Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-09-2011, n. 18870 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ale.
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 14 febbraio 1996 la INDUSTRIE AERONAUTICHE E MECCANICHE RINALDO PIAGGIO s.p.a. in amministrazione straordinaria conveniva dinanzi al Tribunale di Genova la DORNIER LUFTFHART GmbH, nonchè la INTERNATIONAL FACTORS ITALIA s.p.a.- IFITALIA ed il MINISTERO DELLA DIFESA per sentir dichiarare l’inefficacia, L. Fall., ex art. 67, di vari atti solutori, per complessive L. 30 miliardi circa, eseguiti mediante cessioni di crediti vantati nei confronti del Ministero della Difesa – dopo che quest’ultimo aveva rifiutato il pagamento diretto alla Dornier in veste di mandataria in rem propriam all’incasso – e delegazioni di pagamento all’Ifitalia, a copertura del prezzo di acquisto di tre aeromobili, destinati al Ministero della Difesa-Costarmaereo, oltre parti di ricambio e prestazioni accessorie, acquistati presso la Dornier Luftfhart GmbH. Esponeva che tali modalità solutorie erano state concordate sulla base di un piano di rientro dopo che si era palesata un evidente crisi economica della Piaggio.

Nel costituirsi in giudizio, quest’ultima eccepiva, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione e nel merito l’assenza sia del requisito oggettivo dell’azione revocatoria – dal momento che le cessioni e il mandato irrevocabile all’incasso non costituivano mezzi di pagamento, bensì di garanzia – sia di quello soggettivo della conoscenza dell’altrui stato d’insolvenza.

Ifitalia dichiarava la propria disponibilità a rimettere la residua somma di L. 3.035.449.000 all’avente diritto e il Ministero della Difesa, a sua volta, chiedeva accertarsi la piena legittimità dei pagamenti effettuati.

La causa veniva sospesa, con remissione alla Corte di giustizia delle Comunità europee per la valutazione di compatibilità della L. 3 aprile 1979, n. 95, istitutiva dell’amministrazione straordinaria (c.d. Legge Prodi), con l’art. 92 del Trattato della Comunità europea.

Con sentenza 17 giugno 1999, la Corte di giustizia delle Comunità europee negava la propria competenza ad interpretare il diritto nazionale; ma prefigurava i limiti di compatibilità della c.d. Legge Prodi, statuendo che costituiva illegittimo aiuto di Stato l’autorizzazione a continuare l’attività di impresa in circostanze in cui tale eventualità sarebbe stata esclusa dalla legge fallimentare, o beneficiando di vantaggi, a titolo di jus singulare:

quali garanzie di Stato, riduzione di imposte, abbattimento di sanzioni, o rinunzia a crediti pubblici.

In sede di riassunzione della causa, dopo la pronuncia della Corte europea, la Piaggio dava atto che il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato aveva autorizzato il programma industriale predisposto dai commissari straordinari e, per l’effetto, il complesso aziendale era stato alienato in data 9 novembre 1998;

con la conseguenza che la fase di gestione provvisoria, già prorogata di un biennio, sì era definitivamente conclusa il 28 novembre 1998 e che la Piaggio si trovava in fase di liquidazione.

Il giudizio veniva quindi riunito con un secondo processo promosso dalla Piaggio con atto di citazione notificato il 23 novembre 1999, con reiterazione della domanda revocatoria ma allegazione di nuovi elementi di fatto: quali la cessazione dell’esercizio dell’impresa e l’avvenuta vendita del complesso aziendale.

Veniva quindi proposto dalla Piaggio regolamento preventivo di giurisdizione, deciso dalla Corte di cassazione con dichiarazione di sussistenza della giurisdizione italiana, in considerazione dell’indubbia natura concorsuale della procedura di amministrazione straordinaria.

Con sentenza 22 novembre 2001 il Tribunale di Genova, ritenuta l’incompatibilità della L. n. 95 del 1979 con gli artt. 92 e 93 del Trattato Ce, con conseguente inapplicabilità al caso in esame, respingeva le domande attrici e condannava l’attrice alla rifusione delle spese di giudizio.

In accoglimento del successivo gravame del commissario giudiziale, la Corte d’appello di Genova, con sentenza 1 dicembre 2006, dichiarava l’inefficacia nei confronti della massa dei creditori sia dei pagamenti effettuati dalla Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in bonis in favore della Dornier Luftfhart GmbH per gli importi contestualmente indicati, sia della delegazione di pagamento all’Ifitalia per la somma di L. 6.091.696.582;

dichiarava improcedibile la domanda proposta dal commissario giudiziale per la restituzione delle somme relative ai pagamenti revocati e compensava per la metà le spese di entrambi gradi di giudizio, ponendo la residua frazione a carico della DORNIER; mentre compensava per l’intero le spese dei due gradi rispetto alle altre parti.

Motivava:

– che già la Commissione Ce, a conclusione di un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia, aveva precisato che la L. n. 95 del 1979 rinviava, per vari aspetti, alla disciplina del fallimento, con misure generali prive di carattere selettivo e discriminatorio; e al dictum si era conformata la Corte di cassazione in varie pronunce, con cui si era affermata l’incompatibilità dell’azione revocatoria con la sola fase conservativa della procedura di amministrazione straordinaria e statuito che la finalità liquidatoria andava accertata al momento della decisione – quale condizione dell’azione, e non presupposto processuale – anche se, nelle more, fosse stato ceduto il complesso aziendale;

– che nel caso in esame il commissario giudiziale aveva promosso l’azione revocatoria con atto di citazione notificato il 23 novembre 1999: e dunque, ben oltre la conclusione della gestione provvisoria e la scadenza del termine massimo per l’esercizio provvisorio, non essendo necessario al riguardo un formale provvedimento ministeriale;

– che, sotto il profilo processuale, l’effettiva sussistenza di un aiuto di stato, causa di illegittimità della disciplina, integrava un’eccezione sostanziale che non era stata sollevata tempestivamente dalla parte resistente, onerata altresì della relativa prova;

– che, in ordine all’elemento oggettivo della fattispecie revocatoria, costituivano mezzi anomali di pagamento eseguiti nel periodo sospetto biennale le cessioni di credito e la delegatio promittendi all’Ifitalia: restando indimostrata, e comunque irrilevante ai fini della revocabilità, la loro natura di garanzia;

mentre era invece atto neutro il mandato irrevocabile all’incasso conferito dalla società debitrice;

– che il piano di rientro concordato costituiva prova dell’elemento psicologico della conoscenza dello stato di insolvenza per i pagamenti diretti avvenuti nell’anno anteriore al 28 novembre 1994, data del provvedimento ministeriale di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria;

– che il fallimento in Germania della Fairchild Dornier GmbH rendeva impossibile la domanda di condanna alla restituzione delle somme pagate.

Avverso la sentenza, non notificata, l’insolvenzerwaltung Fairchild Dornier GmbH proponeva ricorso per cassazione notificato il 14 gennaio 2010, articolato in nove motivi ed ulteriormente illustrato con memoria.

Deduceva:

1) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sull’eccezione di inapplicabilità della L. n. 95 del 1979;

2) la violazione dell’art. 88, n. 3, degli artt. 234 e 249 del Trattato istitutivo dell’Unione europea, dell’art. 11 Cost., dell’art. 2909 c.c. e segg. e dell’art. 324 cod. proc. Civ.;

3) la violazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 27 e 49 erroneamente applicati in via analogica alle procedure di amministrazione straordinaria disposte in virtù della L. n. 95 del 1979 nella parte in cui la corte territoriale aveva ritenuto ammissibile l’azione revocatoria in quanto proposta nel corso della fase liquidatoria: sebbene l’originaria Legge Prodi non prevedesse un procedimento bifasico;

4) l’insufficienza della motivazione nell’attribuire all’amministrazione straordinaria della Piaggio una finalità liquidatoria, benchè essa avesse invece scopo di risanamento, con conservazione dei posti di lavoro, incompatibile con l’azione revocatoria;

5) la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. dell’art. 167 c.p.c. perchè la corte aveva ritenuto che la presenza di un aiuto di Stato si configurasse come eccezione sostanziale, il cui onere probatorio ricadeva sulla parte che l’aveva sollevata, anzichè come eccezione rilevabile d’ufficio di incompatibilità astratta della legge Prodi nel suo complesso con la normativa comunitaria;

6) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia sull’eccezione di incostituzionalità, per eccesso di delega, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, comma 1, in contrasto con gli artt. 70, 76 e 77 Cost., nonchè della L. n. 273 del 2002, art. 7, comma 3, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.

7) l’inosservanza dell’art. 2903 cod. civ. e della L. Fall., art. 67, per omesso rilievo della prescrizione dell’azione revocatoria, proposta, la seconda volta, nel febbraio del 2000, e quindi oltre il termine di cinque anni dal decreto di ammissione all’amministrazione straordinaria emesso in data 28 novembre 1994;

8) la violazione dell’art. 184 cod. proc. civ. perchè la corte d’appello non aveva fissato l’udienza ivi prevista e mai tenutasi in primo grado;

9) la carenza di motivazione in ordine alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza, non avendo la corte d’appello dato ingresso ai mezzi istruttori all’uopo dedotti (prova testimoniale, richiesta di informazioni alla Presidenza del consiglio dei ministri, istanza di esibizione ex art. 110 cod. proc. civ.).

Resisteva con controricorso, e successiva memoria illustrativa la Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in amministrazione straordinaria.

Anche il Ministero della Difesa si costituiva con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale in due motivi in cui deduceva:

1) la violazione dell’art. 132 cod. proc. Civ., perchè il dispositivo della sentenza dalla Corte d’appello di Genova non riproduceva la decisione sulla legittimità dei pagamenti effettuati dal ministero;

2) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia su uno specifico motivo di impugnazione, concernente la questione sopra indicata.

Al ricorso incidentale resisteva con controricorso la Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in amministrazione straordinaria.

L’International Factors Italia-Ifitalia s.p.a. non svolgeva attività difensiva.

All’udienza del 4 luglio 2011, riuniti i ricorsi, il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

Il motivo è infondato.

Il giudice di appello viola la disposizione dettata dall’art. 112 cod. proc. civ., quando manca di esaminare un motivo di appello od una domanda od eccezione che solo la parte può proporre e che l’appellato ha riproposto o proposto nei modi a lui consentiti ( artt. 343 e 346 cod. proc. civ.); non anche quando omette dì esaminare un’eccezione rilevabile di ufficio, qual’è quella di cessazione della vigenza di una legge abrogata (Cass., sez. unite, 11 gennaio 2008, n. 578; Cass., sez. 3, 6 giugno 2002, n. 8220).

D’altro canto, rispetto all’applicazione o violazione di una norma, riguardi il rapporto sostanziale od il processo, non rileva la presenza od assenza di una motivazione; bensì, che il punto da decidere sia stato risolto in modo conforme a diritto ( art. 384 c.p.c., comma 2): tanto più se la decisione di rigetto sia implicita e desumibile dai contesto complessivo della motivazione (Cass., sez. 1^, 23 Giugno 2008, n. 17028; Cass., sez. 3, 21 febbraio 2006, n. 3667; Cass., sez. 2, 24 Giugno 2005, n. 13649). Nella specie, non è stato neppure precisato se il preteso errore di diritto consistente nell’applicazione della legge 95/1979 oltre i limiti temporali previsti all’art. 6 ter (rubricato come "Durata di applicazione": Le disposizioni del presente decreto si applicano sino all’entrata in vigore di una nuova legge di riforma del regime delle società) – e cioè, in concreto, fino all’1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma del diritto societario ( D.Lgs. n. 6 del 2003) – assurgesse, nell’atto d’appello, a specifico motivo di gravame, o non, piuttosto, a mera argomentazione difensiva nel contesto di una censura più ampia. Sotto questo profilo, il ricorso pecca dunque di autosufficienza precludendo, già in astratto, la configurabilità di un’omessa pronunzia ex art. 112 cod. proc. Civ..

Per completezza d’analisi va comunque rilevata l’infondatezza anche sostanziale dell’eccezione.

In tesi generale, l’abrogazione pone un termine finale di vigenza della norma, entro il quale valutare la maturazione della fattispecie in tutti i suoi elementi essenziali. Nella specie, il riferimento ultimativo alla riforma del diritto societario non faceva certo venir meno l’applicazione della c.d. Legge Prodi ad una procedura di amministrazione controllata già in corso (inclusa la fase liquidatoria) ben prima dell’entrata in vigore della novella 6/2003:

in conformità con la regola ordinaria della successione delle leggi nel tempo, puntualmente riprodotta nella disciplina di coordinamento intertemporale contenuta nel D.Lgs. 8 Luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza: c.d. Prodi bis), e dunque, anteriore alla riforma del diritto societario (art. 106: "Salvo quanto previsto dal comma 3, le procedure di amministrazione straordinaria in corso alla data di entrata in vigore de presente decreto continuano ad essere regolate dalle disposizioni anteriormente vigenti..). Tanto più che le azioni revocatorie non costituiscono certo uno jus singolare;

sibbene, costituiscono uno strumento recuperatorio della par condicio creditorum, connaturale alla disciplina concorsuale del fallimento e della liquidazione coatta amministrativa (nella quale si è convertita l’originaria procedura di amministrazione straordinaria:

L. 12 dicembre 2002, n. 273, art. 7, comma 3, – Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza).

Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 88, n. 3, degli artt. 234, e 249 del Trattato istitutivo dell’Unione europea, dell’art. 11 Cost., dell’art. 2909 c.c. e segg. e dell’art. 324 cod. proc. civ..

Sotto un primo profilo, la corte territoriale avrebbe disapplicato, secondo il ricorrente, il vincolo processuale derivante dalla sentenza emessa dalla Corte di giustizia CE, adita dal Tribunale di Genova.

La critica non coglie nel segno.

La Corte di giustizia ha fornito una risposta articolata ai quesiti posti, rimettendo al giudice nazionale l’accertamento di merito se i provvedimenti statali costituissero aiuti di Stato nell’ambito di parametri di valutazione contestualmente enucleati: con riguardo alla continuazione dell’attività di impresa in circostanze in cui sarebbe stata inibita secondo la disciplina generale del fallimento, o al beneficio di garanzie dello Stato, o ancora alla riduzione delle aliquote d’imposta, a rinunzie a crediti pubblici, all’esenzione eccezionale da sanzioni pecuniarie, ecc. In applicazione dei predetti principi – che prefiguravano una incompatibilità solo ipotetica e selettiva, limitata agli aiuti di Stato non consentiti: con esclusione, a contrario, dell’illegittimità della legge nella sua interezza – il giudice di appello è pervenuto alla conclusione, conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, che non costituiscano aiuti di Stato le azioni revocatorie promosse nella fase liquidatoria: proprio in ragione del loro carattere generale ed ordinario, reso evidente dalla loro collocazione sistematica nell’ambito della disciplina fallimentare.

Sotto questo profilo, il fallimento Fairchild prospetta una valutazione di contrasto della legge Prodi con il trattato comunitario senza addurre elementi di novità che inducano ad un riesame critico della giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass, sez. 1^, 8 luglio 2009 n. 16049; Cass. 9 aprile 2008 n. 9177;

Cass., sez. 1, 19 gennaio 2007, n. 1152).

Con il terzo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 27 e 49, in quanto applicati analogicamente alle procedure di amministrazione straordinaria disposte in virtù della L. n. 95 del 1979.

In sostanza si nega la configurabilità, all’interno della prima legge Prodi, di una struttura bifasica, caratterizzata dalla successione ad un primo segmento procedurale di natura gestoria di una procedura liquidatoria finale: secondo una configurazione delineata dalla giurisprudenza senza alcun testuale appiglio normativo. Ne conseguirebbe, nell’ottica della verifica dell’insussistenza di aiuti di Stato, l’erroneità de giudizio di compatibilità dell’azione revocatoria con una fase di liquidazione non distinguibile dalla perdurante gestione dell’impresa: tanto più se l’apertura della liquidazione fosse configurata come condizione dell’azione revocatoria, e non come presupposto processuale a pena di inammissibilità già in sede di edictio actionis.

Pur in questa specifica prospettazione, la censura è infondata.

Ribadito che la questione di fondo dell’incompatibilità dell’azione revocatoria fallimentare con la normativa comunitaria è stata ripetutamente sottoposta a questa Corte di legittimità trovando soluzioni sempre contrarie alla tesi, si osserva come la giurisprudenza più recente di legittimità abbia anzi superato le affermazioni delle decisioni 27.12.1996 n. 11519 e 23 giugno 2000 n. 8539, che avevano considerato centrale nell’amministrazione straordinaria, la funzione conservativa dell’impresa; al punto da ritenere l’azione revocatoria coerente con le finalità della procedura solo a partire dall’inizio della liquidazione dei beni.

Il nuovo indirizzo (Cass., sez. 1^, 8 luglio 2009, n.16049; Cass. Sez. 1^, 9 aprile 2008, n. 9177; Cass., sez. 1^, 19 gennaio 2007, n. 1152) mette invece in rilievo che, sebbene nella amministrazione straordinaria possa ritenersi prevalente la finalità del risanamento dell’impresa sui profili liquidatori, l’azione revocatoria, nella previsione della L. n. 95 del 1979, non era preordinata alla continuazione dell’impresa e all’attuazione del programma di risanamento, bensì a produrre risorse da destinare alla espropriazione forzata a fini satisfattori: restando irrilevante che il bene così recuperato non fosse destinato immediatamente alla liquidazione e ai riparto tra i creditori, ma solo al termine del tentativo di risanamento. Corollario di tale diversa impostazione è che la finalità del risanamento e quella satisfattiva non corrispondono a due distinti snodi temporali della procedura, potendo le attività liquidatoria e distributiva dell’attivo essere svolte anche durante la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa.

Dalla disamina testè conclusa deriva l’assorbimento del quarto motivo, concernente l’insufficienza della motivazione nell’attribuire all’amministrazione straordinaria della Piaggio una finalità liquidatoria.

Con il quinto motivo si denunzia la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., e dell’art. 167 cod. proc. Civ., perchè la corte ha ritenuto che la presenza di un aiuto di Stato integri un’eccezione sostanziale, il cui onere probatorio ricadrebbe sulla parte che l’ha sollevata.

Il motivo è infondato.

La doglianza confonde il principio astratto di incompatibilità con la normativa comunitaria, con l’allegazione, e prova, del fatto storico dell’aiuto di Stato che si assuma, in concreto, erogato:

oggetto, quest’ultimo, di eccezione in senso proprio, come tale soggetta al regime preclusivo dell’art. 345 cod. proc. civ..

Il sesto motivo contiene un’eccezione di illegittimità costituzionale,, per eccesso di delega, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, comma 1, per contrasto con gli artt. 70,76 e 77 Cost.;

nonchè dalla L. n. 273 del 2002, art. 7, comma 3, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.: questioni, di cui si lamenta l’omesso vaglio di non manifesta infondatezza da parte della corte territoriale.

Il motivo è inammissibile, dal momento che le norme citate non trovano applicazione nella fattispecie concreta, esclusivamente disciplinata, come detto, dalla L. 3 aprile 1979, n. 95, ratione temporis.

Il settimo motivo è inammissibile per inadeguatezza del quesito di diritto, di carattere del tutto astratto e generico, disancorato com’è dalla concreta statuizione, sul punto, della corte territoriale ("Dica la Corte di cassazione che l’azione revocatoria in sede fallimentare non è più proponibile oltre il quinquennio di cui all’art. 2903 cod. civ. in relazione alla L. Fall., art. 67, in quanto prescritta a norma delle citate disposizioni e se proposta deve essere dichiarata inammissibile").

Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 184 cod. proc. civ. per il mancato accoglimento della richiesta di fissare un’udienza di trattazione istruttoria.

Il motivo è infondato.

L’udienza destinata alle deduzioni istruttorie non è specificamente richiesta nel giudizio di appello; nè diventa ineludibile in forza della relatio generale di cui all’art. 359 cod. proc. civ. alla disciplina del primo grado di giudizio. L’art. 184 c.p.c., comma 1, (nel testo previgente, applicabile ratione temporis) fa salva l’ipotesi di causa matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, o assegnata in decisione su questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito ( art. 187 c.p.c., commi 1 e 3). L’immediata precisazione delle conclusioni che ne segue investe il collegio di tutta la causa, incluso il vaglio delle istanze istruttorie; che devono dunque essere, in ogni caso, compiutamente dedotte ( art. 189 c.c., comma 2): onde, nessun concreto pregiudizio al diritto di difesa – del resto neppure allegato dal fallimento Fairchild – può ravvisarsi nella mancata fissazione di un’udienza devoluta ad un’incombente istruttorio già svolto in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni.

Con l’ultimo motivo la ricorrente si duole della mancata ammissione di mezzi istruttori volti a dimostrare la data in cui si sarebbe manifestata l’insolvenza.

Sotto questo profilo, la prova è irrilevante, dal momento che il periodo sospetto è stabilito dalla L. Fall., art. 67; nè la censura mette in evidenza alcun vizio motivo dell’accertamento della scientia decoctionis.

A sua volta, il ricorso incidentale del Ministero della Difesa si palesa inammissibile per difetto di interesse; dal momento che la Corte d’appello di Genova ha rigettato il gravame della I.A.M.R. Piaggio in amm. straord. avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dato atto della piena legittimità dei pagamenti effettuati dal Ministero.

Le spese seguono la soccombenza tra il fallimento Fairchild Dornier GmbH e le Industrie Aeronautiche Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero di complessità delle questioni svolte.

Vanno invece compensate tra le predette parti e il Ministero della Difesa in considerazione dell’assenza di una reale contrapposizione, in questo grado.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale;

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale del Ministero della Difesa;

Condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla procedura di amministrazione straordinaria, liquidate in complessivi Euro 30.200,00, di cui Euro 30.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge;

Compensa le spese di giudizio nei confronti del Ministero della Difesa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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