Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N. 200/2009

costituito dai magistrati:

Margit FALK EBNER – Presidente

Hugo DEMATTIO – Consigliere

Marina ROSSI DORDI – Consigliere

Lorenza PANTOZZI LERJEFORS – Consigliere, relatrice

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 165 del registro ricorsi 2008

presentato da

AHMATI Medi, rappresentato e difeso dall’avv. Stefania Lionetti, con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Bolzano, Via Cappuccini, n. 8, giusta delega a margine del ricorso; – ricorrente –

c o n t r o

MINISTERO dell’INTERNO – QUESTURA della Provincia di Bolzano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trento, in Largo Porta Nuova, n. 9, presso la quale, pure per legge, è domiciliato; – resistente –

per l’annullamento,

previa emanazione di misure cautelari, del decreto del Questore della Provincia di Bolzano, dd. 7.4.2008, prot. n. 19/2008 A12/Imm, notificato il 14.4.2008, con il quale è stata rigettata l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal signor Ahmati Medi il 6.6.2007.

Visto il ricorso notificato il 12.6.2008 e depositato in segreteria il 10.6.2008 con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno – Questura della Provincia di Bolzano, depositato il 20.6.2008;

Vista l’ordinanza di questo Tribunale n. 165/08 dd. 24.6.2008, con la quale è stata cautelarmente sospesa l’esecuzione del provvedimento impugnato;

Viste le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatrice designata: consigliere Lorenza Pantozzi Lerjefors;

Sentiti, nella pubblica udienza del 29.4.2009, l’avv. S. Lionetti per il ricorrente e l’Avv. dello Stato G. Denicolò per l’Amministrazione dell’Interno – Questura della Provincia di Bolzano;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Il ricorrente, cittadino albanese nato il 6 giugno 1989, espone di essere entrato clandestinamente in Italia nel gennaio 2006 e di aver ottenuto un permesso di soggiorno “per minore età”, ai sensi dell’art. 28 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 e s.m, valido sino al 1° gennaio 2006, successivamente rinnovato sino al 6 giugno 2007. Raggiunta la maggiore età il ricorrente ha presentato, in data 6 giugno 2007, domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.

Con l’impugnato decreto del 7 aprile 2008 il Questore della Provincia di Bolzano ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

A fondamento del gravame proposto il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

1. “Omessa traduzione della comunicazione, ai sensi degli artt. 2, 4, 7, 8 e 10bis della L. 241/90, come modificata ed integrata dalla L. 15/05 e 3 del D.M. Interno n. 284/93, di data 21.12.2007, emessa dal Questore della Provincia di Bolzano”;
2. “ Mancata attivazione ed interessamento del Comitato per i minori stranieri, previsto dall’art. 33 del D. Lgs. n. 286/1998”;
3. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, del D. Lgs. 286/98”;
4. “Violazione dell’art. 8 della Convenzione dell’OIL n. 143/1975”;
5. “Superamento della barriera legislativa prevista ex art. 32 del D. Lgs. 286/98”.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con atto del 17 giugno 2008, riservandosi di dedurre e concludere in prosieguo. Con successiva memoria, depositata il 23 giugno 2008, l’Amministrazione ha esposto le proprie controdeduzioni e ha chiesto il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con ordinanza n. 124/08, depositata il 25 giugno 2008, il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare presentata dal ricorrente in via incidentale.

Nei termini di rito il procuratore del ricorrente ha depositato una memoria a sostegno della propria difesa.

Alla pubblica udienza del 29 aprile 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

Il ricorso non è fondato.

1. Con un primo motivo il ricorrente si duole della mancata traduzione della comunicazione del 21 dicembre 2007, effettuata dal Questore ai sensi degli artt. 2, 4, 7, 8 e 10bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m., nonché dell’incompletezza e sinteticità della traduzione relativa al successivo decreto di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno del 7 aprile 2008.

Le doglianze non colgono nel segno.

Ai sensi dell’art. 13, comma 7, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e s.m., “il decreto di espulsione e il provvedimento di cui al comma 1 dell’articolo 14, nonché ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”.

L’art. 3, comma 3, del relativo regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 e s.m., a sua volta, così recita: “Il provvedimento che dispone il respingimento, il decreto di espulsione, il provvedimento di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno, quello di rifiuto della conversione del titolo di soggiorno, la revoca od il rifiuto della carta di soggiorno sono comunicati allo straniero mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l’indicazione delle eventuali modalità di impugnazione, effettuata con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell’atto. Se lo straniero non comprende la lingua italiana, il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato”.

Dunque il legislatore ha inteso garantire agli interessati la comprensibilità degli “atti” che li riguardano attraverso la loro traduzione sintetica (anche mediante appositi formulari) in una lingua da loro conosciuta, mentre non ha imposto alcun obbligo specifico di traduzione per le comunicazioni effettuate ai sensi della legge n. 241 del 1990.

In ogni caso, va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo Tribunale, in base al quale le irregolarità relative alla traduzione degli atti concernenti i permessi di soggiorno, attenendo alla fase di comunicazione, non incidono sulla loro legittimità, ma rilevano solo ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, rendendo il ricorso ricevibile, ancorché presentato oltre il termine di legge (cfr. ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 238; TRGA Bolzano, 20 giugno 2005, n. 244; 23 gennaio 2007, n. 38 e 17 aprile 2009, n. 139). Nel caso specifico, le asserite lacune non hanno precluso la tempestiva difesa giudiziaria del ricorrente.

Ad abundantiam va rilevato che quando, come nel caso in esame, il provvedimento che nega il rinnovo del permesso di soggiorno costituisce un atto vincolato, esso non può comunque essere annullato per violazione delle norme sul procedimento o sulla forma, ai sensi dell’art. 21octies della citata legge n. 241 del 1990 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.VI, 8 febbraio 2008, n. 415 e Sez. VI, 28 luglio 2008, n. 3707).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che gli organi preposti alla tutela dei minori stranieri non si sarebbero attivati dopo che egli si era allontanato dal Centro di pronta accoglienza per minori non accompagnati di Bolzano, per cercare un’occupazione.

Con il terzo motivo il ricorrente si duole che l’Amministrazione non abbia considerato l’esistenza di requisiti alternativi rispetto a quelli previsti dall’art. 32 del D. Lgs. n. 286 del 1998 (mezzi di sussistenza legali e reperimento di opportunità di lavoro); ciò avrebbe consentito di rilasciargli un permesso di soggiorno per lavoro subordinato o per attesa occupazione.

Con il quinto motivo il ricorrente afferma che l’Amministrazione avrebbe potuto superare “la barriera legislativa ex art. 32 del D. lgs. 286/98”, in considerazione del fatto che egli sarebbe incensurato, non socialmente pericoloso e che si sarebbe costantemente attivato al fine di reperire un posto di lavoro e mezzi legali di sussistenza.

Le doglianze – che si prestano ad un esame congiunto – sono infondate.

L’art. 32 del D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e s. m. così recita: “1. Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all’articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all’articolo 23.

1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

1-ter. L’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1-bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato….”.

Va precisato che la giurisprudenza prevalente, con riferimento agli stranieri entrati clandestinamente in Italia come minori “non accompagnati” e qui divenuti maggiorenni, ha affermato che i requisiti previsti dal comma 1 e quelli previsti dai commi 1bis e 1ter dell’art. 32 sono alternativi e non cumulativi; di talché l’originario permesso di soggiorno dei minori “non accompagnati” può essere convertito sia per i minori affidati a famiglie o a singole persone con provvedimento amministrativo o giudiziale, adottato ai sensi della legge 4 maggio 1984, n. 183, sia per i minori privi di un formale provvedimento di affidamento ai sensi della norma citata, qualora abbiano seguito i previsti programmi di integrazione e siano in possesso degli ulteriori requisiti stabiliti dai commi 1bis e 1ter del citato art. 32 (cfr. Corte Costituzionale, 5 maggio 2003, n. 198; Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1681; Sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 6525; TAR Veneto, Sez. III, 29 novembre 2005, n. 4107; TAR Umbria, 11 dicembre 2006, n. 587 e TRGA Trento, 24 luglio 2008, n. 193).

Orbene, ad avviso del Collegio, la situazione del ricorrente non è inquadrabile in alcuna delle fattispecie, contemplate dal citato art. 32, che legittimano la conversione del permesso di soggiorno dato in minore età in permesso per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura ai minori.

Il signor Ahmati Medi è entrato in Italia clandestinamente quale minore “non accompagnato” all’età di 16 anni e la Questura di Bolzano lo ha immediatamente collocato nel “Centro di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati” di Bolzano (gestito dall’associazione “Volontarius”) e segnalato al Comitato per i minori stranieri, al Tribunale per i minorenni e al Giudice tutelare (cfr. art. 5 del D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535; artt. 9, comma 1, e 33, comma 5, legge 4 maggio 1983, n. 184 e art. 343 c.c.). Contestualmente, la Questura, in data 19 luglio 2006, gli ha rilasciato un permesso di soggiorno “per minore età”, ai sensi dell’art. 28, comma1, lett. a), del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.

Risulta agli atti che il minore Ahmati Medi è rimasto nel Centro di prima accoglienza solo quattro mesi (dal 2 luglio 2006 al 21 novembre 2006), durante i quali non si è impegnato sufficientemente nel corso di alfabetizzazione (offerto a tutti i minori nella fase di prima accoglienza, quale indispensabile presupposto per accedere a qualsiasi successivo progetto di integrazione sociale) e ha dimostrato, ripetutamente, di non voler rispettare le regole del Centro.

Dunque il ricorrente non rientra nelle fattispecie previste dal comma 1 dell’art. 32, in quanto, pur essendo stato provvisoriamente collocato nel Centro di prima accoglienza di Bolzano (in attesa che il Comitato Minori stranieri, il Tribunale per i minorenni e il Giudice tutelare adottassero gli atti di propria competenza), non risulta essere mai stato oggetto di un formale provvedimento di affidamento amministrativo o giudiziale, ai sensi della legge n. 184 del 1983 (come dimostra anche il fatto che, prima della maggiore età, era titolare di un permesso “per minore età”, non di un permesso “per affidamento” – cfr. circolari del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica sicurezza, Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, di frontiera e postale, 9 aprile 2001, n. 300/C/2001/2081/A/12.229.28/IDIV e 13 novembre 2000, n. 300/C/2000/785/P/12.229.28/IDIV). Né risulta che sia stato sottoposto alla tutela, ai sensi dell’art. 343 e seguenti del Codice civile (fattispecie ritenuta rilevante ai fini dell’applicabilità del citato art. 32 dalla Corte costituzionale, nella sentenza 5 giugno 2003, n. 198). Dette circostanze, peraltro, non sono state neppure contestate dal ricorrente.

Il ricorrente non possiede neppure i requisiti previsti dai commi 1bis e 1ter dell’art. 32: invero, anche volendo considerare il corso di alfabetizzazione alla stregua del progetto di integrazione sociale e civile previsto dalla legge, egli, da un lato si è rifiutato di seguire quel percorso; d’altro lato è entrato nel Centro di prima accoglienza solo un anno prima della maggiore età, cosicché non avrebbe potuto comunque rispettare i requisiti minimi temporali previsti dai citati commi.

Dunque, il ricorrente non aveva titolo, ai sensi dell’art. 32 del D. Lgs. n. 286 del 1998, alla conversione del permesso di soggiorno “per minore età” in permesso di soggiorno “per lavoro subordinato – attesa occupazione”, previsto dalla norma in deroga alla disciplina dei flussi migratori.

In assenza dei presupposti previsti dall’art. 32 ai fini della conversione del permesso di soggiorno e stante il carattere eccezionale della norma stessa, non può assumere rilevanza, ai fini della decisione del giudizio, il dedotto e non dimostrato mancato intervento delle autorità preposte alla tutela dei minori a seguito dell’abbandono del Centro da parte del ricorrente, ormai quasi maggiorenne. Né ha rilievo la circostanza che il ricorrente, lasciato il Centro di prima accoglienza, abbia regolarmente svolto attività lavorativa, assicurandosi legalmente i propri mezzi di sussistenza.

3. Parimenti va disattesa la censura di violazione dell’art. 8 della Convenzione sui lavoratori migranti n. 143 del 1975 dell’OIL (resa esecutiva in Italia dalla legge 10 aprile 1981, n. 158), in base al quale la perdita del lavoro, anche per dimissioni, non deve, “di per sé”, causare il ritiro del permesso di soggiorno o, se del caso, del permesso di lavoro.

Invero, il Questore non ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno perché il ricorrente era privo di un contratto di lavoro al momento della presentazione della domanda, ma perché, entrato in Italia quale minore “non accompagnato”, non aveva i requisiti previsti dall’art. 32 del D. Lgs. n. 286 del 1998 e s.m., che consentono di convertire il permesso di soggiorno “per minore età” in permesso di lavoro subordinato o attesa occupazione. Detti requisiti implicano un percorso di integrazione sociale e civile compiuto dal minore fino al raggiungimento della maggiore età e prescindono dalla situazione lavorativa del richiedente al momento della domanda.

4. Infine, devono considerarsi irricevibili, perché tardivi, i motivi nuovi di ricorso, contenuti nella memoria depositata il 18 aprile 2009, pervenuti ampiamente oltre il termine ordinario di decadenza stabilito dall’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e s.m., e non notificati all’Amministrazione resistente.

Per tutte le ragioni espresse il ricorso va rigettato.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti, attesa la particolarità della fattispecie trattata.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano – disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio del 29 aprile 2009.

LA PRESIDENTE L’ESTENSORE

Margit FALK EBNER Lorenza PANTOZZI LERJEFORS

cc/br

N. R.G. 165/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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