Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-03-2011) 13-05-2011, n. 18843 Rivelazione di segreti di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Sa.St. e S.G., tramite difensore,hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione avverso la sentenza, in data 15.4.2010, della Corte di Appello di Torino che confermava la sentenza 18.3.08 nei confronti del Sa., condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di un anno e mesi due di reclusione, con i doppi benefici di legge e la interdizione dai PP.UU. per la durata della pena principale, per i reati di rivelazione di segreto di ufficio (capo C) e favoreggiamento (capo D) di cui agli artt. 110 e 326 c.p. e artt. 110 e 378 c.p., reati commessi entrambi in concorso con D.M. e D., per i quali si era proceduto separatamente); in parziale riforma della sentenza di primo grado S.G. era condannato, per il reato di cui all’art. 110 c.p., e art. 640 c.p. commi 1 e 2 (capo A4) e per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 648 c.p., art. 61 c.p., n. 2 (capo B), con rideterminazione della pena in anni due, mesi due di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa per intervenuta prescrizione di detti reati sino al (OMISSIS), già concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, confermata la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili ed al pagamento della provvisionale per Euro 28.000,00.

Il Sa. deduceva:

1) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 197 bis c.p.p., art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 e art. 191 c.p.p., con riferimento alle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da D.M. e D.; il mancato riscontro delle dichiarazioni stesse, tra di loro contraddittorie e la valutazione frazionata di quelle del D., ne comportava la inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 c.p.p.; 2) in relazione al reato di rivelazione di segreto di ufficio (per avere Sa.St., rivelato a D.M. S., maresciallo della Guardia di Finanza in pensione, che S.G., titolare dell’omonima farmacia ubicata in (OMISSIS), era sottoposto ad indagine e che erano state collocate delle microspie presso i locali della farmacia medesima, avendo, in particolare, il Sa., maggiore della Guardia di Finanza presso il Comando Regionale di Torino, appreso da propri colleghi dette notizie riservate "ponendo loro domande all’apparenza innocenti e, dunque abusando della sua qualità, per poi riferirle al D.M….. concorrendo D.M.S. e D.G., il quale a sua volta, per favorire l’amico S., aveva chiesto al D.M. di acquisire informazioni con riguardo alla verifica fiscale eseguita il 22.10.2003 nei confronti della farmacia S., da parte della polizia tributaria di Torino, "consegnandogli altresì copia del relativo processo verbale di verifica, condotta con la quale determinavano ed istigavano il Sa. ad informarsi al riguardo e, quindi, a rivelare loro dette notizie coperte da segreto"); la Corte d’appello non aveva tenuto conto del contrasto insanabile in ordine alla interpretazione del colloquio captato avvenuto tra il D. M. ed il D., ritenendo, con motivazione apparente e contraddittoria, che il Sa. fosse stato a conoscenza del segreto inerente l’operazione della Guardia di Finanza effettuata presso la farmacia S., che lo avesse divulgato al D.M. e che quest’ultimo avesse appreso le notizie dal Sa.; in particolare, secondo la Corte territoriale, la rivelazione del segreto sarebbe avvenuta ad opera del Maggiore G. nel contesto di un pranzo avvenuto il (OMISSIS) tra vari ufficiali della G.d.F. benchè nessuno avesse riferito tale circostanza;

3) violazione dell’art. 268 c.p.p. e art. 89 disp. att. c.p.p. e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’incontro tra D.M. e Sa. la mattina del (OMISSIS);

secondo la sentenza impugnata il Sa. avrebbe divulgato al D. M. le notizie da lui ricevute la mattina medesima, prima che avvenisse l’intercettazione del colloquio fra gli stessi, non tenendo conto che il teste O. aveva spostato l’orario di inizio della intercettazione della comunicazione dalle ore 850 alle ore 9,05 senza alcuna verbalizzazione sul punto e con conseguente inutilizzabilità della intercettazione; inoltre dall’analisi dei tabulati telefonici emergeva che la mattina del (OMISSIS) il Sa. ed il D.M. non si erano incontrati risultando dalla intercettazione captata che il D.M. aveva incontrato la persona che già aveva visto la sera prima che non poteva essere il Sa. il quale "arrivava in borghese da casa e con lo stesso abbigliamento rimaneva in caserma";

4) violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, stante l’assoluto difetto di motivazione sul reato di favoreggiamento, i cui elementi costitutivi non coincidevano con il reato di rivelazione di segreto di ufficio.

– Lo S. lamentava:

1) manifesta illogicità della motivazione e violazione della legge penale in relazione al rapporto tra i reati contestati di concorso in truffa aggravata (per avere illegittimamente ottenuto il rimborso di ricette mediche, falsificate da R.M. Luisa, già collaboratrice del medico convenzionato con la ASL, A. L., con artifici e raggiri consistiti nel presentare le ricette stesse alla ASL di competenza… inducendo in errore i funzionari, "apparendo le ricette rimborsabili, quando., in realtà, le specialità medicinali non erano effettivamente assunte dagli assistiti del S.S.N., essendo ricevute da R.M.L.") e ricettazione( per avere, al fine di eseguire detto reato di truffa aggravata, ricevuto da R.M.L., ovvero da persone dalla stessa incaricate, tra cui l’assistito M.A., ricette mediche provenienti dai delitti di furto, falso materiale e falso ideologico, commessi dalla R.); la Corte di appello aveva ritenuto provato il concorso anche solo morale dello S. nell’attività di falsificazione della ricette da parte della R., al fine comune di truffare il S.S.N., sicchè non era possibile contestare allo S. il reato di ricettazione, posto che il profitto di entrambri concorrenti si realizzava a seguito della spedizione delle ricette che aveva comportato la contestazione della truffa in concorso tra la R. e lo S.;

2) erronea, contraddittoria motivazione e violazione di legge in ordine alla valutazione degli elementi indiziari relativi ad entrambi i reati contestati; non vi era prova sulla consapevolezza dello S. in ordine alla falsità delle ricette nè sotto il profilo del concorso con la R. nè come conoscenza della provenienza delittuosa delle ricette mediche; il fatto che solo il 60% delle ricette false fosse stato consegnato alla farmacia S. e che il restale 40% fosse stato, invece, passato ad altre farmacie escludeva un accordo preventivo tra lo S. e la R.; quanto ai controlli sulle ricette,contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il fatto che al banco operassero tre farmacisti rendeva impossibile un controllo sulla genuinità delle ricette; il controllo contabile delle stesse, effettuato dallo S., era, poi, puramente formale e la loro lettura attraverso penna ottica non consentiva un controllo grafico sulla genuinità delle sottoscrizioni e sulla verifica dei beneficiari; peraltro, la percentuale di ricette false spedite alla ASL, pari allo 0,67% del fatturato, quantificabile in un guadagno netto di qualche centinaio di euro all’anno, rendeva illogica la scelta criminosa ed il movente ascritto allo S.;

3) violazione di legge ed omessa motivazione circa la sussistenza dell’aggravante della ricettazione, ex art. 61 c.p., n. 2 riguardante il nesso teleologico con la truffa; tale aggravante doveva, invece, riferirsi alla successiva attività fraudolenta del reato di truffa, siccome commesso per assicurare il profitto della ricettazione, come pure ritenuto dalla S.C. nella sentenza n. 367/1966. Ne conseguiva l’erroneità della pena irrogata. Con memoria, ex art. 121 c.p.p., il Sa. illustrava ulteriormente i motivi di ricorso ed, in particolare, il difetto di motivazione sulla concreta sussistenza degli elementi del reato di favoreggiamento, in assenza della prova di una diretta conoscenza tra il Sa. e lo S. nonchè sulla circostanza che quest’ultimo, si fosse avvalso, ancorchè indirettamente, delle notizie ricevute per sfuggire all’attività di investigazione.
Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

Ricorso Sa.:

Non è dato ravvisare la inutilizzabilità delle dichiarazioni dei coimputati D.M. e D., avendo la Corte territoriale indicato i molteplici riscontri costituiti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali e delle deposizioni testimoniali ( M., B., C., G., P. ed altri), richiamando, inoltre, nell’esaminare analiticamente il colloquio D.M. – D., le argomentazioni del primo giudice ed il quadro probatorio posto a base della decisione di primo grado, laddove si dava atto che l’ipotesi accusatoria, nei confronti del Sa., era provata dalle dichiarazioni testimoniali rese in dibattimento, dai verbali SIT acquisiti su accordo delle parti, dai dati desunti dai tabulati telefonici, risultanze che vicendevolmente si riscontravano e rafforzavano. Rispondendo specificatamente ai motivi di appello, la sentenza impugnata ha ribadito (pagg. 33-35 sent.), sulla base dei fatti accertati, le ragioni per le quali doveva ritenersi comprovato che " Sa. avesse avuto modo di apprendere anche dell’installazione di microspie presso la farmacia S., precisando che P. aveva riferito di aver saputo da G. che Sa. aveva fatto una "domanda" sulla esistenza di indagini su farmacie e che lo stesso G. aveva sostenuto che i presenti (compreso Sa.) avevano capito che vi era un’indagine di polizia giudiziaria riguardante la Farmacia S..

Quanto alle censure sub 2) e 3) osserva il Collegio che, sotto il profilo apparente del vizio di motivazione e della violazione di legge, la difesa del Sa. prospetta, in realtà, una valutazione alternativa delle risultanze probatorie e della loro interpretazione, non consentita in sede di legittimità, a fronte del complessivo quadro probatorio che ha consentito ai giudici di merito di disattendere, con motivazione esente da vizi di manifesta illogicità, i rilievi svolti dall’imputato anche in relazione all’incontro tra lui e D.M., in occasione del quale il Sa. aveva comunicato a quest’ultimo notizie riservate, quali l’esistenza di un’indagine giudiziaria e di intercettazioni in corso relative alla farmacia S. (V. pagg. 39-43 sent. imp.).

Risulta, poi, adeguatamente motivata l’infondatezza dell’assunto difensivo sull’orario di inizio della telefonata tra i due, sulla base di un documento, estrapolato dal TOM che escludeva, peraltro, la configurabilità di un contrasto fra la deposizione del teste O. e quelle dei testi Pe. e p..

La sussistenza del reato di favoreggiamento è stata correttamente ed adeguatamente motivata con riferimento al collegamento probatorio con il reato di rivelazione di segreto di ufficio; sul punto i giudici di appello, una volta ritenuto provato che, in data 4.11.03, il Sa. avesse acquisito la certezza della esistenza di un’indagine giudiziaria e dello svolgimento di intercettazioni a carico dello S. e che la mattina del (OMISSIS), il Sa. stesso avesse rivelato tali notizie a D. che, a sua volta, assieme a D.M., le aveva comunicate a S., ha confermato la responsabilità del Sa. per il reato di favoreggiamento (in concorso con D.M. e D. per i quali si è proceduto separatamente), posto che l’avvenuta sospensione immediata di dette intercettazioni aveva impedito l’approfondimento delle indagini giudiziarie già avviate ed aveva aiutato, quindi, S.G. ad eludere le investigazioni dell’A.G. procedente, secondo le modalità indicate nel capo d’imputazione sub D).

La Corte di merito ha, inoltre, richiamato l’assunto del primo giudice che ha individuato nella "brevissima successione cronologica dei fatti", un ulteriore attestazione che solo Sa. poteva essere stato la fonte di informazione di D.M..

Correttamente è stata, quindi, ravvisata, nella specie, la concorrenza dei due reati di rivelazione di segreto di ufficio e di favoreggiamento.

Non va, invero, sottaciuto che la giurisprudenza della S.C., ha evidenziato la natura di reato di pericolo del favoreggiamento personale ( art. 378 c.p.), in relazione alla condotta criminosa che abbia frapposto un ostacolo, anche se limitato e temporaneo, allo svolgimento delle indagini, provocando, come avvenuto nella specie, una sospensione delle investigazioni e delle ricerche in corso o che si sarebbero potute comunque svolgere (Cass. n. 709/2003; n. 2936/2000).

Trattandosi, peraltro, di un reato a forma libera, che si perfeziona ponendo in essere un’azione di per sè idonea ad aiutare taluno ad eludere le investigazioni, il reato si consuma indipendentemente dal conseguimento di questo effetto, essendo sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà cosciente di aiutare una persona a sottrarsi alle investigazioni o al intralciare le ricerche dell’Autorità (Cass. n. 22523/2003; n. 8786/99).

Ricorso S..

I motivi sub 1) e 3) esulano dai limiti del "devolutum" relativo ai motivi di appello e, pertanto, non ne è consentito l’esame.

In ogni caso, quanto al concorso del reato di truffa con la ricettazione, va rilevato che la falsificazione ed il furto delle ricette è stata ascritta solo alla R.; nè tali reati, integranti il presupposto della ricettazione, potrebbero essere assorbiti nella condotta fraudolenta, quale artificio finalizzato a creare l’inganno. La Corte territoriale ha evidenziato, infatti, che spettava, in via esclusiva, allo S. il controllo contabile delle ricette, prima di richiederne alla ASL il rimborso e, d’altronde, la imputazione relativa al reato di ricettazione riguarda solo lo S., per avere, al fine di eseguire il reato di truffa, ricevuto da R.M.L., ricette mediche provenienti dai delitti di furto, falso materiale e falso ideologico.

Il mancato concorso dello S. nei reati costituenti il presupposto della ricettazione, comporta la corretta configurazione sia del reato di ricettazione che di quello di truffa, considerata la diversità ed autonomia delle condotte poste in essere con detti reati e la sussistenza dei raggiri ed artifizi (come contestati al capo a4), consistiti "nel presentare le ricette al fine di rimborso".

Va rammentato che la S.C., in materia di assorbimento del reato di falso in quello di truffa, ha ribadito che è configurabile il concorso materiale e non l’assorbimento tra il reato di falso e quello di truffa, quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa; in tal caso, infatti, non ricorre l’ipotesi del reato complesso per la cui configurabilità si richiede che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro e non quando siano le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico a determinare una occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati (Cass. n. 21409/2008; n. 8809/88). Conseguentemente, quando il falso, come avvenuto nella specie, sia utilizzato come raggiro per consumare la truffa, non potrà che ravvisarsi una ipotesi di concorso di reati (Cass. n. n. 978/1984); Cass. 27 maggio 1985, Mollica).

La censura sub 2) attiene ad una diversa valutazione sulla consapevolezza dello S. in ordine alla falsità delle ricette, elemento la cui sussistenza risulta sorretta da corretta e logica motivazione laddove, nella sentenza di appello, è stato evidenziato, sulla base di nozioni di comune esperienza, che la R. "non avrebbe deciso di concentrare la spedizione della maggior parte delle ricette, frutto delle sue falsificazioni, nella farmacia del dr. S. e di rischiare che costui si accorgesse delle anomalie…, se non fosse stata più che sicura di ottenere la sua collaborazione attiva nel perseguimento dello scopo";

tale rapporto di complicità è stato, peraltro, fondato sul tenore di una intercettazione telefonica di cui si da atto a pag. 18 della sentenza in esame.

I ricorsi vanno pertanto, rigettati.

Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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