T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 17-05-2011, n. 416 Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Espone il ricorrente: a) di essere proprietario in Gaeta di un suolo sito in via Cuostile, contrassegnato in catasto al foglio n. 25, particella n. 57, e ricadente in zona B5 (zona di completamento) del vigente P.R.G. comunale; b) di aver ottenuto in data 6 aprile 2006 il permesso di costruire n. 73, con cui era autorizzata la realizzazione sul suolo indicato di un progetto avente a oggetto un villino unifamiliare.

In data 19 ottobre 2006, tuttavia, il comune ordinava l’immediata sospensione dei lavori nel presupposto che, a seguito di una verifica, era risultato che il "potenziale edificatorio" relativo alla particella n. 57 del ricorrente era stato esaurito, essendo la medesima stata "asservita" a due palazzine realizzate in base alla licenza edilizia n. 483 del 21 dicembre 1971 e successive varianti.

Nonostante il provvedimento di sospensione indicasse in 30 giorni il termine per l’adozione delle determinazioni definitive, solo in data 6 marzo 2008 il comune infliggeva al ricorrente una sanzione pecuniaria a titolo di indennità risarcitoria ai sensi dell’articolo 167 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42; seguiva poi in data 29 gennaio 2009 il provvedimento prot. n. 3615 con cui il comune si determinava all’annullamento del permesso di costruire n. 73 del 6 aprile 2006 nel presupposto che: a) a seguito delle verifiche eseguite era risultato che la superficie della particella del ricorrente doveva ritenersi utilizzabile a fini edificatori nella misura di mq. 217 anziché 420 (con conseguente volumetria realizzabile di mc. 326,49 a fronte dei 630 mc. di cui al progetto assentito); b) il permesso di costruire doveva pertanto ritenersi viziato da illegittimità ed era stato rilasciato a causa di una infedele rappresentazione della condizione giuridica del lotto; c) l’interesse pubblico alla conservazione dello stato originario dei luoghi "che potrebbe essere ulteriormente pregiudicato dal programma edilizio in atto" doveva ritenersi prevalente su quello privato.

4. Di qui il ricorso all’esame con cui viene denunciata l’illegittimità del provvedimento di annullamento per eccesso di potere sotto vari profili e la violazione dei principi in materia di annullamento degli atti amministrativi stabiliti dall’articolo 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

5. Il comune di Gaeta si è costituito in giudizio e resiste al ricorso.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal comune di Gaeta.

Questo in particolare eccepisce che: a) il ricorso è inammissibile perché non è stato instaurato il contraddittorio nei confronti dei controinteressati, cioè dei proprietari delle unità immobiliari del condominio sito in via Cuostile n. 2, un esposto dell’amministratore del quale ha attivato le verifiche comunali che hanno portato prima al provvedimento di sospensione e poi al definitivo annullamento del permesso di costruire; b) sotto diverso profilo, viene dedotta la tardività dell’impugnazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori.

Per quanto concerne il profilo relativo al contraddittorio, l’eccezione è infondata dato che in linea generale i soggetti che mediante esposti o denunce abbiano occasionato l’esercizio di poteri di riesame dell’amministrazione non assurgono al rango di controinteressati in senso proprio nel giudizio instaurato per contestare l’atto di riesame; nel caso specifico di annullamento di un provvedimento di annullamento di un permesso di costruire i soggetti già insediati nell’area coinvolta parimenti non possono considerarsi in generale controinteressati (pur essendo invece legittimati all’impugnazione del permesso).

Per quanto riguarda invece l’impugnazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori, essa è inammissibile non per la sua tardività ma perché si tratta di un provvedimento che ha efficacia limitata nel tempo (45 giorni ex articolo 27 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380); essa quindi, alla data di notifica del ricorso era già inefficace da tempo; quanto infine all’avviso di procedimento contenuto nell’ordinanza, esso è un atto endoprocedimentale per sua natura privo di lesività nei rapporti intersoggettivi, cosicchè nessun onere di immediata impugnazione può ravvisarsi in capo al suo destinatario.

2. Può ora passarsi all’esame del merito del ricorso che è fondato e va accolto.

3. Il ricorrente anzitutto contesta i presupposti dell’atto di annullamento.

Da un lato viene sottolineato che il comune ha pronunciato l’annullamento con enorme ritardo, dato che i dati su cui esso è basato erano in suo possesso sin dalla data in cui era stata presentata l’originaria istanza di concessione edilizia.

A ciò si aggiunge che non è stata in alcun modo considerata la memoria partecipativa presentata in corso di procedimento e con cui era stato dimostrato che la particella n. 57 era stata stralciata dalla superficie asservita alle palazzine edificate in forza della licenza edilizia del 1971, cosicchè il provvedimento si baserebbe su un presupposto del tutto erroneo.

A questo riguardo in verità la difesa del ricorrente appare contraddittoria poiché in ricorso si afferma che la superficie della particella n. 57 è stata stralciata dal progetto delle due palazzine da un progetto in variante del 1973; tuttavia la relazione tecnica allegata al ricorso e nello stesso richiamata ammette che la superficie non asservita all’edificazione autorizzata nel 197173 sarebbe di mq. 314,23 (o meglio, dato che non esiste un formale atto di asservimento, che quanto edificato nel 197173 richiedeva l’asservimento di una superficie complessiva di mq. 3.338 per cui, avendo i costruttori a disposizione una superficie complessiva (includente la particella 57 in contestazione) di mq. 3.652, residuava una superficie di mq. 314,23 "corrispondente alla parte non tratteggiata (nel progetto del 1971) che ricalca l’attuale particella n. 57".

Il comune, invece, in sede di definitiva verifica ha acclarato che la superficie non asservita della particella n. 57 sarebbe inferiore e pari in realtà a soli 217 mq..

Il ricorrente sostiene altresì che l’operato del comune sarebbe illegittimo in quanto: a) contraddittorio rispetto al provvedimento con cui è stata applicata la sanzione ex articolo 167 d.lg. n. 42 del 2004 (in cui si legge che l’opera realizzata è sostanzialmente riassorbibile nel contesto paesaggistico, trattandosi di intervento realizzato conformemente al progetto originariamente autorizzato; b) lesivo del suo affidamento, dato che egli ha chiesto il rilascio del titolo edilizio sin dal 1999, cosicchè il comune ha avuto anni per fare le sue verifiche in ordine alla volumetria realizzabile; di conseguenza il rilascio nel 2006 del permesso di costruire ha consolidato una condizione di preesistente affidamento in ordine alla realizzabilità dell’intervento edilizio e la stessa circostanza che il comune ha lasciato trascorrere un ulteriore lungo lasso di tempo tra l’ordinanza di sospensione e il provvedimento di annullamento ha ulteriormente consolidato e qualificato questa situazione di affidamento in ordine alla possibilità di conservare quanto realizzato; c) privo di adeguata motivazione in ordine ai presupposti (ragionevolezza del termine e comparazione dei contrapposti interessi) previsti dall’articolo 21nonies della legge n. 241 del 1990.

4. Le argomentazioni del ricorrente sono in parte condivisibili.

5. Va premesso che l’asservimento di un suolo a un’edificazione è un fatto che si verifica ope legis in conseguenza dell’esistenza di limiti inderogabili di densità edilizia; non occorre pertanto, perché esso si verifichi, un atto formale di asservimento.

Ciò premesso, deve osservarsi che nella fattispecie non è contestabile che una parte del lotto del ricorrente fosse asservito alle palazzine realizzate in forza della licenza edilizia n. 483 del 1971 e successive varianti; nella stessa relazione tecnica di parte allegata al ricorso si ammette che il lotto del ricorrente non era interamente suscettibile di utilizzazione a fini edilizi (anche se le conclusioni della relazione in questione sono diverse da quelle poste a base del provvedimento impugnato).

Tuttavia ritiene il Collegio che non sia necessario promuovere un accertamento istruttorio per verificare quale fosse la superficie effettivamente non asservita in quanto – anche se le conclusioni del comune risultassero confermate – il provvedimento di annullamento risulterebbe comunque illegittimo.

6. Le ragioni d’illegittimità sono essenzialmente due.

6.1. Innanzitutto è condivisibile l’assunto del ricorrente secondo cui è stata violata una sua condizione di qualificato affidamento.

Da quel che è dato dedurre dagli atti depositati, il ricorrente ha acquistato il suolo in questione nel 1999 (di veda la visura catastale depositata dal comune), mentre la particella n. 57 era stata oggetto di frazionamento prima del 1979 in funzione di una vendita avvenuta in quell’anno (si veda il provvedimento di sospensione).

Non è quindi inverosimile che il ricorrente nulla sapesse dell’asservimento parziale del lotto; in questa prospettiva non può dirsi che il comune sia stato indotto in errore da una "infedele rappresentazione" della condizione giuridica del lotto, come si legge nel provvedimento impugnato; è invece più corretto ritenere, in difetto di elementi (che il comune avrebbe dovuto fornire) che lascino presumere una mancanza di buona fede del signor L., che il rilascio del permesso di costruire del 2006 sula base di una inesatta rappresentazione della volumetria realizzabile sia una esclusiva responsabilità del comune, aggravata dal fatto che l’istanza di concessione era stata presentata sin dal 1999; in pratica è condivisibile l’assunto del ricorrente – dato che l’annullamento si fonda su un’analisi di documenti che il comune aveva a propria disposizione sin dall’epoca dell’istanza di concessione e non di elementi acquisiti successivamente al rilascio del permesso di costruire – che il comune ha colpevolmente omesso ogni verifica determinando il consolidamento di una situazione di affidamento in ordine alla realizzabilità dell’intervento progettato; il sacrificio di questa condizione avrebbe pertanto richiesto un supporto motivazionale specifico di cui nell’atto impugnato non vi è traccia.

6.2. A ciò si aggiunge che effettivamente risultano violate le regole sull’annullamento stabilite dall’articolo 21nonies citato.

Anzitutto – in ordine ai tempi – difficilmente potrebbe ipotizzarsi la loro ragionevolezza, tanto più che – lo si ripete – non risulta che l’annullamento poggi su elementi diversi dall’esame dei documenti che il comune aveva a disposizione nei propri archivi sin dall’epoca della presentazione della istanza di concessione edilizia.

Quanto alla motivazione il provvedimento è assolutamente carente in punto di comparazione degli opposti interessi, dato che si limita ad affermare – quasi in forma di clausola di stile – la prevalenza dell’interesse pubblico e non viene in alcun modo tenuta in conto la condizione di affidamento del ricorrente.

A ciò si aggiunge che vi è anche un profilo di parziale contraddittorietà e illogicità dato che in precedenza il comune aveva ritenuto – sia pure ai diversi fini paesaggistici – che il manufatto realizzato potesse essere mantenuto, essendo riassorbibile nel contesto vincolato, in considerazione del fatto che era stato realizzato conformemente a un progetto approvato dal comune. In questa prospettiva appare poco razionale che si adombri persino l’annullamento dell’originaria autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2005.

7. Il provvedimento di annullamento deve quindi essere annullato. La domanda di risarcimento dei danni è invece inammissibile per la sua assoluta genericità e per la mancanza della stessa allegazione del danno.

8. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte e, per l’effetto, annulla il provvedimento prot. n. 3615 del 29 gennaio 2009 del Dirigente del VII settore – urbanistica e assetto del territorio del comune di Gaeta.

Condanna il comune di Gaeta al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro tremila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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