Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-05-2011) 16-05-2011, n. 19077 assicurazioni contro danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22 aprile 2010, la Corte di appello di Napoli, confermava la sentenza del Tribunale di Napoli, in data 11/6/2008, che aveva dichiarato M.R. responsabile di simulazione di reato e frode ad una compagnia assicurativa condannandolo alla pena di anni due di reclusione ed al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile (Assicurazioni Lloyd’s). In riforma della stessa sentenza, appellata dal P.M. dichiarava Ma.

V., assolto in primo grado, colpevole di concorso nei medesimi reati e lo condannava alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione.

La Corte territoriale respingeva tutte le censure mosse con l’atto d’appello da M.R., ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta. In particolare respingeva la censura di difetto di correlazione fra l’imputazione contestata sub b) (art. 642 c.p.) e la sentenza. Procedeva quindi ad una rilettura delle risultanze processuali, concludendo per la sussistenza degli estremi della simulazione di reato e della conseguente frode alla compagnia Lloyd’s che aveva assicurato i diamanti di cui il M. aveva falsamente denunziato il furto.

Accogliendo l’appello del P.M. la Corte riconosceva la concorrente responsabilità di Ma.Vi. nelle condotte poste in essere dal M. e provvedeva a determinare la pena di giustizia.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso entrambi gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia (il Ma. ha depositato anche un ricorso personale).

M.R.:

Solleva quattro motivi di gravame.

Con il primo motivo eccepisce l’improcedibilità del reato di cui all’art. 642 c.p. per difetto di querela.

In subordine, con il secondo motivo ripropone l’eccezione di difetto di correlazione fra l’imputazione contestata sub b) (art. 642 c.p.) e la sentenza, contestando le deduzioni formulate sul punto dalla Corte d’Appello.

Sempre in via subordinata eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 642 c.p. per avere la Corte d’Appello sussunto nell’ambito del reato di cui all’art. 642 c.p. un fatto penalmente rilevante ai sensi degli artt. 56 e 640 c.p..

Al riguardo si duole dell’infondatezza giuridica delle conclusioni a cui è pervenuta la Corte territoriale laddove ha ritenuto che "l’art. 642 c.p. punisce tutte quelle condotte finalizzate ad ottenere l’indebito indennizzo della compagnia di assicurazione, di tal che è attraverso gli atti diretti a tale scopo che si perfeziona il reato di cui trattasi". Al riguardo eccepisce che la norma non punisce indistintamente tutte le condotte finalizzate ad ottenere un indebito indennizzo da una compagnia di assicurazione, sanzionando, invece, specifiche condotte di frode (distruzione, dispersione, deterioramento, occultamento di cose, falsificazione di polizza), il cui accertamento da parte del giudice costituisce condizione indefettibile per l’irrogazione della relativa pena. Si duole, quindi, che i giudici non hanno dato conto nella motivazione di due elementi indefettibili per l’integrazione del reato, vale a dire il diritto di proprietà di M.R. sui beni coperti dalla polizza assicurativa, nonchè le condotte di occultamento poste in essere in relazione a tali beni. Infine osserva che il fatto storico, come ricostruito dalla Corte d’Appello, fuoriesce dallo schema dell’art. 642 c.p., integrando gli estremi del tentativo di truffa.

Con il quarto motivo deduce il vizio della motivazione sotto diversi profili. In particolare si duole che la Corte territoriale nel valutare gli elementi indiziari utilizzati per pervenire alla dichiarazione di responsabilità del prevenuto abbia:

1) impiegato, piuttosto che massime di comune esperienza, mere congetture;

2) sovente affidato il percorso giustificativo dell’impugnata pronunzia ad affermazioni del tutto apodittiche;

3) omesso di specificare le ragioni per le quali sono state disattese le alternative ipotesi ricostruttive prospettate dalla difesa nei motivi d’appello.

Ma.Vi.:

Propone ricorso per mezzo di due atti distinti, l’uno presentato dal difensore, avv. Rastrelli Sergio, l’altro dall’imputato personalmente.

Il ricorso proposto dal difensore solleva tre motivi di gravame.

Con il primo deduce violazione di legge con riferimento all’art. 367 c.p., nonchè vizio della motivazione sul punto con riferimento al reato di cui sub a). Al riguardo eccepisce che essendo quello di cui all’art. 367 c.p., un reato a consumazione istantanea, nessun concorso nè materiale, nè morale poteva configurarsi nei confronti del Ma., soggetto rimasto estraneo al fatto commesso dal M..

Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della norma penale e manifesta illogicità della motivazione con riferimento sia al reato sub a) che a quello sub b).

Al riguardo si duole che la Corte territoriale sia pervenuta all’affermazione di responsabilità del Ma. avendo valutato come scarsamente attendibile la deposizione del teste C., giungendo ad adombrare un ruolo illecito di costui, senza trame le conseguenze logiche. Si duole, inoltre, di una valutazione degli elementi probatori gravemente parziale, avendo disatteso la ricostruzione alternativa avanzata dal giudice di primo grado, senza adeguata motivazione.

Con il terzo motivo si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche.

Con il secondo atto di ricorso, Ma.Vi. deduce contraddittorietà ed illogicità della motivazione risultante dal testo e da altri atti processuali.

In particolare osserva che alcune dichiarazioni del Ma., come quella relativa al ritrovamento della cornetta del telefono sollevata, hanno nuociuto gravemente al M., pertanto tali dichiarazioni, assieme ad altri elementi istruttori risultano incompatibili con la tesi della complicità del prevenuto nella condotta truffaldina del M.. Si duole, inoltre, che la Corte d’Appello abbia ingiustificatamente demolito l’attendibilità delle dichiarazioni del teste C. fino al punto da considerarlo quasi un correo nella simulazione del reato e nel tentativo di truffare l’assicurazione.

La parte civile, Assicurazione Lloyd’s of London, ha depositato memoria con la quale resiste alle argomentazioni difensive sollevate dai ricorrenti e chiede dichiararsi l’inammissibilità ovvero il rigetto dei ricorsi proposti da M.R. e da M. V..

In particolare la parte civile contesta che il reato di cui all’art. 642 c.p., comma 1, sia procedibile a querela ed eccepisce che, in ogni caso, la costituzione di parte civile equivale a presentazione della querela, che nella fattispecie dovrebbe considerarsi tempestivamente proposta, avendo la Compagnia assicuratrice avuto conoscenza del reato soltanto al momento della notifica del decreto di citazione a giudizio, avvenuta il 18 gennaio 2005 ed essendo stata la costituzione di parte civile notificata alle parti in data 16 marzo 2005.
Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi non sono inammissibili, pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione, maturata in data 18/8/2010.

Tuttavia, essendo stata pronunziata nei confronti degli imputati sentenza di condanna al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, occorre decidere sulle impugnazioni proposte ai soli effetti delle disposizioni della sentenza che concernono gli interessi civili, ai sensi dell’art. 578 c.p.p..

M.R.:

E’ infondata l’eccezione di improcedibilità del reato per difetto di querela. In punto di diritto è stato rilevato da questa Corte che:

"la querela è una manifestazione di volontà di punizione dell’autore del reato espressa dalla persona offesa; non richiede formule particolari e può essere riconosciuta dal giudice anche in atti come la denuncia, che non contengono espressamente una dichiarazione di querela. Perciò una manifestazione di volontà di punizione ben può essere ravvisata nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, ed è stato riconosciuto da questa Corte che anche una semplice riserva di costituzione di parte civile può costituire una istanza di punizione (Cass. 11 gennaio 1984, Accogli, RV. 163559, ved. anche Cass. 21 settembre 1992, Porcellana, RV. 192135). Perciò non è censurabile la sentenza impugnata che nella costituzione di parte civile e nella partecipazione di questa anche al giudizio di appello ha ravvisato l’espressione di una volontà di punizione dell’imputato" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43478 del 19/10/2001 Ud. (dep. 03/12/2001) Rv.

220259).

Nel caso di specie la costituzione di parte civile effettuata dalla Assicurazione Lloyd’s of London implica una istanza di punizione del responsabile del reato e quindi costituisce un atto equivalente alla proposizione della querela.

Quanto alla tempestività della querela, va premesso, che ai sensi dell’art. 124 c.p., comma 1, il diritto di querela deve essere esercitato nel termine di decadenza di "tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato", intendendosi per notizia del fatto la conoscenza certa dell’episodio delittuoso e quindi la piena cognizione che dello stesso si siano realizzati i requisiti costitutivi, nel senso cioè che l’interessato sia venuto in possesso degli elementi necessari per proporre fondatamente l’istanza punitiva.

In tale contesto è frequente l’incertezza circa la tempestività della querela ed il dubbio al riguardo investe, in particolare, il dies a quo. L’indirizzo giurisprudenziale prevalente è nel senso che l’onere della prova dell’intempestività della querela è a carico di chi allega l’inutile decorso del termine e la decadenza dal diritto di proporla va accertata con criteri rigorosi, non potendosi ritenere verificata in base a semplici supposizioni prive di valore probatorio (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10721 del 23/09/1998 Ud. (dep. 12/10/1998) Rv. 211740).

Di conseguenza: "Qualora venga eccepita la tardività della querela, la prova del difetto di tempestività deve essere fornita da chi la deduce ed un’eventuale situazione di incertezza va integrata in favore del querelante" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2486 del 10/11/1998 Ud. (dep. 25/02/1999) Rv. 212720).

Nella fattispecie il ricorrente nulla ha dedotto circa il momento in cui la parte offesa abbia avuto piena cognizione del fatto reato, momento che – in assenza di indicazioni contrarie – deve essere fatto risalire alla data della notifica del decreto di citazione a giudizio del M. e del Ma.. Pertanto la querela deve ritenersi tempestivamente proposta attraverso la notifica dell’atto di costituzione della parte civile.

Quanto al secondo motivo in punto di difetto di correlazione fra l’imputazione contestata e la sentenza, le censure sono inammissibili in quanto manifestamente infondate.

Secondo l’insegnamento consolidato di questa Corte, ribadito da una recente pronunzia delle Sezioni Unite: "In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).

Non v’è dubbio che nel caso di specie l’imputato sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione di cui al capo b) con la quale veniva contestato al medesimo di aver occultato i gioielli e le pietre preziose, oggetto del contratto di assicurazione stipulato con i Lloyd’s of London, detenute in (OMISSIS), con la precisazione che si trattava di fatto commesso in (OMISSIS), a partire dal (OMISSIS).

Il fatto che la Corte in motivazione avanzi il dubbio che le pietre preziose fossero ancora in possesso del M. e fossero ancora custodite a (OMISSIS) al momento della falsa denunzia di rapina, non comporta alcuna immutazione del fatto contestato che consiste nell’occultamento di tali beni finalizzato a conseguire vantaggi illeciti dall’assicurazione. Non può essere revocato in dubbio che l’occultamento delle pietre preziose è avvenuto nel momento in cui falsamente è stata denunziata la loro rapina da parte di terzi, essendo irrilevante se le pietre fossero state fatte sparire prima o dopo la denunzia, in (OMISSIS) o altrove.

Quanto al terzo motivo sono infondate le censure in punto di qualificazione giuridica del fatto. L’imputato contesta che il fatto reato di cui al capo b) dell’imputazione possa essere sussumibile nelle condotte previste e punite dall’art. 642 c.p. per difetto di due elementi indispensabili per l’integrazione del reato, vale a dire il diritto di proprietà del M. sui beni coperti dalla polizza assicurativa, nonchè le condotte di occultamento poste in essere in relazione a tali beni.

Orbene, quanto al primo requisito, la proprietà dell’imputato sui gioielli oggetto del contratto di assicurazione e della simulazione di reato, non è stata contestata con i motivi d’appello, pertanto la questione è inammissibile in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello. E’ appena il caso di rilevare, inoltre, che la proprietà dei gioielli è stata attribuita dall’imputato a sè stesso attraverso la stipula del contratto di assicurazione che non ha la struttura di contratto a favore di terzo.

Quanto al secondo requisito la condotta di occultamento è integrata dalla falsa denunzia di aver subito la sottrazione degli stessi gioielli ad opera di ignoti rapinatori. Del resto dell’art. 642 c.p., comma 2 precisa che il reato è integrato dalla semplice denunzia di un sinistro (in questo caso la rapina) non avvenuto.

Infine deve escludersi che i fatti contestati possano essere qualificati ai sensi dell’artt. 56 e 640 c.p. come tentativo di truffa, dato il carattere speciale del reato di cui all’art. 642 c.p. rispetto al reato di truffa. Ha osservato, infatti, la giurisprudenza di questa Corte che:

"L’art. 642 c.p. – che punisce la fraudolenta distruzione della cosa propria – costituisce un’ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa di cui all’art. 640 c.p.: nel primo, infatti, sono presenti tutti gli elementi della condotta caratterizzanti il secondo e, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell’assicuratore" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 2506 del 13/11/2003 Ud.

(dep. 24/01/2004) Rv. 227890).

Per quanto riguarda il quarto motivo, in punto di violazione delle regole che governano la formazione della prova indiziaria, è pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte che:

"La valutazione della prova indiziaria comporta innanzitutto l’esame dei singoli elementi indiziari per apprezzarne la certezza e l’intrinseca valenza indicativa, quindi l’esame globale degli elementi ritenuti certi per verificare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi cosi da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30448 del 09/06/2010 Ud. (dep. 30/07/2010) Rv. 248384).

La sentenza della Corte territoriale ha sviluppato un percorso argomentativo pienamento coerente con i principi di diritto sopra esposti, valutando singolarmente i vari elementi indiziali per saggiarne la precisione e la determinatezza e poi prendendo in considerazione la concordanza fra i vari elementi indiziari in una visione unitaria di tutte le emergenze processuali.

In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di vantazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, semprechè tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000), Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 (ud.

22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta nè quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove. In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado non solo recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, ma ripercorre ed approfondisce tutti gli aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, respingendo la differente lettura dei vari elementi indizianti proposta dalla difesa, con motivazione congrua, specifica e priva di vizi logico giuridici, come tale incensurabile in questa sede.

E’ opportuno precisare, con riferimento al vizio di motivazione, che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6A 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv.

207944, Dessimone).

Nel caso di specie le censure sollevate dal ricorrente, con riferimento alla valutazione dei singoli elementi indizianti ed alla lettura fornita dalla Corte d’appello, postulano, al di là dei vizi formalmente denunciati, una rivalutazione di merito di risultanze processuali già esaurientemente e coerentemente esaminate dalla sentenza impugnata nella operata ricostruzione dei fatti e nella puntuale indicazione degli elementi confermativi dell’accusa formulata e risultano destituite di fondamento.

In definitiva il quarto motivo è inammissibile perchè svolge considerazioni in fatto insuscettibili di valutazione in sede di legittimità, risultando intese a provocare un intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dal Giudice del merito.

Di conseguenza il rigetto dei motivi di ricorso comporta la conferma delle disposizioni civili della sentenza nei confronti del M..

Ma.Vi.:

Per quanto riguarda il ricorso proposto dal difensore, il primo motivo è infondato in quanto il fatto che la simulazione di reato sia un reato istantaneo che si consuma con la presentazione della falsa denunzia, non esclude il concorso nel reato di colui che, fornendo una conferma al falso narrato, rafforzi ed agevoli l’agente nel suo proposito criminoso.

E’ inammissibile il secondo motivo. Infatti, per quanto riguarda le questioni sollevate con le quali si deducono violazione di legge e vizi della motivazione, sia con riferimento al reato sub a) che a quello sub b), occorre rilevare che il vaglio logico e puntuale delle risultanze processuali operato dai Giudici di appello, specificamente alle pagine 18, 19, 20 e 21 della sentenza l’impugnata, non consente a questa Corte di legittimità di muovere critiche, ne1 tantomeno di operare diverse scelte di fatto. Le osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa; nella sostanza, al di là dei vizi formalmente denunciati, esse svolgono, sul punto dell’accertamento della responsabilità, considerazioni in fatto insuscettibili di valutazione in sede di legittimità, risultando intese a provocare un intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dal Giudice del merito.

Infine è infondato il terzo motivo di ricorso in punto di diniego delle attenuanti generiche. Al riguardo occorre rilevare che l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere per ciò solo posta a fondamento della concessione delle circostanze attenuanti generiche, a norma dell’art. 62 bis c.p., comma 3, aggiunto dal D.L. 23 maggio 2008 n. 92, art. 1, comma 1, lett. f) bis, convertito con modificazioni nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

La Corte ha, sia pure con motivazione essenziale, giustificato le ragioni del diniego di concessione delle attenuanti generiche, prendendo in considerazione la gravità del fatto ed il comportamento processuale dell’imputato, tutti elementi rilevanti, ai sensi dell’art. 133 c.p..

Per quanto riguarda, infine, il ricorso personale presentato dal Ma., le censure risultano infondate. L’imputato critica nei motivi proposti la sentenza di secondo grado sostenendo la contraddittorietà delle conclusioni assunte in punto di colpevolezza del Ma. rispetto all’istruttoria dibattimentale, dolendosi di travisamento della prova. In punto di diritto, occorre rilevare che il vizio di "travisamento della prova" ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007 Ud. (dep. 23/10/2007) Rv. 238215).

Nel caso di specie il ricorrente ha riportato alcuni spezzoni di dichiarazioni rese dal teste C., sia in sede di istruzione preliminare che in sede di esame dibattimentale, per confutare le valutazioni effettuate dalla Corte territoriale. Tuttavia deve escludersi che la Corte abbia formulato il proprio giudizio sulla base di un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, in quanto la Corte ha ritenuto poco credibili le dichiarazioni del C. attraverso delle valutazioni in fatto che non possono essere rivalutate in questa sede.

Di conseguenza il rigetto dei motivi di ricorso comporta la conferma delle disposizioni civili della sentenza nei confronti del Ma. e la condanna alla rifusione delle spese della parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnate per essere i reati estinti per prescrizione e conferma le statuizioni di carattere civile.

Condanna i ricorrenti – in solido – alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Assicurazione Lloyd’s of London, che liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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