Cass. pen., sez. V 23-12-2008 (18-12-2008), n. 47983 preventivo finalizzato alla confisca avente per oggetto il profitto del reato di manipolazione del mercato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto del 27.7.2007 il g.i.p. del tribunale di Milano disponeva il sequestro preventivo dei capital gains realizzati da T. S., costituiti dalle somme di denaro ancora giacenti sul conto corrente intestato al medesimo T. (c.c. n. (OMISSIS)), dagli strumenti acquistati con l’impiego di tali somme e custoditi nei dossiers abbinati al detto conto corrente ovvero anche per equivalente di altre somme, titoli e beni nella titolarità del T. sino alla concorrenza di Euro 1.638.339,12, in relazione al reato di concorso in manipolazione del mercato (art. 110, art. 112, comma 1, nn. 1 e 2, art. 81 cpv. c.p., T.U.F., art. 185 come mod.to dalla L. n. 62 del 2005 e L. n. 262 del 2005), per cui il T. era indagato nell’ambito della nota vicenda della "scalata" alla Banca Antonveneta.
Il tribunale del riesame di Milano, con ordinanza del 22.10.2007, in parziale riforma del suaccennato decreto, riduceva il sequestro preventivo, anche per equivalente, sino alla concorrenza della plusvalenza realizzata dal T. al netto della imposta sostitutiva ex L. n. 461 del 1997 e confermava nel resto il medesimo decreto.
Il predetto tribunale riteneva che non potevano essere "scomputati" dal profitto del reato di manipolazione del mercato gli interessi versati dall’indagato alla Banca Popolare di Lodi per ottenere l’affidamento necessario per l’acquisizione dei titoli azionari oggetto di aggiotaggio: l’attività – i cui costi si sarebbe voluto scomputare dal profitto confiscabile -, pur essendo intrinsecamente lecita (sostanziandosi nella erogazione di un mutuo bancario nell’ambito dell’esercizio del credito da parte di un istituto autorizzato), ciò nondimeno risultava nella specie chiaramente ed inequivocabilmente orientata alla realizzazione dell’agire criminoso, in particolare, a creare le condizioni perchè la manipolazione di mercato avente ad oggetto il titolo "Antonveneta" potesse essere compiuta. Si trattava, dunque, di spese che riguardavano un’attività strumentale alla realizzazione dell’illecito ed in quanto tali, giusta la concreta finalizzazione ad uno scopo illecito, non erano meritevoli di alcuna tutela da parte dell’ordinamento, nè pertanto erano suscettibili di far discendere alcun vantaggio per il reo sul piano economico (sconto sui beni da confiscare).
Avverso la summenzionata ordinanza del tribunale del riesame di Milano il difensore del T. proponeva ricorso per Cassazione.
Con unico motivo, il predetto difensore deduceva – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) – erronea applicazione della legge penale (T.U.F. art. 187 e art. 321 c.p.p.).
Invero, per giungere alla corretta individuazione del "profitto", realizzato dal T. attraverso la commissione dei fatti ritenuti penalmente rilevanti, sarebbe necessario abbandonare l’errato angolo di visuale in cui si sarebbero posti i giudici milanesi (evidentemente preoccupati di garantire alla confisca un’efficacia sanzionatoria che non le sarebbe propria), collocandosi nella pratica e corretta prospettiva di una misura di sicurezza.
In tale prospettiva, occorrerebbe stabilire quale fosse stato "l’utile economico" ricavato dall’indagato.
Nell’individuazione di concetto di "profitto del reato" non si potrebbe, perciò, non lenere conto di tutte le "componenti negative" (oltre alle imposte, le minusvalenze e gli interessi passivi versati alla banca), di guisa che solo all’esito dello scorporo di tali oneri dal totale delle plusvalenze sarebbe possibile determinare puntualmente e correttamente l’entità dell’"utile" derivato in concreto dalla condotta ritenuta illecita.
Il difensore del T. chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui non aveva escluso dall’ammontare da sottoporre a sequestro preventivo anche il totale degli oneri pagati a titolo di interessi passivi e le perdite accusate per effetto della minusvalenza registrata dal titolo "Antonveneta".
Il ricorso sottopone, sostanzialmente, all’esame di questa Suprema Corte la questione se il profitto del reato de quo, oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, debba essere commisurato al lordo, cioè all’intero ricavo dell’illecito, ovvero ai netto, cioè all’effettivo guadagno tratto dal reo, determinato sottraendo i costi sostenuti dal medesimo reo per la commissione del reato.
Al riguardo, deve essere rilevato che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di "profitto" nè tanto meno una specificazione del tipo di "profitto lordo" o di "profitto netto", ma il termine è utilizzato, nelle varie fattispecie in cui è inserito, in maniera meramente enunciativa, assumendo, quindi, un’ampia "latitudine semantica" da colmare in via interpretativa.
Nel linguaggio penalistico il termine ha assunto sempre un significato oggettivamente più ampio rispetto a quello economico o aziendalistico, non è stato cioè mai inteso come espressione di una grandezza residuale o come reddito di esercizio, determinato attraverso il confronto tra componenti positive e negative del reddito.
Recentemente, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno affermato che "il profitto del reato…va inteso come complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, per dare concreto significato a tale nozione, l’utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico".
"Il crimine", invero, "non rappresenta, in alcun ordinamento, un legittimo titolo di acquisto della proprietà o di altro diritto su un bene e il reo non può, quindi, rifarsi dei costi affrontati per la realizzazione del reato. Il diverso criterio del "profitto netto" finirebbe per riversare sullo Stato…il rischio di esito negativo del reato ed il reo e, per lui, l’ente di riferimento si sottrarrebbero a qualunque rischio di perdita economica" (Cass. Pen. SS.UU. 27.3.2008 dep. 2.7.2008, n. 26654, Rv. 239924).
La suaccennata nozione generale del "profitto", adottata delle Sezioni Unite, è in linea con la strategia internazionale, particolarmente dell’Unione Europea, che affida alla confisca dei "proventi del reato", intesi in senso sempre più ampio ed omnicomprensivo, il ruolo di contrasto alla criminalità economica ed a quella organizzata e, a tal fine, elabora strumenti funzionali alla promozione dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia.
Si muove in questa direzione la recente L. 25 febbraio 2008, con cui si è conferita delega al Governo per l’attuazione della decisione quadro 24.2.2005 dell’Unione Europea relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (2005/212/GAT). La citata legge, art. 31, comma 1, lett. b), n. 1, chiarisce che per "proventi del reato" dovranno intendersi il prodotto ed il prezzo del reato, nonchè "il profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato" o il suo impiego; la stessa disposizione al n. 3 impone la previsione della confisca per equivalente dei beni costituenti il prodotto, il prezzo o il profitto del reato.
E’ agevole osservare che il legislatore, nel disciplinare la confisca del profitto del reato, non opera alcuna distinzione fondata sul margine di guadagno "netto" ricavato dal reato e, anzi, menzionando specificamente il "profitto indiretto", da rilievo, ai fini dell’applicazione della misura ablativa, anche ai vantaggi indotti dal profitto direttamente acquisito per effetto della consumazione dell’illecito.
Alla stregua delle illustrate considerazioni, deve concludersi che il tribunale del riesame di Milano ha correttamente escluso che dal profitto del reato in esame dovessero essere detratte le "competenze bancarie" versate dal T. e la minusvalenza registrata dal titolo "Antonveneta".
Le censure formulate dal T. sono, perciò, infondate, con la conseguenza che il ricorso dell’indagato deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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