Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 13-05-2011, n. 18896 Scriminanti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 14 luglio del 2009, in parziale riforma di quella pronunciata dal tribunale di Genova il 28 marzo del 2007, dichiarava non doversi procedere nei confronti di R.M., in ordine al delitto di cui all’art. 361 c.p., così qualificato il fatto contestato al capo 26), ed al reato di cui al capo 42) lett. A, B e C, perchè gli stessi si erano estinti per prescrizione; assolveva il R. dal reato di cui al capo 39) per non averlo commesso e, dichiarate per il R. le concesse attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, riduceva la pena che gli era stata inflitta dal tribunale ad anni quattro e mesi dieci di reclusione ed Euro ventimila di multa;sostituiva l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea e confermava tra l’altro la condanna inflitta in primo grado a D.V.G., il quale era stato condannato alla pena complessiva di anni 24 di reclusione ed Euro 210.000,00 di multa.

Per quanto ancora rileva in questo grado, la Corte d’appello ha confermato la condanna inflitta al R. per il reato di cui al capo 30 (fatto relativo alla cosiddetta "(OMISSIS)") e quella inflitta per il reato di cui al capo n. 34 (fatto relativo alla cosiddetta operazione "(OMISSIS)"). Al D.V.,oltre al concorso nel reato di cui al capo 34 (che costituisce il fatto più grave), si sono addebitati i seguenti ulteriori reati contestati ai capi 20, 21, 23 e 26 (cosiddette operazioni " (OMISSIS)").

1) Posizione del R.. Al capo 30) al R. si era addebitato il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere, quale comandante del "Raggruppamento Operativo Speciale" dei carabinieri di (OMISSIS), con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, consegnato all’infiltrato V. A. eroina affinchè il predetto la cedesse a persone nei confronti delle quali erano svolte indagini per acquisirne la fiducia. Fatti commessi in (OMISSIS) fino ai primi mesi del (OMISSIS).

Al Capo n 34) si erano originariamente addebitati al R. ed al D.V. i delitti di cui all’art. 314 c.p., del D.P.R. n 309 del 1980, artt. 73 e 80 perchè, in concorso tra loro, si erano impossessati di circa dieci chilogrammi di cocaina della quale avevano il possesso per ragioni d’ufficiosi fine di cederla a terzi.

Fatto commesso il (OMISSIS). Successivamente il delitto di peculato è stata dichiarato estinto per prescrizione ed il R. è stato ritenuto responsabile della cessione e detenzione di quattro o cinque chilogrammi di cocaina ricevuta dal D.v., cocaina che era stata sottratta all’incenerimento, mentre il D.V. è stato ritenuto responsabile dell’intero quantitativo sottratto. I fatti relativi ai due reati anzidetti sono stati ricostruiti nella maniera seguente dai giudici del merito.

(OMISSIS) capo 30. Nell’ambito dell’operazione "(OMISSIS)" svolta a carico del clan Fidanzati, il R. aveva infiltrato tale V.A. quale era diventato il raffinatore del Clan. Il predetto,per acquisire la fiducia di F. G., aveva la necessità di disporre di cocaina che gli era procurata dal R.. Questi, a suo dire,la prelevata da alcuni pani di stupefacente … rimasti in ufficio e tenuti sulla scrivania.

Raffinando questi pani il V. aveva ricavato di volta in volta 600 o 700 grammi che aveva restituito al R. ricevendo in cambio di volta in volta alcuni grammi che erano serviti per fugare i sospetti del F. specialmente dopo la pubblicazione di alcuni articoli di stampa che lo avevano indicato come collaboratore della Polizia.

In merito a tale reato il R. si è giustificato asserendo che delle cessioni da lui effettuate di volta in volta erano a conoscenza i suoi superiori che avevano approvato l’operazione. In ogni caso egli aveva agito spinto dalla necessità di salvare la vita del V. a seguito della pubblicazione di alcuni articoli di stampa, che lo avevano additato come collaboratore di giustizia. Ha sottolineato che l’operazione si era conclusa con grande successo giacchè nella notte tra il (OMISSIS) i carabinieri al comando del prevenuto avevano fatto irruzione nella cascina di (OMISSIS) sequestrando la droga e le attrezzature per la raffinazione ed arrestando gli aderenti al clan Fidanzati. Per la sua collaborazione il V. aveva ricevuto dall’Arma dei carabinieri un compenso di L. trecentomilioni.

In estremo subordine ha invocato l’ignoranza della norma che disciplina l’attività sotto copertura. La tesi è stata respinta dalla Corte, sia perchè non era provato che avesse agito per ordine superiore e comunque trattavasi di ordine illegittimo,sia perchè le cessioni erano state effettuate anche prima della pubblicazione degli articoli relativi al Veronese ed in ogni caso non sussistevano i presupposti dello stato di necessità poichè il pericolo poteva essere evitato Operazione (OMISSIS). Il (OMISSIS) venne importato un carico di circa 289 chilogrammi di cocaina rinvenuta all’interno di due contenitori,sotto un’ ingente partita di pesce congelato a bordo della motonave (OMISSIS) battente bandiera (OMISSIS). Il successivo (OMISSIS), in esecuzione dei provvedimenti di ritardato sequestro disposti dalla Procura della Repubblica di Genova, i cartoni contenenti la sostanza stupefacente vennero trasportati nella caserma dei carabinieri di (OMISSIS) a disposizione del Comando del ROS per il seguito dell’operazione di consegna controllata a norma del D.P.R. n 309 del 1990, artt. 97 e 98. Nel giugno del 1992 il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova ordinò la distruzione dello stupefacente in sequestro, operazione effettuata il (OMISSIS), sennonchè non tutto il quantitativo venne distrutto giacchè il D.V. aveva sottratto circa dieci chilogrammi di cocaina,di cui quattro o cinque chilogrammi sono stati utilizzati dal R. e la rimanente parte dal D.V.. Il R. si è difeso sostenendo che la sostanza, materialmente sottratta dal D. V. a sua insaputa,era stata da lui accettata e successivamente utilizzata per rimpiazzare le perdite dell’operazione (OMISSIS) per permettere al V. di accreditarsi presso il Clan Fidanzati. Egli, quindi, aveva agito nell’adempimento di un dovere,posto che non aveva tratto dalla sottrazione alcun utile personale.

Il D.V. invece ha affermato che era stato proprio il R. a dare l’ordine di sottrarre la sostanza che poteva essere successivamente utilizzata in operazioni sotto controllo .Egli quindi aveva agito in esecuzione di un ordine.

In proposito la Corte ha accertato che il R., anche se non aveva dato un ordine esplicito, aveva comunque fatto capire che la cocaina poteva servire per future operazioni.

2) Posizione del D.V.. Come prima precisato, al predetto,oltre al concorso nella cosiddetta operazione "(OMISSIS)" (capo 34) si sono contestati i reati di cui ai capi 20, 21, 23 e 26 (cosiddette operazioni "(OMISSIS)").

Operazione (OMISSIS). Il (OMISSIS) i carabinieri del ROS di (OMISSIS) trassero in arresto S.A. e C. E. con dieci chilogrammi di eroina che stavano cedendo ad agenti sotto copertura. In base all’immediata confessione del S., i militari sequestrarono in (OMISSIS) altri sedici chilogrammi di eroina in danno di M.B., indicato come il proprietario dell’intero quantitativo dei 26 chilogrammi. L’intero quantitativo con nota a firma del colonnello R. era stato trasmesso al tribunale di Modena dove era pendente il processo a carico dei trafficanti.

Sul reperto venne disposta una consulenza tecnica da cui emerse che il quantitativo di eroina era pari a chilogrammi 23,965 e che la percentuale media di sostanza stupefacente era pari al 50,87%. Il successivo (OMISSIS) da parte del colonnello R. venne trasmesso alla Procura della Repubblica di Modena una nota in cui si comunicava che personale addetto, nell’atto di riordinare uno stanzino adibito ad archivio e deposito momentaneo dei reperti, aveva rinvenuto una scatola contenente circa dieci chilogrammi di eroina facente parte del quantitativo sequestrato a S.A.. Nella nota l’estensore precisava che " verosimilmente" si era verificata all’atto della confezione del reperto la "sostituzione di parte dello stupefacente,con il materiale utilizzato per le riprese televisive dell’operazione". In appello venne disposta nuova consulenza da cui emerse che i due reperti anzidetti provenivano da due diverse partite. Sulla base di tali elementi si ritenne che il reperto Bosforo fosse stato manomesso e che tale manomissione avesse riguardato entrambi i reperti cioè sia quello depositato nel giugno del (OMISSIS) che quello consegnato nel dicembre dello stesso anno. Il D.V. ha confessato di avere usato l’eroina proveniente dal reperto (OMISSIS) per cederla ai confidenti B.U., Ma.Pa. e Sa.Gi., come indicato al capo 20 dell’imputazione e si è giustificato asserendo che le cessioni anzidette erano state effettuate su disposizione del R. il quale era a conoscenza del fatto.

La tesi è stata respinta dai giudici del merito che hanno ritenuto il R. estraneo a tali fatti.

Operazione (OMISSIS) (capo 23). Secondo i giudici del merito il D.V. aveva istigato Ma.Pa., ad acquistare da P.S. ed altri, in più occasioni, quantitativi di eroina per circa un chilogrammo per volta, quantitativi che il Ma., d’intesa con il D.V., avrebbe dovuto cedere a terzi. L’operazione aveva lo scopo di contrastare l’attività del clan dei Cursotti. In un’occasione l’eroina acquistata dal Ma. era risultata difettosa e per tale ragione era stata sostituita con quella proveniente dal reperto (OMISSIS) in possesso del D. V..

Secondo il predetto e lo stesso Ma. l’operazione era stata diretta e gestita dal R.. La tesi però è stata respinta dai giudici del merito i quali hanno ritenuto inattendibili le chiamate in correità e, per evidenziare la personalità del D.V., hanno sottolineato che il predetto si era fatto prestare del denaro dalla convivente del proprio confidente Ma.Pa..

Operazione (OMISSIS) (capo 26). Tale operazione ha avuto origine a seguito di dichiarazioni rese dal confidente De.Io., il quale era il terminale di un’organizzazione di trafficanti della (OMISSIS).

Il predetto aveva riferito al R. di essere disposto a presentargli i trafficanti (OMISSIS). Al primo appuntamento si erano presentati soltanto i marescialli sotto copertura D.V. e Se. che avevano incontrato il De. ed un esponente dell’organizzazione. I contatti erano finalizzati ad un primo acquisto di stupefacente, propedeutico all’intercettazione di un carico maggiore. I carabinieri sotto copertura si erano presentati come esponenti di una paritetica organizzazione italiana in grado di aiutare i (OMISSIS) nello smercio dello stupefacente. Gli agenti italiani per risultare credibili decisero di effettuare un primo acquisto di stupefacente al prezzo di L. centoventimilioni corrisposti utilizzando denaro fornito dalla Direzione Centrale Antidroga. A tal fine furono acquistati tre chilogrammi di eroina L’operazione finale non fu più compiuta perchè il trafficante turco era stato arrestato. Il R., che aveva diretto l’operazione, ordinò al D.V. di depositare i tre chilogrammi di eroina acquistati. Il predetto però, anzichè depositare l’eroina, la tenne per sè. Il R., successivamente informato della mancato deposito del reperto dal maresciallo Pi., non denunciò il subalterno ma si limitò ad ordinargli di depositare il reperto senza però controllare che l’ordine fosse eseguito.

Tale fatto dal tribunale è stato addebitato sia al R. che al D.V., ma la Corte ha ritenuto che al R. potesse essere imputato in relazione a tale episodio solo il delitto di cui all’art. 361 c.p. per l’omessa denuncia del maresciallo D.V., delitto che si era estinto per prescrizione.

3) La sentenza della Corte territoriale è stata impugnata sia dal R. che dal D.V..

Il primo, con riferimento al reato contestato al capo 30) (cosiddetta (OMISSIS)), deduce:

1) mancanza e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte disconosciuto che il R. nel cedere l’eroina al V. avesse agito spinto dalla necessità di salvargli la vita a seguito della pubblicazione di alcuni articoli che lo indicavano come confidente dei carabinieri; sostiene che l’assunto della Corte secondo la quale le cessioni sarebbero state effettuate prima della pubblicazione di tale articolo è smentito dagli atti e segnatamente dal verbale di confronto tra il R. ed il V.;

2) la violazione degli artt 5 e 51 c.p. perchè l’imputato aveva agito in adempimento di ordini ricevuti dai superiori come emergeva tra l’altro dall’audizione del generale Mo. davanti alla Commissione Antimafia presieduta dall’onorevole Vi.; inoltre l’operazione in esame costituiva una delle prime applicazioni della legge ed il prevenuto aveva quindi agito nell’ignoranza scusabile della legge penale ovvero nella scusabile supposizione di essere tenuto ad adempiere un dovere;

3) la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 per l’omesso riconoscimento dell’attenuante della collaborazione; in subordine si eccepisce l’illegittimità costituzionale della norma se interpretata nel senso espresso dalla corte per la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, in quanto, a parità di condotte, ingiustamente privilegia il delinquente redento rispetto al funzionario di polizia che permette di conseguire il medesimo risultato.

Con riferimento al reato di cui al capo 34, il ricorrente, dopo avere premesso che il quantitativo di droga indicato nel capo d’imputazione era stato materialmente sottratto dal D.V., il quale un giorno si era presentato nel suo ufficio ed aveva depositato il reperto assumendo che poteva servire per future indagini, deduce:

1) la violazione della norma incriminatrice perchè il comportamento omissivo non integrava gli estremi del reato;

2) la violazione degli artt. 5 e 51 per avere agito nell’adempimento di un dovere d’ufficio reale o supposto.

Per entrambi i reati lamenta la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n 1, posto che non aveva agito per motivi personali ma al fine di contrastare il traffico degli stupefacenti.

4) Il D.V., in relazione a tutti i reati che gli sono stati addebitati, deduce:

1) la violazione dei criteri di valutazione degli indizi nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione per avere, il Tribunale prima e la Corte dopo, privilegiato le dichiarazioni del R.: in particolare i giudici del merito, pur richiamando il contenuto della cosiddetta sentenza dei marescialli, non avevano recepito la valutazione che del colonnello R. avevano effettuato i magistrati di quel processo; inoltre contesta l’affermazione dei giudici del merito secondo i quali egli avrebbe agito per fini mercantili, in quanto non può avere fini mercantili un soggetto che a fronte della consegna di tre chilogrammi di cocaina riceva in regalo un rolex del valore di lire cinquemilioni e,secondo la sentenza genovese,la somma di L. ventimilioni, giacchè un chilo di cocaina aveva all’epoca il valore di L. centomilioni;

2) la violazione degli artt. 51 e 59 c.p. e del regolamento di disciplina militare per avere la Corte omesso di considerare che il prevenuto si era limitato ad eseguire gli ordini del proprio superiore ossia del colonnello R.;

3) omessa motivazione in ordine a vari provvedimenti e segnatamente alla sentenza del tribunale di Torino del 15 febbraio del 2006 pronunciata nei confronti di D.V. e Pa.; in ordine alla sentenza di revisione n 2253 della Corte d’appello di Torino, a quelle del tribunale di Genova nei confronti del maresciallo Fe.Gi. nonchè a quella del tribunale di Torino pronunciata nei confronti di L.A.: da tali documenti si desumeva che il ricorrente aveva eseguito ordini superiori e che il R. era solito compensare i suoi confidenti mediante corresponsione di sostanze stupefacenti o denaro in sequestro; per dimostrare il coinvolgimento del colonnello R. il ricorrente richiama l’inverosimiglianza dell’assunto del R. in merito al ritrovamento casuale di una parte del reperto proveniente dall’operazione "(OMISSIS)", posto che la tesi del ritrovamento era stata smentita dal colonnello m.;

4) la violazione del D.P.R. n. 309 del 1980, art. 80 per la ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità nell’operazione "(OMISSIS)" sulla base delle sole dichiarazioni confessorie del D. V., il quale su altre circostanze non era stato creduto;

5) La violazione dell’art. 129 c.p.p. con riferimento alle contestazioni di cui ai capi 31, 32) e 33) per avere la Corte dichiarato l’estinzione dei reati anzichè proscioglierlo nel merito per la scriminante prevista dall’art. 51 c.p.;

6) mancata assunzione di prove decisive richieste al termine del dibattimento di primo grado e ribadite in appello e carenza di motivazione sul punto, per avere la Corte ritenuto inutile l’audizione dei testimoni dei quali era stata chiesta l’escussione;

mancata acquisizione della prova documentale chiesta dalla difesa:

assume che la Corte aveva omesso di acquisire una nota inviata dal pubblico Ministero presso il tribunale di Torino al Tribunale di Sorveglianza di Genova ed aveva invece acquisito documenti prodotti dalla difesa del R. nonostante la sua opposizione;

7) illogicità della motivazione sul trattamento sanzionatorio.
Motivi della decisione

La Corte d’appello di Genova, nel preambolo della propria decisione,dopo avere premesso che il presente processo è stato caratterizzato da aspre polemiche, non solo tra accusa e difesa, ma anche tra imputati e pubblici ministeri che avevano svolto le indagini e, dopo avere aggiunto che il processo conteneva palesi esempi di falsità documentale, ha affermato che non potevano essere sovvertiti i normali criteri di valutazione delle prove in relazione alla natura del processo ed alla qualificazione delle persone coinvolte ed ha aggiunto che il tribunale,contrariamente all’assunto del pubblico ministero, non aveva operato alcuna preconcetta scelta di attendibilità delle dichiarazioni rese da determinati imputati (in primis del R.) a scapito delle dichiarazioni di altri imputati come il D.v., ed ha conclusivamente sottolineato che la responsabilità era stata circoscritta ai fatti provati al di là di ogni ragionevole dubbio.

Questa Corte, non essendo giudice del fatto, non può procedere ad una rilettura degli atti processuali posti a fondamento della decisione o adottare parametri ricostruttivi diversi da quelli utilizzati dai giudici del merito perchè ritenuti più plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,perchè tali valutazioni trasformerebbero la Corte in un ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la funzione propria che è quella di controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici del merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e capacità di spiegare l’iter logico seguito per giungere alla decisione (cfr per tutte Cass sez 6 6 ottobre 2009, B.D, rv 245103).

Ciò precisato, va comunque ribadito quanto già affermato dalla Corte territoriale ossia che i criteri di valutazione delle prove sono predeterminate dalla legge e non variano in relazione alle caratteristiche del processo o alla qualificazione degli imputati.

Nella fattispecie la motivazione della Corte non contiene alcuna manifesta incoerenza o errore giuridico, fatta eccezione per un marginale rilievo relativo al trattamento sanzionatorio inflitto al D.V..

1) Posizione del R.. Il ricorso del R. è totalmente infondato e va pertanto respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(OMISSIS). Con riferimento a tale capo d’imputazione, l’invocato stato di necessità non sussiste perchè, come accertato dai giudici del merito, le cessioni avevano avuto inizio prima del mese di (OMISSIS) allorchè sul giornale "(OMISSIS)" fu pubblicato l’articolo che indicava il V., come collaboratore della polizia. Dagli atti processuali indicati dal ricorrente ed allegati al ricorso non risulta che le cessioni siano iniziate dopo il mese di (OMISSIS). Dalla contestazione e dagli accertamenti compiuti dal giudici del merito emerge invece che le prime cessioni furono effettuate con la droga detenuta fin dalla primavera del (OMISSIS). In ogni caso, a prescindere dalla data delle consegne, lo stato di necessità non è configurabile mancando gli elementi dell’involontarietà del pericolo e dell’inevitabilità del danno. Dispone, infatti, la norma che il pericolo non deve essere stato volontariamente causato dall’agente e non deve essere altrimenti evitabile.

Per quanto concerne il requisito dell’involontarietà, si rileva che questo non sussiste,quando chi lo invoca abbia contribuito, anche con semplice colpa, a provocare la situazione pericolosa. Colui che inserisce in un’organizzazione criminosa un infiltrato sa che la persona infiltrata è sottoposta a rischio nell’eventualità che la sua funzione venga scoperta ed accetta il rischio. D’altra parte, anche colui che viene infiltrato è consapevole del rischio che corre. Si tratta quindi di una situazione pericolosa volontariamente causata dall’agente ed accettata dall’infiltrato.

Per quanto concerne il requisito dell’inevitabilità del pericolo si rileva che questo poteva essere evitato facendo cessare l’infiltrazione ed allontanando l’infiltrato, utilizzando le stesse misure che si utilizzano per proteggere i collaboratori di giustizia o i testimoni a rischio di rappresaglia.

Con riferimento al secondo motivo si osserva che non è provato che il R. abbia eseguito espliciti ordini di superiori gerarchici ed in ogni caso,quand’anche si fosse provata l’esistenza dell’ordine superiore, non sarebbe ugualmente sussistita la scriminante dell’adempimento di un dovere. Invero,secondo il consolidato orientamento di questa Corte (sent. n 6064 del 2009; n 2921 del 1974 RIV. 126701; n 9424 del 1983, rv 161100; n 7866 del 1984, rv. 165855;

n 178 del 1985, rv 167316) non è applicabile la causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere nel caso in cui il militare abbia agito in esecuzione di un ordine, impartitogli dal superiore gerarchico, avente ad oggetto la commissione di un reato, in quanto, per scriminare, l’ordine deve attenere al servizio e non eccedere i compiti d’istituto; in caso di ordine costituente un reato, non solo il militare di grado inferiore può opporre legittimamente il rifiuto, ma ha anche il dovere di non darvi esecuzione e di avvisare immediatamente i superiori. In definitiva anche nella gerarchia militare, dove esiste l’obbligo della più stretta e pronta obbedienza, la palese criminosità dell’ordine costituisce un limite all’obbedienza. La L. n. 382 del 1978, art. 4 recante norme di principio sulla disciplina militare, vigente all’epoca dei fatti (attualmente abrogato dal D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 2268 recante disposizioni sull’ordinamento militare), disponeva che gli ordini conformemente alle norme in vigore dovevano attenere alla disciplina riguardante il servizio e non eccedere i compiti d’istituto e che in ogni caso il subordinato poteva rifiutare l’esecuzione di un ordine che costituiva manifestamente un reato.

Anzi in tale caso aveva il dovere di informare immediatamente i superiori. Anche a seguito dell’abrogazione della L. n. 382 del 1978 il militare non è tenuto ad eseguire ordini costituenti reato.

Non sussistendo oggettivamente i presupposti per la ricorrenza della scriminante dell’adempimento di un dovere non si può parlare neppure di esimente putativa perchè l’erronea convinzione dell’esistenza dell’esimente si tradurrebbe in ignoranza della legge penale .

D’altra parte, avendo il presunto ordine ad oggetto l’esecuzione di una reato, la sua manifesta criminosità non poteva essere ignorata da un ufficiale dei carabinieri.

Inoltre non può considerarsi scusabile, a norma dell’art. 5 cod. pen., l’ignoranza circa l’ambito di applicazione della disposizione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97 in quanto tale norma, nel testo vigente all’epoca del fatto,era chiara nel limitare la sua operatività al solo acquisto simulato di sostanze stupefacenti.

L’attività sotto copertura doveva servire a sottrarre risorse ai narcotraffìccanti e non a reinserire nel mercato le sostanze sequestrate . D’altra parte, l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale non si configura quando l’agente svolge la propria attività in uno specifico settore rispetto al quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente. Il prevenuto, operando nell’ambito delle attività sotto copertura,aveva il dovere di informarsi sui limiti dei propri poteri.

L’attenuante di cui all’art. 73, comma 7 non può essere concessa. La norma anzidetta,come l’omologo art. 74, comma 7, prevede una specifica circostanza attenuante ad effetto speciale, alla stregua della quale le pene sono ridottecilorchè l’agente si adoperi per evitare che l’attività sia portata a conseguenze ulteriori,,anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

L’imputato non ha il dovere di collaborare ma viene premiato se si adopera per evitare che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze o per sottrarre ingenti risorse ai criminali.

La norma presuppone due circostanze che nella fattispecie non ricorrono. La prima consiste nel fatto che il soggetto attivo ossia colui che è meritevole dell’attenuante deve essere diverso dall’autorità di polizia o dall’autorità giudiziaria che viene aiutata. Può anche appartenere al Corpo di polizia, ma non deve agire nell’esercizio delle sue funzioni, ma come un qualsiasi criminale, ossia non deve aiutare se stesso perchè è compito specifico delle forze di polizia evitare che i reati siano portati ad ulteriori conseguenze e scoprire i colpevoli .

Il secondo presupposto consiste nel fatto che l’attività collaborativa non deve coincidere con il reato o con il motivo che spinge il reo a delinquere, ma deve essere posta in essere dopo che il reato è stato commesso da parte dell’agente ossia del collaboratore e deve consistere comunque in un’attività ulteriore rispetto al reato Nella fattispecie l’attività collaborativa posta in essere dal R., non consiste in un comportamento ulteriore posto In essere dopo la consumazione del reato ossia dopo la cessione, ma si identifica con il reato stesso Inoltre il soggetto agente si identifica con l’autorità aiutata. Come già rilevato dai giudici del merito, nessun premio può essere riconosciuto al R. per avere raggiunto risultati, anche brillanti, commettendo però dei reati attinenti proprio alla violazione dei doveri impostigli dall’art. 97, Testo Unico sugli stupefacenti.

La questione di legittimità costituzionale della norma, dedotta dal difensore è manifestamente infondata perchè non esiste alcuna disparità di trattamento o irragionevole disuguaglianza tra il delinquente comune e l’ufficiale dei carabinieri ovviamente allorchè i due soggetti si trovino nella medesima situazione. Il prevenuto avrebbe avuto diritto all’attenuante, al pari di un qualsiasi criminale, se avesse agito nelle stesse condizioni in cui agisce il trafficante di stupefacenti, ossia se, dopo essersi impossessato della droga della quale aveva la disponibilità, l’avesse ceduta a terzi al di fuori dei compiti istituzionali e dopo tale cessione si fosse ravveduto ed avesse informato i superiori consentendo loro di recuperare lo stupefacente ceduto, di arrestare i trafficanti ai quali aveva consegnato lo stupefacente, ecc.. Nella fattispecie invece il R. ha agito come ufficiale di polizia giudiziaria abusando dei poteri conferitigli dalla norma.

Operazione "(OMISSIS)". Con riferimento al reato di cui al capo 34) ossia all’operazione anzidetta, il R. non ha tenuto solo un comportamento omissivo, ma anche attivo, comportamento che è consistito nella ricezione e detenzione della cocaina al fine di utilizzarla per successive cessioni Del pari insussistente è l’attenuante di cui all’art. 62, n 1 per le ragioni già espresse dalla Corte non specificamente contestate dal ricorrente(pag 369).

Secondo l’orientamento di questa Corte (Cass n 20312 del 2010) i motivi di particolare valore morale o sociale cui l’art. 62 c.p., comma 1, n. 1 riconosce efficacia attenuante sono soltanto quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva, ed intorno ai quali vi sia un generale consenso. Ora, come già ritenuto da questa Corte (Cass 7 febbraio del 1978, Salaris) e come osservato dai giudici del merito, il fatto che l’attività di polizia sia diretta a soddisfare un interesse pubblico di primaria importanza qual è quello dell’applicazione della legge penale, merce la raccolta di prove da sottoporre alla valutazione del giudice per l’identificazione degli autori di reati, non acquista rilevanza ai fini della configurabilità dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale, qualora l’attività venga posta in essere con abuso di potere o addirittura mediante la commissioni dei reati giacchè la commissione di un reato da parte di organi della polizia giudiziaria,ancorchè finalizzato a raggiungere brillanti risultati, non è avvertito dalla collettività come meritevole di particolare approvazione,specialmente quando,come nella fattispecie,lo stesso risultato può essere raggiunto attraverso una legittima attività di copertura . La giurisprudenza di merito citata dal ricorrente non è pertinente perchè nella fattispecie il reato non è stato commesso per salvare la vita di un ostaggio o per prevenire attentati terroristici,ma per raggiungere risultati che si sarebbero potuti conseguire anche rispettando i limiti imposti dalla norma . Dei risultati raggiunti i giudici del merito hanno già tenuto conto concedendo le attenuanti generiche ed irrogando una pena contenuta nel minimo nonostante il quantitativo di droga complessivamente ceduto.

2) Posizione del D.V.. Il ricorso del D.V., come già accennato, è solo in minima parte fondato e va accolto per quanto di ragione. I primi tre motivi si fondano sul tema della sussistenza della scriminante dell’adempimento di un dovere. Il D. V. in definitiva assume di avere agito eseguendo gli ordini del colonnello R. e per tale ragione censura la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui aveva escluso la responsabilità del predetto. La dedotta esimente, come già rilevato dalla Corte territoriale, è connessa con la costante chiamata in causa del R., il quale,secondo il ricorrente, aveva garantito la copertura dei magistrati alle varie operazioni in un contesto quantomeno d’impossibilità morale di discussione degli ordii ricevuti In proposito la Corte territoriale ha osservato che l’eventuale fondatezza di tutte le doglianze sulle assoluzioni del R. pronunciate dal tribunale, non renderebbe operante l’esimente invocata dal D.V., perchè quest’ultimo non era tenuto ad eseguire ordini che configuravano reati per le considerazioni già esposte. In altre parole, se l’assoluzione del R. fosse stata impugnata dal pubblico ministero e se si fossero ritenute attendibili le censure mosse dal D.V., in ordine alla violazione dei criteri di valutazione degli indizi, la responsabilità del predetto non sarebbe stata ugualmente esclusa, ma si sarebbe solo aggiunta la compartecipazione del R.. D’altra parte, come risulta dalle sentenze di merito e dalle parziali ammissioni dello stesso D.V., in alcuni casi non erano stati impartiti ordini espliciti Si allude in modo particolare alla sottrazione relativa al reperto "(OMISSIS)" che costituisce il reato più grave. Per tale sottrazione lo stesso D.V. ha ammesso di non avere ricevuto un ordine esplicito da parte del R. (cfr sentenza impugnata alle pagine 70 e 71).

Con riguardo al quarto motivo si rileva che la sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 per l’operazione "(OMISSIS)" è incontestabile, avuto riguardo al fatto che lo stesso prevenuto ha ammesso di avere sottratto dal reperto che doveva essere bruciato circa dieci chilogrammi di cocaina pura. In proposito questa Suprema Corte, per fissare dei parametri ai giudici del merito, ha recentemente statuito che in tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non possono di regola definirsi "ingenti" i quantitativi di droghe "pesanti" (ad es., eroina e cocaina) che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per il tipo di sostanza, sia al di sotto dei limiti di 2 chilogrammi.(cfr Cass n 42027 del 2010; n 20119 del 2010; n 20120 del 2010) Argomentando "a contrario" si desume che quantitativi superiori a chilogrammi due potrebbero essere considerati ingenti. Nella fattispecie il D.V. aveva sottratto dal reperto ben dieci chilogrammi di cocaina pura Inammissibile per la sua aspecificità, perchè si ripetono censure già puntualmente disattese dalla Corte territoriale senza l’indicazione del vizi del ragionamento del giudice censurato, e per la sua manifesta infondatezza, è il quinto motivo, con il quale il ricorrente si duole per l’applicazione della prescrizione relativamente ai reati di cui ai capi 31,32 e 33 del capo d’imputazione,dai quali invece avrebbe dovuto essere assolto con formula ampia a norma dell’art. 129 c.p.p..

In proposito è opportuno premettere che i reati relativi ai capi anzidetti si riferiscono alla cosiddetta "(OMISSIS)". Come accennato nella parte narrativa la cocaina rinvenuta nell’operazione "(OMISSIS)" era stata occultata sotto un carico di pesce surgelato, che era stato sequestrato unitamente allo stupefacente. L’autorità giudiziaria aveva prima disposto l’alienazione del pesce e successivamente, revocata l’alienazione, aveva ordinato la distruzione del reperto, sennonchè il reperto anzichè essere distrutto era stato alienato, facendo falsamente risultare nel verbale l’effettiva distruzione.

Per tali fatti al R., al D.V. ed al Se. erano stati contestati i reati di peculato(capo 31), falso in atto pubblico (capo 32) e contrabbando (capo 33) perchè, senza il pagamento dei relativi diritti, si erano asportati dalla zona doganale 33.000 chili di pesce. Secondo gli accertamenti dei giudici del merito, dell’alienazione, del trasporto e della redazione del verbale si erano occupati il D.V. ed il Se. sotto la direzione del R.. Quest’ultimo aveva ammesso di avere disposto la vendita del pesce e di avere redatto un falso verbale di distruzione e si era giustificato asserendo di avere agito spinto dalla necessità di fare fronte alle ingenti spese, in parte non documentate e quindi non rimborsabili ai sottufficiali ed a lui stesso, sostenute nell’operazione "(OMISSIS)". Il D.V. ha dichiarato di avere dato esecuzione alla vendita del pesce ed alla redazione del verbale per eseguire un ordine del R. il quale gli aveva fatto credere che l’ordine proveniva dalla stessa Procura. In proposito però il tribunale ha sottolineato che la vendita del pesce era stata effettuata prima del provvedimento di distruzione disposto dal pubblico ministero (cfr sentenza impugnata alla pag. 277). Il tribunale ha dichiarato estinti i reati per prescrizione sottolineando che non emergevano elementi per un proscioglimento ampio nel merito a norma dell’art. 129 c.p.p..

La Corte d’appello, adita su impugnazione D.V. ha confermato la declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione ribadendo l’insussistenza di elementi per un proscioglimento nel merito a norma dell’art. 129 c.p.p..

La richiesta di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. è stata reiterata davanti a questa Corte sulla premessa che il D.V. era un mero esecutore di ordini superiori.

Sul punto specifico va ribadito quanto già affermato dalla Corte territoriale perchè il D.V. non era tenuto ad eseguire ordini che configuravano reati, quand’anche per ipotesi il R. gli avesse fatto credere che della distruzione simulata era consapevole la stessa autorità giudiziaria, e ciò per le considerazioni già espresse in precedenza Pertanto i giudici del merito, se non avessero dichiarato estinti i reati per prescrizione, avrebbero dovuto condannare il D.V.. Di conseguenza il predetto non ha motivo di dolersi per l’applicazione della prescrizione che gli giova Del pari infondato è il sesto motivo con cui il ricorrente lamenta la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello per escutere i testimoni da lui indicati e la mancata acquisizione della nota inviata dal pubblico ministero presso il Tribunale di Torino al Tribunale di Sorveglianza di Genova. Invero, alla rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello, di cui all’art. 603 c.p.p., comma 1, può ricorrersi solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonchè quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso potrebbe eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza. (cfr per tutte Cass n 3348 del 2004). Inoltre l’istanza di rigetto della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si sottrae al sindacato di legittimità,quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fondi su elementi sufficienti per una compiuta valutazione della responsabilità (Cass n 40496 del 2009;n 5782 del 2007; n 15573 del 2006).

Nella fattispecie l’escussione dei testimoni indicati,come risulta dallo stesso ricorso, era diretta a dimostrare che ciò che fu rappresentato in un altro processo ossia nel processo cosiddetto dei marescialli era frutto di una strategia difensiva imposta dal Colonnello R.. Legittimamente quindi la Corte ha ritenuto non decisive in questo processo le testimonianze dedotte, sia perchè riferibili ad altro processo, sia perchè i fatti materiali per i quali è stata affermata la responsabilità del D.V. in questo processo sono stati ammessi dallo stesso prevenuto.

Il documento indicato, relativo ad altro procedimento, non è stato acquisito perchè non rientrava tra i documenti di altro processo acquisitali a norma dell’art. 238 c.p..

Concludendo l’esame dei motivi che riguardano l’affermazione di responsabilità del D.V., si deve rimarcare che il predetto nell’ampio ricorso deduce sostanzialmente l’erronea valutazione delle prove da parte dei giudici del merito i quali avevano privilegiato le dichiarazioni dei testimoni che scagionavano il R. ed avevano invece, non solo disatteso le testimonianze o le accuse di coloro che coinvolgevano in tutte le operazioni a lui addebitate il colonnello(ad esempio dichiarazioni del G., del Se., del Fe., del m., ecc.), ma anche omesso di valutare varie decisioni dalle quali emergeva il coinvolgimento del coimputato R.. Tutte le censure mosse con i motivi dianzi esaminati, come già accennato, mirano, non ad escludere la sua partecipazione materiale ai singoli fatti per i quali è stata affermata la responsabilità, ma unicamente a dimostrare che egli aveva agito seguendo gli ordini del R., il quale talvolta gli aveva fatto persino credere che la situazione era nota alla magistratura.

Orbene, premesso che il proscioglimento del R. dai reati attribuiti al solo D.V. è ormai passato in giudicato, ancora una volta si deve rimarcare che, quand’anche si recepisse totalmente la tesi dell’imputato ossia che aveva eseguito ordini superiori, il prevenuto non potrebbe essere prosciolto per la sussistenza dell’esimente dell’adempimento di un dovere perchè, come già detto, non era tenuto neppure in base al regolamento di disciplina militare ad eseguire ordini che implicavano la commissione di reati. Anzi in tali situazioni aveva il dovere di denunciare il superiore.

Fondata è invece la censura relativa al trattamento sanzionatorio.

Il predetto è stato condannato alla pena complessiva di anni 24 di reclusione ed Euro 210.000,00 di multatosi determinata:anni dieci di reclusione ed Euro 10.000 di multa per il più grave reato di cui al capo 34 (operazione "(OMISSIS)"), aumentata, a titolo di continuazione per gli ulteriori reati ritenuti dalla Corte, di anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 70.000 di multa, di cui anni 3 di reclusione ed Euro 30.000 di multa per il capo 21 (operazione (OMISSIS)); anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 20.000 di multa per il capo 20; anni uno di reclusione e Euro 10.000 per ciascuno dei reati di cui ai capi 23 e 26 (Operazione Spennacchio). A tale pena è stata aggiunta quella di anni sette, mesi sei di reclusione ed Euro 40.000 di multatosi rideterminata quella irrogata con la sentenza del tribunale di Genova del 21 marzo del 2000,divenuta irrevocabile il 28 aprile del 2003.

In appello lo stesso Procuratore generale aveva chiesto che le circostanze attenuanti generiche, già concesse ad entrambi gli imputati,fossero ritenute prevalenti sulle aggravanti per entrambi gli imputati.

La Corte invece ha ritenuto la prevalenza solo per il R.. Il diverso trattamento sanzionatorio è stato giustificato, non solo per il maggior numero di reati attribuiti al D.V. rispetto a quelli ascritti al R., ma anche per i motivi che hanno spinto i due investigatori a delinquere. Secondo i giudici del merito il R. non aveva tratto alcun vantaggio economico personale dalla cessione della droga mentre il D.V. aveva tratto utili patrimoniali personali anche se tali vantaggi economici non sono paragonabili al valore di mercato dei quantitativi di stupefacente di volta in volta gestiti. Questa Corte, pur prendendo atto che la diversità di trattamento sanzionatorio è giustificata dalla diversa posizione processuale dei due prevenuti, rileva che su alcuni punti la sentenza della corte distrettuale è censurabile.

La Corte ha negato al D.V. sia la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sulle aggravanti, sia soprattutto una congrua riduzione della pena osservando:a) che il predetto con i motivi d’appello solo per l’operazione "(OMISSIS)" aveva chiesto una riduzione di pena; b) che nella richiesta di assoluzione non poteva considerarsi implicitamente contenuta anche quella di riduzione della pena; c) che la richiesta del Procuratore generale non poteva sostituirsi all’inerzia dell’appellante.

L’assunto non è del tutto condivisibile E’ indubbiamente vero che nella richiesta d’assoluzione non può considerarsi implicitamente contenuta quella di riduzione della pena,come più volte statuito da questa Corte (cfr per tutte la decisione n. 46584 del 2004 citata dalla Corte distrettuale), ma è altrettanto certo che nella fattispecie una formale richiesta di riduzione della pena con i motivi d’appello era stata formulata sia pure per la sola operazione "(OMISSIS)". Tale operazione però era strettamente connessa con le altre ed in particolare con l’operazione "(OMISSIS)". Si tratta di un collegamento che va al di là dell’unicità del disegno criminoso e della stessa connessione oggettiva o soggettiva. Nella stessa sentenza della Corte genovese si afferma alla pagina 226 che "il capo d’imputazione sub 23(ossia quello relativo all’operazione "(OMISSIS)") deve leggersi in maniera coordinata con quelli afferenti l’operazione "(OMISSIS)", trattandosi di attività speculare all’impossessamento di non meno di tre chilogrammi di eroina provenienti dalla parte trattenuta e non inviata a (OMISSIS) del reperto "(OMISSIS)". Dal capo d’imputazione e dalla ricostruzione fattuale dei giudici del merito risulta che nell’operazione "(OMISSIS)" è stata utilizzata la droga proveniente dal reperto dell’operazione "(OMISSIS)". Si tratta quindi sostanzialmente della medesima operazione. Pertanto la richiesta di riduzione di pena esplicitamente formulata per l’operazione "(OMISSIS)" poteva considerarsi implicitamente estesa alle altre operazioni che la stessa Corte ha considerato strettamente connesse con quella anzidetta e segnatamente all’operazione "(OMISSIS)", tanto più che appariva evidente che la limitazione della richiesta di riduzione della pena alla sola operazione "(OMISSIS)" era frutto di una palese svista. Non aveva invero alcun senso,dopo avere chiesto l’assoluzione per tutti i reati, limitare la richiesta subordinata di riduzione della pena al reato meno grave tra quelli contestati ed al reato per il quale l’aumento di pena per la continuazione è stato inferiore a quello irrogato per gli altri reati. In materia d’impugnazione, per individuare il contenuto di una censura o di una richiesta subordinata, nel rispetto del principio devolutivo e di quello della specificità del motivo, si deve tenere conto, non solo del significato letterale delle parole, ma dell’effettiva intenzione dell’impugnante desumibile dall’interesse alla censura o alla richiesta subordinata e dal contenuto dell’intero atto. In altre parole si deve privilegiare l’effettiva intenzione dell’impugnante ovviamente nei limiti in cui è possibile desumerla dal contesto dell’atto ed eventualmente da memorie integrative. Nella fattispecie la riprova che si era trattato di una svista e non dell’effettiva intenzione di circoscrivere la richiesta di riduzione della pena alla sola operazione "(OMISSIS)" emergeva dalla memoria depositata il 13 ottobre del 2008,contenente motivi nuovi. In tale memoria l’appellante, oltre a ribadire le precedenti censure ed a chiedere per la prima volta che le attenuanti generiche fosse considerate prevalenti sulle aggravanti, aveva esplicitamente chiesto che la pena fosse irrogata nel minimo edittale . Tale memoria è stata ignorata dalla Corte, perchè presentata oltre il termine previsto dall’art. 585 c.p.p. per la presentazione di motivi nuovi. Essa invece, essendo stata presentata comunque prima della discussione, poteva essere apprezzata, non solo per delimitare l’effettiva portata della richiesta di riduzione della pena avanzata tempestivamente con i motivi d’appello, ma anche come sollecitazione all’adozione dei poteri ufficiosi di cui all’art. 597 c.p.p., comma 5. In base a tale norma il giudice d’appello, anche d’ufficio, può concedere la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale ed una o più circostanze attenuanti e può altresì effettuare,quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’art. 69 c.p.. Si tratta di una deroga al principio devolutivo fissato dall’art. 597 c.p.p., comma 1. Di conseguenza la tardiva formulazione della censura non preclude al giudice di secondo grado di esercitare d’ufficio i poteri che l’art. 597, comma 5 gli attribuisce. Trattandosi però di potere discrezionale esercitatale d’ufficio in casi eccezionali, l’omesso esercizio di tale potere,può essere sindacato in sede di legittimità solo se vi è stata una sollecitazione della parte, oltre che nei motivi d’appello,nel corso del giudizio (cfr Cass 29 ottobre del 2008, Marci Gavino, rv 241370; Cass 2 maggio 1997, Chiavaroli, rv 208572; n 13911 del 2004 rv 229214).

Nella fattispecie tale sollecitazione era stata avanzata quanto meno con la memoria anzidetta.

Alla stregua delle considerazioni svolte nei confronti del solo D. V. la sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. In particolare il giudice del rinvio dovrà ritenere l’istanza di riduzione della pena, tempestivamente formulata con i motivi d’appello sia pure limitatamente all’operazione "(OMISSIS)", estensibile anche all’operazione "(OMISSIS)" trattandosi sostanzialmente della medesima operazione e dovrà stabilire, tenuto conto della reale intenzione dell’impugnante, desumibile dal contenuto dell’atto d’appello, se tale richiesta per lo stretto rapporto di connessione esistente tra le operazioni anzidette e le altre, possa estendersi a tutti i reati.

Inoltre la memoria depositata il 13 ottobre del 2008,se ritenuta tardiva ai fini della formulazione di motivi aggiunti, potrà comunque essere valutata per chiarire il contenuto dell’atto d’appello o come sollecitazione all’esercizio dei poteri ufficiosi di cui all’art. 597 c.p.p., comma 5 ovviamente nei limiti in cui tali poteri possono essere esercitati.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art 616 e segg. c.p.p.. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Genova, altra sezione, quanto al ricorrente D.V. limitatamente al trattamento sanzionatorio, rigetta nel resto il ricorso del D.V.; rigetta il ricorso del R. che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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