Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-05-2011) 16-05-2011, n. 19087

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rizione dei reati.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha proposto ricorso per cassazione M.D., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 21.5.2010, che in riforma della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 16.10.2006, dichiarò prescritti i reati di truffa di cui ai capi 6) 8), 10), 11), 12), 14), 15) e 16 della rubrica accusatoria, e ridusse la pena inflittagli, confermando nel resto la decisione di primo grado in ordine al giudizio di responsabilità dell’imputato per il reato di associazione per delinquere di cui al capo 1, aggrvato ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Con il primo motivo, la difesa deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), in relazione alla questione di competenza territoriale tempestivamente sollevata nel corso del processo; deduce inoltre, con il secondo motivo, il difetto di motivazione in ordine alla ribadita resposanbilità dell’imputato per il reato associativo, censurando l’indebito ricorso dei giudici di appello alla tecnica di motivazione per relationem.

Con il terzo motivo, infine, il difensore lamenta il vizio di violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, negate dalla corte territoriale sulla base dei "rilevantissimi precedenti penali" del ricorrente, non riscontrabili nel casellario giudiziale, soprattutto all’epoca dei fatti contestati.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto all’eccezione di incompetenza territoriale, esse è riproposta in questa sede di legittimità in modo del tutto generico, mentre la sentenza impugnata ricorda le pronunce regolatrici già intervenute sulla questione nei procedimenti separati riguardanti altri partecipi alla stessa associazione (in sentenza è citata Cass. 10.7.2002, che escluse la competenza del tribunale di Firenze a favore di quella dell’autorità giudiziaria milanese).

Altrettanto generiche sono le altre doglianze.

In punto di responsabilità per il reato associativo, la difesa non va molto oltre il rilievo dell’indebito ricorso dei giudici di appello alla motivazione per relationem. Peraltro, il presunto appiattimento dei giudici di appello sulle motivazioni della sentenza di primo grado, è in un certa misura inevitabile in qualunque giudizio di conferma di una precedente decisione, salvo il caso che l’impugnazione imponga al giudice che ne sia investito, autonome valutazioni su questioni specifiche (cfr. Cass. Sez. 4 Pen, n. 6980/1997 secondo cui deve ritenersi legittimo, nella piena coincidenza di due giudizi di merito, anche un rinvio del giudice sovraordinato agli argomenti esposti dalla pronuncia di prime cure, a meno che con i motivi di appello non siano state poste specifiche questioni per le quali l’apparato argomentativo della sentenza del giudice dell’impugnazione deve essere autonomo ed autosufficiente).

Nella specie, poi, nella sentenza impugnata sono comunque trascritti ampi passaggi argomentativi della sentenza di primo grado dai quali si evince la sistematicità delle condotte truffaldine oggetto del programma associativo e il ruolo direttivo dell’imputato. I motivi sul trattamento sanzionatorio, infine, non segnalano alcuna circostanza particolarmente favorevole all’imputato, che avrebbe dovuto indurre i giudici di appello a concedergli le attenuanti innominate, non potendo certo essere all’uopo valorizzata la presunta non eccessiva gravità dei precedenti penali dell’imputato, secondo l’incongrua sottolineatura difensiva, errata peraltro anche in diritto nella parte in cui vorrebbe escludere dalla considerazione dei profili sintomatici della personalità criminale del ricorrente i reati dallo stesso commessi successivamente ai fatti per cui oggi è processo (vedi, in contrario, l’art. 133 c.p., comma 2, n. 3, ultimo inciso).

Le aggravanti contestate, non investite da specifici motivi di doglianza, essendosi la difesa limitata ad un irritale e generico richiamo ai motivi di appello, escludono che sia intervenuta, neanche successivamente alla sentenza di appello, la prescrizione del reato, del tutto infondatamente invocata dalla difesa nel corso della discussione orale.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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