Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-02-2011) 16-05-2011, n. 19252

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 2.3.2010 il Giudice Monocratico del Tribunale di Rovigo confermava nei confronti di B.R. la sentenza emessa in data 16.6.2009 dal Giudice di Pace di Lendinara, con la quale il predetto appellante era stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 582 e 612 c.p., e condannato alla pena di Euro 500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile – S.L., in qualità di genitore esercente la potestà sul minore.

In particolare si era contestato all’imputato il delitto di cui all’art. 612 c.p. per avere minacciato un ingiusto danno al minore figlio di S.L., con le frasi "Ti uccido" e, rivolgendosi alla madre del ragazzo "io tuo figlio lo picchio" in tal senso tradotte dal gergo dialettale.

All’imputato era stato contestato altresì il delitto di cui all’art. 582 c.p. per avere schiaffeggiato il minore in presenza della madre, cagionandogli lesioni giudicate guaribili in giorni quattro.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore.

1 – Con il primo motivo deduceva la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’applicazione dell’art. 612 c.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

A riguardo evidenziava che secondo quanto eccepito innanzi al giudice, la difesa riteneva che S.L., querelante, non fosse legittimata a costituirsi come parte civile in proprio, e nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore – (persona offesa, T.M.).

Rilevava a sostegno del motivo di impugnazione che alcuna offesa era stata arrecata alla S., onde si sarebbe dovuta ritenere l’inammissibilità della costituzione della predetta, come parte civile in proprio, e in tal senso il ricorrente ne chiedeva l’estromissione dal giudizio.

Tale eccezione era stata formulata innanzi al giudice per il contenuto della espressione indicata in rubrica, ove si asseriva che l’imputato avesse rivolto la minaccia di ingiusto danno alla S., pronunziando in sua presenza la frase: "Io tuo figlio lo picchio" (come trascritto, dal gergo dialettale).

– Il ricorrente contestava peraltro la valenza intimidatoria di tale espressione.

2 – Con il secondo motivo di impugnazione, si deduceva erronea applicazione dell’art. 612 c.p. – per difetto degli elementi costitutivi del reato – (con rilievi circa le ragioni per le quali l’imputato, definito come persona in età matura, aveva solo voluto rimproverare il figlio della S., al quale egli aveva rivolto delle domande, per verificare se era tra coloro che avevano lanciato dei sassi, il giorno precedente, contro l’abitazione di un vicino).

– Peraltro il ricorrente rilevava che si sarebbe trattato di condotta conseguente ad una "provocazione", che il giudice avrebbe potuto ritenere, anche se non avvalorata dalle dichiarazioni testimoniali, in base alle dichiarazioni rese dall’imputato.

3 – Con il terzo motivo la difesa, deduceva la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per insussistenza degli elementi costitutivi del reato ex art. 582 c.p..

Il difensore a riguardo evidenziava che per le lesioni (che si ritenevano cagionate da uno schiaffo dato al ragazzo, T. M. – in presenza della madre, S.L.) la motivazione resa dal Giudice di pace appariva lacunosa e contraddittoria, oltre che smentita da quanto aveva riferito in modo contraddittorio la persona offesa, ed alcuni testi.

Peraltro il ricorrente censurava la sentenza per non aver dato peso alle dichiarazioni dell’imputato, che aveva negato di avere schiaffeggiato il ragazzo, ed aveva solo asserito di averlo preso per il bavero, quando lo aveva visto per il comportamento volgare e provocatorio che il giovane aveva manifestato verso di lui deridendolo (v. fl.8 del ricorso).

4 – Con il quarto motivo la difesa censurava la sentenza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ( art. 62 c.p., n. 2 e art. 133 c.p.), e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in ordine alla mancata applicazione della provocazione.
Motivi della decisione

Il ricorso risulta privo di fondamento.

Quanto al primo motivo si osserva che la madre del minore è evidentemente legittimata alla costituzione di parte civile, oltre che nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore persona offesa dai reati ascritti all’imputato, in proprio, essendo destinataria della frase riportata in rubrica ("Mi to fiolo lo meno").

La questione della legittimazione della parte civile risulta peraltro correttamente valutata alla luce della ricostruzione dei fatti, e dunque il motivo di ricorso si rivela meramente ripetitivo di questione compiutamente e correttamente vagliata in sentenza.

Si rivelano al limite della inammissibilità, pertanto, le argomentazioni difensive con le quali si tende a negare che la minaccia sia stata rivolta anche alla madre del minore, dovendosi rilevare alla stregua di quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata che trattasi di argomentazioni tendenti alla diversa interpretazione delle risultanze processuali, in assenza di riferimento a dati probatori trascurati dai giudici di merito.

2 – Quanto al secondo motivo,si rileva che esso appare indirizzato a negare l’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 612 c.p. laddove,tale reato è caratterizzato da dolo generico, come si desume da pronunzie di questa Corte (v.Sez., 27 maggio 1981, n. 4957 (secondo la quale "Per la sussistenza del dolo nel delitto di minaccia basta la coscienza e volontà dell’azione, indipendentemente dal fine specifico che il soggetto attivo vuole perseguire nei confronti del soggetto passivo".

Nè possono assumere rilevanza le eventuali intenzioni del soggetto agente dirette a realizzare uno scopo educativo verso il minore,o la eventuale reazione a comportamento provocatorio del destinatario della minaccia.

A riguardo basta citare Cass. Sez. 5 sentenza in data 8 aprile 1982,n. 3718, Mariotti – per cui "L’ingiustizia del male minacciato e, quindi, l’illegittimità del fatto costituente il delitto di cui all’art. 612 c.p., non viene meno anche se non risulti ingiusto il motivo che è alla base dell’azione criminosa, a meno che non appaiano legittimi tanto il male minacciato quanto il mezzo usato per l’intimidazione".

Pertanto restano ininfluenti i rilievi con i quali la difesa censura la sentenza per non aver tenuto conto della reazione possibile dell’imputato ad un gesto provocatorio rivolto al predetto dal minore.

3 – Quanto alle deduzioni attinenti al delitto di lesionasse si rivelano prive di fondamento, essendo la sentenza adeguatamente motivata sul punto, ed avendo correttamente valutato l’esistenza delle lesioni in base alla documentazione medica, che per la natura giuridica assume autonoma rilevanza probatoria, anche in assenza di deposizione del sanitario autore della certificazione, e d’altra parte il giudizio risulta fondato ritualmente sulla deposizione resa dalla madre del minore, che risulta vagliata nella globalità delle risultanze, escludendosi ogni sostanziale contraddittorietà degli elementi di prova.

In tal senso la sentenza appare coerente e in sintonia con i criteri di valutazione delle prove dettati dal legislatore, avendo la prova documentale autonoma rilevanza, v. sul punto Cass.Sez. 3, 16 marzo 1998,n. 3259, Zizzo, in Arch. Nuova proc.pen.l998, 207 – per cui il certificato medico attestante tracce di un reato sul corpo della persona offesa (- nella specie trattatasi di tracce riconducibili a violenza sessuale su minore) – si ritiene legittimamente utilizzabile "quale prova documentale ai sensi dell’art. 234 c.p.p.".

Infine restano inammissibili le censure,di contenuto peraltro generico, con le quali si deduce l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 c.p., n. 2 e dell’art. 133 c.p. e contraddittorietà ed illogicità della motivazione inerente alla mancata applicazione della provocazione.

Invero la sentenza impugnata evidenzia che non risultavano dimostrati i presupposti per concedere l’attenuante invocata dalla difesa, argomentando con riferimento alle deduzioni dell’appellante, in modo logico e coerente.

Pertanto risulta correttamente esercitato il potere discrezionale del giudice di merito e deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso, che peraltro solo in senso generico deduce il vizio del provvedimento impugnato, restando incensurabile, in questa sede, la mancata applicazione di un’attenuante sulla quale il giudice di appello abbia motivato compiutamente, negandone i presupposti.

In conclusione la Corte deve pronunziare il rigetto del ricorso, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *