Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-04-2011) 16-05-2011, n. 19070 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza dell’8 aprile 2010, la Corte di appello di Napoli in riforma della sentenza emessa il 5 maggio 2009 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, esclusa per R.P. l’aggravante di capo e promotore in relazione al reato di associazione per delinquere contestato al capo 1), e ritenuta la continuazione tra i reati ascritti al medesimo ed al R.R., ha rideterminato la pena nei confronti di R. P. in anni due e mesi due di reclusione ed Euro 600,00 di multa, e nei confronti di R.R. in anni uno e mesi sei di reclusione.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati. Nel ricorso proposto nell’interesse di R. R. si lamenta nel primo motivo violazione del principio del divieto di reformatio in peius, in quanto i giudici dell’appello, pur applicando la continuazione, non avrebbero potuto applicare come pena base, quella di anni tre e mesi due di reclusione in ordine al reato di cui al capo 1), ritenuto più grave, in quanto in primo grado per lo stesso reato il giudice aveva determinato una pena base di anni tre di reclusione. Si lamenta, poi, vizio di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione della sola pena pecuniaria in ordine al reato di cui all’art. 712 cod. pen.. Inoltre, sempre riproponendosi doglianze già dedotte in appello, si rileva che in ordine alla contravvenzione di che trattasi mancherebbe l’elemento psicologico, non essendo ravvisabili nella vicenda di specie gli elementi della colpa invece ritenuti dai giudici a quibus. Si contesta anche la mancata applicazione della attenuante di cui all’art. 62, n. 6, avendo i giudici errano nell’escluderla sul rilievo che la restituzione del monile da parte dell’imputato non poteva essere intesa come espressione di volontà nella elisine delle conseguenze dannose del reato. Si ripropongono, infine, le doglianze già poste a base dell’atto di appello in ordine alla mancanza di prove circa la contestata associazione, prospettandosi come incongrue le risposte a tal proposito fornite dalla Corte territoriale, specie laddove ha evocato le risultanze delle intercettazioni telefoniche.

Nel ricorso proposto personalmente dal R.P. si contesta la sussistenza dell’associazione per delinquere e si denuncia vizio di motivazione sul punto, stante la occasionalità dei rapporti tra gli associati e la inutilità per l’imputato di far parte di un siffatto sodalizio. Ciò, in particolare, alla luce delle telefonate richiamate dai giudici dell’appello che vengono analiticamente reinterpretate in chiave difensiva, sul rilievo che le stesse non offrirebbero elementi significativi sul piano accusatorio.

Il primo motivo di ricorso proposto da R.R. è fondato, in quanto i giudici dell’appello hanno erroneamente assunto, quale pena base, un trattamento deteriore rispetto a quello applicato in primo grado, ove la pena per il più grave delitto è stata determinata in anni tre di reclusione. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che in caso di appello presentato dal solo imputato, il divieto di reformatio in peius riguarda ogni componente che concorre alla determinazione della pena complessiva e pertanto il giudice d’appello non può rideterminare la pena per il reato ritenuto più grave in misura superiore a quella individuata dal primo giudice, ancorchè la pena complessiva irrogata risulti comunque inferiore a quella applicata nel precedente grado di giudizio (ex plurimis, Cass., Sez. 2^ 3 giugno 2008, Ahrad). Partendo, dunque, dalla pena base applicata in primo grado, il trattamento sanzionatorio determinato dai giudici dell’appello può essere rifissato nella misura di anni uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione.

I restanti motivi di ricorso rassegnati nell’interesse di R. R. sono invece manifestamente inammissibili, così come inammissibile è il ricorso di R.P., in quanto le relative doglianze, oltre che orientate verso una non consentita rivalutazione degli apprezzamenti di merito già compiuti nel doppio grado, risultano nella sostanza reiterativi delle identiche questioni già proposte in appello e da quei giudici motivatamente disattese, senza che i relativi argomenti abbiano formato oggetto di una specifica analisi critica da parte dei ricorrenti. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (Cass., Sez. 1^, 30 settembre 2004, Burzotta;

Cass., Sez. 6^, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass., Sez. 4^, 11 aprile 2001 Cass., Sez. 4^, 29 marzo 2000, Barone; Cass., Sez. 4^, 18 settembre 1997, Ahmetovic).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto da R. P. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di R. R. limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di R.R.. Dichiara altresì inammissibile il ricorso di R.P. e condanna il ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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