitardo, non poteva costituire indizio delle minacce in quanto era giunto a conoscenza delle parti lese solo dopo che avevano pagato la maggior parte dell’importo e quindi mancava il nesso causale tra la minaccia e il pagamento.

Qualora si volesse comunque ritenere la sussistenza di un contenuto minaccioso nei rapporti tra le due parti al massimo poteva configurarsi un esercizio arbitrario delle proprie ragioni ma mai un’estorsione. Nessuna considerazione si era data all’interrogatorio di garanzia e alle preziose informazioni fornite in tale sede.

La motivazione era quindi contraddittoria anche nella parte in cui riteneva che la vicenda era collegata all’associazione a delinquere facente capo a F. ma poi costui non era stato indagato per gli stessi fatti.

Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione a C. C. che aveva partecipato solo alla parte finale dell’azione, a partire dal (OMISSIS); non vi era alcuna prova che fosse a conoscenza dei rapporti tra i contraenti o dell’ingiustizia della pretesa anche perchè nelle conversazioni veniva dipinto come persona incapace di comprendere e la cifra residua ammontava a poche migliaia di Euro; nessun rilievo era stato dato ai comportamenti minacciosi posti in essere dai B. proprio contro C.C.;

violazione di norme processuali e mancanza di motivazione in relazione alle esigenze cautelari e alla scelta della misura; non vi era congrua motivazione sia sulla sussistenza delle esigenze cautelari a distanza di circa 3 anni dai fatti, sia sulla esclusiva necessità della custodia in carcere, tenuto conto della possibilità di prevenire la pericolosità degli indagati con misure minori, soprattutto per la posizione marginale svolta da C.C.; il difensore presente in udienza presentava oralmente un nuovo motivo avente ad oggetto l’asserita inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto i decreti autorizzativi sarebbero stati privi di motivazione sul perchè le intercettazioni dovessero svolgersi in luogo diverso dalla sala ascolto della procura e produceva a sostegno della tesi i decreti di alcune intercettazioni. La Corte ritiene che i ricorsi debbano essere rigettati.

Affrontando per primo il motivo nuovo, dedotto solo in udienza, deve rilevarsi la sua infondatezza. In primo luogo la deduzione è aspecifica perchè non chiarisce a quali decreti si riferisce quando denuncia la loro incompletezza, cioè non chiarisce quali siano i decreti che hanno rilevanza per gli attuali indagati; ma comunque verificando quelli prodotti viene in rilievo che tutti contengono l’individuazione come luogo di registrazione le sale poste presso la Procura di Taranto e quindi risulta pienamente rispettato il dettato normativo che vuole una diversa motivazione solo per quelle intercettazioni che avvengano in luoghi diversi dalle sale di ascolto della Procura; solo per due si stabilisce che la registrazione avvenga presso la Questura per indisponibilità degli impianti e vi è ampia motivazione sulle ragioni di urgenza che imponevano quella scelta; deve aggiungersi che la circostanza che il provvedimento sia intestato alla DDA di Lecce e faccia riferimento alla Procura di Taranto significa solo che la DDA ha competenza distrettuale e Taranto è sede distaccata di Lecce.

In merito alla sussistenza nei fatti accertati del delitto di estorsione e non dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, deve rilevarsi che la condotta minacciosa, reiteratamente posta in essere da ambedue gli indagati trascendeva il ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione in se della volontà assume i caratteri dell’ingiustizia (Sez. 6, 28 ottobre 2010 n. 41365, rv. 248736).

Nel caso di specie poi a tale comportamento deve aggiungersi anche l’assoluta indeterminatezze delle voci della pretesa economica e quindi la mancanza di fondamento della sua esigibilità in sede giudiziaria. Se anche fosse pacifico l’antefatto dei rapporti tra i contraenti, comunque le modalità con le quali si era sviluppata nel tempo la pretesa da parte di C.M. appariva del tutto incongrua ed espressione di una volontà di sopraffazione che nulla aveva a che fare con l’esercizio, seppur arbitrario delle proprie ragioni. Il richiamo all’episodio avvenuto nel (OMISSIS) di un attentato dinamitardo attribuito poi a C. non è incongruo nel senso evidenziato dalla difesa, in quanto nell’ordinanza esso appare come prova dei metodi utilizzati dall’indagato per regolare i propri affari, e anche se le persone offese avevano avuto la consapevolezza della sua responsabilità solo dopo aver effettuato i pagamenti, certamente nei loro confronti aveva costituito uno strumento di pressione molto forte. Il comportamento tenuto da C.C. costituisce anch’esso il reato contestato, in quanto era intervenuto per portare a conclusione le pretese del figlio dopo che costui era stato arrestato e quindi dimostrando di avere piena consapevolezza dei metodi e del contenuto della trattativa.

Parimenti infondati sono i motivi inerenti le esigenze cautelari e la scelta della misura. Infatti il concreto pericolo di reiterazione è dimostrato dal fatto che gli atti di minaccia si sono protratti nel tempo e che anche dopo l’arresto di M. l’azione estorsiva è stata portata a termine dal padre, con una pervicacia che costituisce di per se prova del concreto e attuale pericolo di reiterazione.

Parimenti fondato è il giudizio sulla esclusiva idoneità della custodia in carcere non apparendo misure minori idonee a prevenire detto pericolo, tenuto anche conto dello spessore criminale dei due indagati. I ricorrenti debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

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