T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 17-05-2011, n. 265 Servizi pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Dopo aver avviato una procedura di project financing ex art. 37 bis legge 109/94, relativa all’investimento per il completamento e l’adeguamento dell’impianto di pubblica illuminazione della città e delle frazioni, il comune dell’Aquila prima dichiarava la fattibilità tecnico economica ed il pubblico interesse della proposta presentata dal Promotore R.T.I. E.S.Ve.Ba (delibera di giunta del 30.1.06), poi approvava apposito bando per la prevista fase di licitazione privata ai sensi dell’art. 37 quater comma 1 lett. a) legge 109/1994 (delibera di Giunta del 30.1.06), senza tuttavia che a tale bando fosse pervenuta alcuna offerta da parte di altre società.

Con nota del 30.11.2006 l’ente civico aquilano -dopo una serie di riunioni istruttorie nel corso delle quali era stata messa a punto la bozza di convenzione con il predetto RTI – formalizzava l’avvio alla fase negoziata, subordinando tuttavia la stipula del contratto all’approvazione del bilancio di previsione 2007, prevista entro il 31.1.07.

Approvato il bilancio di previsione del 2007, le società interessate hanno invitato l’amministrazione prima via email e poi con nota del 15.2.07 a rendere noti i tempi per l’adozione della delibera comunale che avrebbe dovuto consentire la stipula del contratto (nella sua versione condivisa), per la gestione del servizio integrato di illuminazione pubblica, richiesta poi reiterata con nota del 5.4.07 senza ottenere riscontro.

Dopo ulteriore riunione dell’11.1.2008 in cui il Comune ha chiesto ulteriori modifiche (integralmente recepite) alla Bozza di convenzione senza poi procedere alla stipula, le società del Raggruppamento hanno prima formalizzato ulteriore diffida in data 31.1.08 per poi proporre il ricorso in epigrafe, chiedendo a questo giudice -nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva nella soggetta materia- di accertare la violazione, da parte della PA inerte, del loro diritto di soggettivo alla stipulazione del contratto, per la conseguente condanna di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., chiedendo in via subordinata l’annullamento del silenziorifiuto ex art. 21 bis legge 1034/71 in relazione all’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sulle definitive determinazioni negoziali, ovvero -in ulteriore subordine- la condanna al risarcimento del danno per equivalente della PA intimata, per essersi quest’ultima ingiustificatamente sottratta all’obbligo di stipulare il contratto definitivo.

Si è costituito in giudizio il Comune dell’Aquila, al quale il Tar ha richiesto alcuni chiarimenti con ordinanza istruttoria n. 50/2011, rimasta peraltro inottemperata.

Alla pubblica udienza del 27.4.11 la causa è stata trattenuta a sentenza.
Motivi della decisione

Va in primo luogo puntualizzata la giurisdizione amministrativa sulla vertenza in questione, ed in questo senso si fa rinvio alla giurisprudenza della Cassazione diligentemente richiamata dal ricorrente patrono (SSU ordinanze 5085/08 e 2792/10, cfr. anche tar Calabria -CZ- II sez. 627/2009), con specifico riguardo a procedure di project financing e/o comunque di partenariato pubblicoprivato, nelle quali la sospensione delle trattative non rappresenta un mero comportamento materiale, bensì un’attività commissiva o omissiva funzionalmente collegata alla procedura di affidamento dei lavori, in quanto tale ricompresa nella giurisdizione esclusiva prevista dall’art. 244 d.lg.vo 163/2006, ed ora dall’art. 133 comma 1 lett. e) n. 1 del CPA.

Deve invece disattendersi la tesi delle ricorrenti società mirata a ravvisare in loro favore un vero e proprio diritto alla stipula del contratto di concessione del servizio di illuminazione pubblica, contratto che il Comune -mediante un comportamento prima dilatorio e poi silente- non ha inteso portare a conclusione.

Non può in particolare condividersi l’assunto secondo cui, una volta terminata la prima fase della finanza di progetto, ed accertata dalla stazione appaltante l’assenza di altre imprese interessate alla realizzazione del progetto (con tanto di volontà di procedere con il promotore alla ulteriore fase negoziata), possa per ciò solo formalizzarsi un vero e proprio obbligo di affidare la concessione al promotore. Ciò in quanto è proprio la residua fase negoziale ancora da concordare ad escludere qualsiasi perfezionamento del reciproco consenso sugli esatti contenuti del futuro contratto di concessione. Né può in contrario rilevare la sopravvenienza di contatti più o meno intensi fra le parti con cui sarebbero state sostanzialmente "limate" anche le ultime clausole controverse della concessione, poiché tali circostanze di mera cooperazione negoziale non possono affatto ritenersi una sorta di succedaneo ad un contratto preliminare che nella specie non è stato ovviamente mai concluso. Anche gli impropri riferimenti delle ricorrenti al diverso regime dell’aggiudicazione ex art. 11 del codice dei contratti non condurrebbero nel senso auspicato, visto che la citata norma del codice (comma 7) esclude espressamente qualsiasi equivalenza dell’aggiudicazione definitiva ad una "accettazione dell’offerta".

Non pertinente si palesa poi la domanda subordinata mirata ad incardinare un’azione di silenzioinadempimento, la quale non può trovare utile esperimento al fine sollecitare l’amministrazione, non tanto ad intraprendere una ulteriore fase della procedura amministrativa, quanto piuttosto a prendere positive decisioni negoziali, al fine di ottenere (come richiesto dalle ricorrenti), "la condanna della PA alla stipula del contratto definitivo al fine di rimuovere le conseguenze pregiudizievoli prodotte dalla propria inerzia". Resta infatti estranea agli intenti delle ricorrenti (ed alla stessa configurabilità della fattispecie) quella coazione al mero "an" del provvedimento, che caratterizza invece l’istituto processuale dell’inerzia amministrativa ex art. 21bis legge 1034/1971 (ora artt. 31 e 117 CPA), in disparte ipotesi di attività vincolata che qui non ricorrono.

Quanto alla domanda di risarcimento per equivalente, formulata in via ulteriormente subordinata, le ricorrenti sembrano limitarla con riguardo al preteso danno da inadempimento ex art. 2932 c.c. per mancata stipula contrattuale.

Nei suesposti termini la pretesa non può trovare accoglimento, visto che si è in precedenza chiarito come nella specie non si sia mai formalizzato alcun obbligo giuridico a carico del comune di concludere il contratto in questione.

Piuttosto la domanda -al di là del suo formale lessico ed in applicazione del principio di conversione ora tipizzato nell’art. 32 comma 2 CPA- appare non escludere affatto ipotesi di responsabilità precontrattuale per interruzione ingiustificata di trattative, come del resto le stesse ricorrenti hanno implicitamente postulato citando -a sostegno della prescelta giurisdizione – le pronunce sopra evidenziate della Cassazione che individuavano nel giudice amministrativo l’autorità giurisdizionale competente a conoscere sulla richiesta di danni ex artt. 1337 e 1338 c.c. all’interno di una procedura di project financing.

La condotta dell’amministrazione formalizza in effetti un chiaro abuso della libertà negoziale, con specifico riguardo al disposto dell’art. 1337 c.c. che disciplina la cd. responsabilità precontrattuale da mancata conclusione del contratto (sulla cui rilevanza risarcitoria anche all’interno dell’attività amministrativa di evidenza pubblica sussiste ormai una pacifica convergenza giurisprudenziale dopo Cons. Stato A.P. n. 6/2005).

Risulta in proposito decisiva per la condanna risarcitoria l’ostinata inerzia del Comune anche nel dare una qualche spiegazione alle ditte ricorrenti sulle ragioni dell’improvviso abbandono delle trattative, nonostante l’indubbio stato avanzato di una procedura sicuramente impegnativa quale è appunto quella della finanza di progetto, giunta alla fase negoziata ed ormai in dirittura di arrivo prima dell’improvviso -e mai spiegato- abbandono delle trattative, alla quale sono seguite inutili diffide.

D’altra parte in varie e prevalenti occasioni la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità precontrattuale pur in presenza di un rituale provvedimento di autotutela (sugli atti aggiudicativi o più in radice su quelli indittivi), idoneo almeno a dar conto delle ragioni della stazione appaltante ostative alla prosecuzione e/o definizione della procedura contrattuale intrapresa (cfr, fra le tante, Tar Lazio, n. 2060/2008). Non solo, ma in determinate occasioni il ristoro risarcitorio per difetto della buona fede nelle trattative è stato riconosciuto nonostante la scrutinata legittimità dell’atto di secondo grado, nella considerazione che proprio la correttezza del ripensamento avrebbe evidenziato l’imprudenza della PA nell’intraprendere la fase contrattuale poi (motivatamente) abbandonata in mancanza dei necessari presupposti e requisiti, fuorviando così l’incolpevole partecipante o aggiudicatario (sul punto cfr. Tar Lazio n. 6911/06).

Ebbene sulla base di quanto appena esposto, tanto più dovrà riconoscersi la responsabilità in contraendo della PA nei casi in cui quest’ultima -senza neanche adoperarsi ad adottare atti pubblicistici di ripensamento- finisca per attuare una inerzia secca ed immotivata, lasciando il promotore, il candidato o l’aggiudicatario nella vana attesa della sottoscrizione contrattuale.

A nulla rileva in proposito che manca nella normativa di settore una previsione ad hoc per tali fattispecie, trattandosi di un’applicazione diretta delle citate disposizioni risarcitorie del codice civile.

Quanto al pregiudizio patrimoniale risarcibile, in materia di responsabilità precontrattuale può esser fatto valere il solo interesse negativo e cioè l’interesse a non intraprendere o proseguire trattative inutili.

Più precisamente, è risarcibile sia il danno emergente, rappresento dalla spese inutilmente sostenute, sia il lucro cessante, rappresento dalle altre occasioni favorevoli perse (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680).

La prova di tali danni spetta, in linea con l’inquadramento di tale responsabilità nell’ambito della responsabilità civile, alla parte lesa (Consiglio di Stato, sez. V, 10 novembre 2008, n. 5574).

Nel caso di specie le ricorrenti non hanno allegato alcunché, in disparte un richiamo al 10% del valore della commessa od altra misura rimessa alla liquidazione equitativa del giudice adìto.

Mentre peraltro il danno emergente (almeno nella sua consistenza minima o comunque "normalizzata") può essere facilmente desunto attraverso semplici principi di prova o minimi supplementi istruttori sui costi dell’inutile partecipazione alle procedure (con il supporto ove del caso di spunti indiziari o presuntivi secondo l’id quod plerumque accidit), discorso diverso riguarda il lucro cessante nella responsabilità in contrahendo, la cui unica voce risarcibile è rappresentata dalle occasioni di lavoro perse a causa dell’impegno profuso nello svolgimento di trattative rilevatesi poi inutili (ove resta pacificamente inapplicabile la liquidazione forfetaria di una somma pari al 10% dell’offerta, trattandosi di un criterio astrattamente utilizzabile soltanto per la definizione delle misure risarcitorie da lesione dell’interesse positivo).

Da ciò consegue che la liquidazione del danno deve essere limitato nella specie al solo danno emergente.

Ai fini della sua determinazione il Collegio intende utilizzare lo strumento di cui all’art. 34 comma 4 del CPA (già comma 2 del d.lgs. n. 80 del 1998) e conseguentemente indica i seguenti criteri sulla cui base il Comune dovrà proporre alle ricorrenti la somma che intendere offrire a titolo risarcitorio:

a) le spese sostenute per la partecipazione all’intera procedura concorsuale devono riguardare le somme riferibili all’adempimento di prescrizioni specificamente richieste dalla stazione appaltante nel piano triennale e negli altri atti della procedura di project financing (ivi compresi i vari tavoli tecnici di negoziazione diretta, svoltisi da ultimo in data 11.1.2008), senza riguardo per esborsi di denaro riportabili ad attività autonomamente svolte;

b) le spese di progettazione devono attenere all’attività di progettazione contemplata nel predetto Piano Triennale e nell’avviso pubblico, a quella successivamente posta in essere in ottemperanza di specifiche indicazioni contenute negli atti della procedura ovvero in esito a documentate richieste formulate al promotore dall’amministrazione civica.

La somma risarcitoria così definita dovrà essere aumentata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali da calcolarsi fino alla data di notifica della domanda giudiziale e, successivamente, dei soli interessi legali fino alla formulazione dell’offerta risarcitoria (Consiglio di Stato, sez IV, 24 dicembre 2008, n. 6538).

In definitiva, dunque, il ricorso trova parziale accoglimento in relazione alla sola domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale, con condanna del Comune di L’Aquila a corrispondere alle ricorrenti una somma per le spese sostenute, determinata nel rispetto dei criteri sopra esposti.

Il predetto Comune è altresì condannato alla refusione delle spese di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie limitatamente alla sola domanda risarcitoria per responsabilità extracontrattuale, e per l’effetto condanna il Comune a corrispondere alle ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1337 c.c., la somma determinata secondo i criteri indicati nella motivazione.

Spese a carico del Comune dell’Aquila liquidate in complessive euro 5.000,00 (cinquemila) oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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