Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-05-2011) 16-05-2011, n. 19074

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 26.3.10 la Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna emessa il 27.4.09 dal Tribunale della medesima sede nei confronti di L.F. per i reati di rapina, resistenza a pubblico ufficiale, tentata rapina, lesioni personali, possesso e fabbricazione di una falsa carta d’identità.

Tramite il proprio difensore il L. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) nullità assoluta ex art. 525 c.p.p., comma 2 della sentenza di primo grado perchè emessa da un collegio diversamente composto rispetto a quello innanzi al quale erano state assunte le prove; nè in contrario poteva valere il consenso alla rinnovazione degli atti prestato dalla difesa del L. all’udienza del 2.3.09, impedita dalla diversa manifestazione di volontà espressa dal difensore alla precedente udienza del 19.1.09, in occasione di un primo mutamento del collegio giudicante; pertanto, all’udienza del 2.3.09, potevano essere rinnovati solo gli atti compiuti dal 19.1.09 in poi e non anche quelli precedenti;

b) vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza aveva affermato la penale responsabilità del L. in ordine alla rapina ascrittagli nonostante il mancato riconoscimento ad opera del soggetto offeso D.R.V., l’unico che potesse individuare il rapinatore: anzi, proprio il D.R. aveva fornito una descrizione del rapinatore difforme dai tratti somatici del ricorrente; in contrario non rilevava l’essere stato il L. trovato alla guida dell’auto sottratta al D.R. (il che, al più, avrebbe potuto giustificare un’imputazione ex art. 648 c.p.) e in possesso di banconote; del pari ininfluente era il fatto che l’autovettura guidata dal L. fosse stata affiancata da uno scooter Honda SH di colore nero analogo a quello su cui viaggiavano i due rapinatori del D.R., trattandosi di uno scooter di tipo assai diffuso e non essendone stata indicata la targa; per il resto, l’impugnata sentenza aveva malamente valutato le prove testimoniali, contrastanti con alcune circostanze di fatto come il non speronamelo, da parte dell’auto delle forze dell’ordine, dell’auto guidata dal L. (che era stata solo bloccata dall’auto dei militi), nonchè con le dichiarazioni del teste La.An., che aveva escluso i reati di resistenza a pubblico ufficiale e di tentato omicidio, teste ben più attendibile rispetto agli altri in quanto estraneo alla vicenda in esame;

c) la consulenza richiesta costituiva elemento indispensabile a ricostruire scientificamente la dinamica dei fatti, viste le contraddizioni in ordine alle ipotesi di reato;

d) il diniego delle attenuanti generiche non poteva basarsi unicamente sui precedenti penali del ricorrente.

Nelle more, il 20.4.11 il difensore del ricorrente ha depositato memoria con la quale ha insistito sulle censure riguardanti la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove effettuata dai giudici del merito.
Motivi della decisione

1- Il motivo che precede sub a) è infondato, giacchè il consenso delle parti alla rinnovazione degli atti svoltisi innanzi a collegio diversamente composto esclude la nullità assoluta di cui all’art. 525 c.p.p., comma 2.

Si premetta che, alla luce di quanto statuito da Cass. S.U. n. 2 del 15.1.99, dep. 17.2.99, rv. 212395, allorquando, nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice, nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova assunta in precedenza, il giudice può di ufficio disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali.

Afferma il L. di aver inizialmente negato il consenso in occasione del primo mutamento del Collegio giudicante (all’udienza del 19.1.09), salvo poi prestarlo all’udienza del 2.3.09 a fronte di un nuovo diverso Collegio: pertanto, sempre ad avviso del ricorrente, tale successivo consenso sarebbe riferibile solo alle attività processuali compiute tra il 19.1.09 e il 2.3.09.

In realtà – osserva questa S.C. – siffatta limitazione non emerge dai verbali di causa nè dalla logica dell’art. 525 c.p.p. e neppure dallo svolgersi del dibattimento, atteso che nemmeno l’odierno ricorrente allega che fossero state assunte nuove prove tra il 19.1.09 e il 2.3.09.

Quanto all’iniziale diniego del consenso, esso non costituisce – a differenza di quello successivamente prestato – manifestazione negoziale, di guisa che in tal caso non opera il principio di non revocabilità dei negozi processuali (costituisce ius reception nella giurisprudenza di questa S.C., l’irrevocabilità di tutti i negozi processuali, pur se unilaterali: cfr. Cass. Sez. 1^ n. 29359 del 14.5.09, dep. 16.7.09, rv. 244826; Cass. Sez. 3^ n. 11215 dell’8.10.95, dep. 15.11.95, rv. 203220; Cass. Sez. Un. 1173 dell’11.7.61, dep. 19.9.61).

Infatti, mentre negare il consenso alla rinnovazione va classificato come mero atto e non già come negozio giuridico, perchè non integra manifestazione di volontà idonea a costituire, modificare od estinguere una situazione giuridica processualmente rilevante – nel senso che, negato il consenso, il processo prosegue secondo l’ordinaria applicazione delle norme che prevedono la rinnovazione delle prove che erano state assunte innanzi al precedente Collegio -, vale il contrario per la manifestazione di volontà con cui tale consenso invece si presta, che è esercizio di un diritto potestativo che determina il formarsi di una nuova situazione processuale che, in deroga all’art. 525 c.p.p., permette l’utilizzabilità delle prove già assunte davanti ad un Collegio diversamente composto.

2- Il motivo che precede sub b) si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè in esso sostanzialmente si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno ricavato la penale responsabilità dell’odierno ricorrente in ordine ai reati ascrittigli dalla deposizione della parte offesa (circa la dinamica della rapina e il fatto che i due rapinatori che avevano affiancato la Mini Cooper del D.R. viaggiavano a bordo di uno scooter Honda SH 300 di colore nero (come quello che poi era stato visto dai CC. affiancare la Mini Cooper guidata dal L. dopo la rapina) e, soprattutto, dal rilievo che meno di un’ora dopo la rapina il L. fu trovato alla guida dell’auto e in possesso del telefonino cellulare e di un frontalino di autoradio marca Pioneer, tutti beni poco prima sottratti alla persona offesa.

A ciò i giudici del merito hanno aggiunto che durante la fuga per sottrarsi all’inseguimento da parte dei CC. il L. perse un berretto di colore nero con visiera, analogo a quello indossato dal rapinatore che aveva puntato la pistola contro il D.R. (secondo la descrizione fornita da costui).

Nè – visto il principio di atipicità delle prove desumibile dall’art. 189 c.p.p. – per l’attribuzione della responsabilità sono necessari il riconoscimento ad opera della parte offesa (vanificato, nel caso di specie, dal fatto che il rapinatore teneva la testa bassa e il berretto con visiera a nascondergli il volto, secondo quel che si legge nella gravata pronuncia) e/o l’indicazione della targa dello scooter Honda, avendo la Corte territoriale esattamente ponderato il robusto quadro accusatorio a carico dell’odierno ricorrente, le cui doglianze sulla valutazione della prova attengono al merito e, quanto alla invocata deposizione del teste La., si rivelano altresì generiche.

Infine, al possesso della refurtiva nell’immediatezza di una rapina è stato correttamente attribuito forte valore indiziario del reato p. e p. ex art. 628 c.p., il che esclude quello di cui all’art. 648 c.p. (configurabile, come è noto, solo fuori dal caso di concorso nel delitto presupposto).

Analoghe considerazioni vanno svolte in ordine alla memoria depositata nelle more dalla difesa dell’odierno ricorrente, in cui si insiste nelle critiche alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione delle prove sostanzialmente sollecitandone una nuova delibazione in punto di fatto, il che è precluso in questa sede.

3- Il motivo che precede sub c) è generico, perchè non chiarisce a quale consulenza ci si riferisca nè ne spiega la decisività, il che contrasta con il requisito della specificità del motivo prescritto dall’art. 581 c.p.p., lett. c) e non può che comportare, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), l’inammissibilità della censura (cfr.

Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

Nè a tale lacuna si può ovviare mediante rinvio a motivi d’appello di cui però non si indica neppure in modo sommario il contenuto, così non consentendo l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte o malamente risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6^ n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2^ n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5^ n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell’11.11.94, dep. 11.2.95).

4- Infine, la censura che precede sub d) è manifestamente infondata, noto essendo in giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti: basta che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che con il rinvio ai precedenti penali, indice concreto della personalità dell’imputato, l’impugnata sentenza ha adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1^ n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98;

Cass. Sez. 1^ n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

5- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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