Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-05-2011) 16-05-2011, n. 19073

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 giugno 2010, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, in data 10/4/2008 (che aveva dichiarato D.L.P., C. C. e P.R. colpevoli del reato continuato di truffa di cui al capo B), condannandoli alle pene di giustizia) dichiarava non doversi procedere per i reati per i quali era intervenuta condanna in primo grado in quanto estinti per intervenuta prescrizione, revocava le statuizioni civili della sentenza di primo grado e confermava nel resto l’appellata sentenza, respingendo l’appello della parte civile.

La vicenda si riferiva alla denunzia-querela presentata dalla S.p.a.

Banca Intesa nei confronti di alcuni dipendenti di "Mediocredito Lombardo" addetti al servizio contenzioso avendo il servizio ispettivo interno, dopo l’incorporazione di Mediocredito, riscontrato numerose irregolarità nella gestione dei crediti in sofferenza ed in particolare nella cessione di crediti a terzi, a seguito di operazioni transattive che apparivano manifestamente incongrue. Il Tribunale aveva ritenuto la penale responsabilità degli imputati con riferimento alla cessione di 5 crediti (Stellata Srl, Knipping Italia spa, Domenico Arrigoni formaggi srl, Mascheroni strade ed Edil Market), aveva dichiarato non doversi procedere per avvenuta prescrizione con riferimento ad altre due cessioni di crediti ed aveva assolto gli imputati dai reati loro contestati con riferimento ad ulteriori otto cessioni di crediti.

La Corte d’appello nel constatare l’avvenuta prescrizione dei reati per i quali era intervenuta la condanna, riteneva non sufficientemente provata la responsabilità degli imputati, rimanendo contraddizioni e dubbi irrisolti (fol. 58) e quindi revocava le statuizioni civili.

Avverso tale sentenza propone ricorso la parte civile Intesa San Paolo sollevando un unico motivo di gravame, articolato in più punti, con il quale deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

La ricorrente prende in esame le cessioni di crediti per cui vi fu condanna in primo grado e contesta le conclusioni della sentenza d’appello obiettando che la Corte omette di prendere in considerazione, ovvero interpreta erroneamente le numerose, ricorrenti e gravi anomalie da cui è derivata una sostanziale immutazione del vero, integranti veri e propri artifici, ex art. 640 c.p.. In particolare si duole che la Corte non abbia compreso il carattere fraudolento delle svalutazioni (attualizzazione) dei crediti in sofferenza arbitrariamente effettuate dagli imputati, ed abbia dubitato in modo illogico della responsabilità dell’imputato D.L., pur avendo accertato che il criterio di attualizzazione dei crediti e di valutazione ai fini della cessione era quello di adeguare il valore del credito alla proposta ricevuta.

Per quanto riguarda la posizione della C., la ricorrente si duole che le conclusioni assunte in punto di responsabilità siano contraddittorie con le premesse, avendo la Corte riconosciuto che difficilmente poteva ritenersi che l’imputata avesse agito in buona fede, inserendo le false notizie riportate nelle delibere.

Anche per quanto riguarda la posizione del P., la ricorrente contesta come illogiche le conclusioni assunte dalla Corte territoriale laddove afferma la mancanza della prova della responsabilità dello stesso sulla base di "contrapposizioni di versioni" ed obietta che per il suo ruolo professionale di gestore delle pratiche il P. non poteva non essere a conoscenza che le delibere contenevano dati non veritieri. La ricorrente, quindi, ripercorre le vicende delle specifiche cessioni, evidenziando la sussistenza di contraddizioni fra le acquisizioni probatorie, in ordine alla falsità delle notizie inserite nelle rispettive delibere, e le conclusioni dubitative in punto di responsabilità cui la Corte è pervenuta.

La parte civile ricorrente contesta inoltre le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello in ordine alle cessioni di crediti per le quali vi è stata assoluzione in primo grado, eccependo che la motivazione sarebbe contraddittoria con le premesse in fatto, essendo stata comunque accertata la presenza di numerose anomalie nelle delibere di cessione fondate su valutazioni di congruità palesemente errate o false.

I difensori degli imputati D.L. e P. hanno depositato memoria resistendo al ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

Sul vizio di motivazione va riconfermata la ormai pacifica giurisprudenza, più volte riaffermata anche a Sezioni Unite, secondo cui l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato e considerandosi disattese le deduzioni delle parti che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni formulate dal ricorrente, per quanto plausibili o logicamente sostenibili alla pari di quelle accolte dal giudice, (cfr. Cass. SS.UU. 24/1999 Spina, rv.

214794; SS.UU. 12/2000 Jakani 216260).

Alla luce di tali pacifici principi di diritto, il ricorso della parte civile deve ritenersi inammissibile, atteso che, pur denunciando formalmente il vizio di mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, le questioni sollevate ineriscono esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. In particolare non costituiscono vizi ictu oculi evidenti della motivazione le pretese incongruenze lamentate nel ricorso fra la discussione svolta in punto di fatto e le conclusioni adottate dalla Corte sulla assenza di una prova evidente di colpevolezza dei tre imputati. La ricorrente effettua una lettura degli elementi di prova, riscontrati nel corso del giudizio a carico dei tre imputati, attribuendo a tali elementi un carattere di decisività che invece la Corte territoriale non riconosce. Le conclusioni assunte dalla Corte, con riferimento ai cinque episodi di cessione di credito per i quali vi è stata condanna in primo grado, non sono macroscopicamente confliggenti con le evidenze probatorie come riconosciute dalla Corte stessa. I dubbi espressi dalla Corte, soprattutto in punto di dolo, rientrano nello spazio di apprezzamento discrezionale delle emergenze processuali del giudice del merito. In questo contesto, le censure della parte civile sono rivolte a provocare un intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dal Giudice del merito, inammissibile nel giudizio di legittimità.

Ugualmente inammissibili sono le censure relative agli otto episodi che hanno visto gli imputati assolti anche in primo grado, in quanto postulano una rivalutazione di merito di risultanze processuali già esaurientemente e coerentemente esaminate dalla sentenza impugnata e risultano destituite di fondamento. E’ il caso di aggiungere che la sentenza di secondo grado va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, pronunciata in prime cure, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato, in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nelle conclusioni assunte che hanno determinato l’assoluzione degli imputati.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, chi lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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