Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-02-2011) 16-05-2011, n. 19250

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 21-1-2010 la Corte di Appello di Messina, Sez. per i Minorenni – pronunziava la riforma parziale della sentenza emessa dal Tribunale per i Minorenni di Messina, in data 11.12.2008, nei confronti di E.G., imputato del reato di cui agli artt. 56 e 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2, per aver posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi, al fine di profitto, di denaro e quant’altro di valore in danno di C. C., nel cui studio dentistico si era introdotto, attraverso una finestra,con aggravante di aver commesso il fatto con destrezza (fatto acc. in data (OMISSIS)).

Per tale reato il primo Giudice aveva inflitto la pena di mesi otto di reclusione, previa valutazione della diminuente della minore età come equivalente alla contestata aggravante, e la Corte aveva ridotto tale pena a mesi sei di reclusione ed Euro 150,00 di multa, secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p., ferma restando l’equivalenza della diminuente della minore età dell’imputato all’aggravante in precedenza richiamata.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo, con il primo motivo, la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

Rilevava al riguardo che la sentenza non era rispondente alle risultanze processuali, e viziata dalla erronea interpretazione delle norme giuridiche.

– Inoltre evidenziava che la Corte avrebbe dovuto ritenere la non punibilità dell’azione per difetto di imputabilità del minore.

A riguardo rilevava che secondo gli artt. 98 e 85 c.p., la capacità del minore va provata e non meramente presunta, e che – alla stregua della relazione dei servizi sociali che attestava le difficili condizioni della famiglia dell’ E. – risultava illogica la motivazione che aveva ritenuto la capacità di intendere e di volere dell’imputato, soggetto ultraquattordicenne, la cui incapacità si riteneva fosse emersa anche dalle dichiarazioni rese dall’ E. in dibattimento.

2- Con ulteriore motivo la difesa deduceva – quanto al merito – l’erronea applicazione dell’art. 56 c.p. che prevede la realizzazione di atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto, mentre nella specie, non si ravvisava alcun elemento in virtù del quale potesse ritenersi con certezza che l’imputato si fosse introdotto nello studio professionale della persona offesa con il fine specifico di sottrarre degli oggetti ivi contenuti.

3 – In altro senso si riteneva la motivazione inadeguata circa la applicazione delle attenuanti generiche.

– Si censurava altresì per illogicità e contraddittorietà la sentenza per avere ritenuto la sussistenza di un’aggravante diversa – ossia quella di violenza sulle cose – oltre l’aggravante dell’avere agito con destrezza.

Sul punto dunque la difesa chiedeva l’annullamento della sentenza,non ravvisando i presupposti per l’applicazione dell’art. 625 c.p., n. 4. 3 – Infine, chiedeva che il fatto contestato venisse inquadrato nella figura normativa del furto semplice, con declaratoria di non doversi procedere per difetto di querelaci sensi dell’art. 129 c.p.p..

In base a tali rilievi la difesa concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Quanto al primo motivo – che rileva l’erronea applicazione della legge enunciata dalle disposizioni di cui agli artt. 98 e 85 c.p. deve evidenziarsi che – pur avendo la giurisprudenza stabilito che la capacità di intendere e di volere del minore che abbia compiuto gli anni quattordici e non ancora i diciotto, non può ritenersi presunta, bensì debba essere accertata in concreto (cfr. tra le altre,Cass. Sentenza n. 6535 del 26.4.1979, RV. 142557).

E’, del pari pacifico che, ai fini di siffatta indagine, non è necessario l’esperimento di apposita perizia, in quanto l’accertamento delle anzidette capacità non è necessariamente vincolato a particolari accertamenti tecnico-specialistici, ma ben può essere affidato alla diretta valutazione del giudice, con ogni mezzo a sua disposizione e con riferimento al caso concreto"(v. in tal senso Sez. 5 – sentenza n.1706 del 12 novembre 2010, rel. Bruno – in proc. Muntean -).

Peraltro, nella specie, la Corte territoriale ha congruamente motivato sul punto.

Pertanto le censure formulate dalla difesa in ordine al giudizio di capacità del minore devono ritenersi, nella specie, prive di fondamento per ciò che concerne l’erronea applicazione degli artt. 98 e 85 c.p..

– Quanto al secondo motivo, che censura la applicazione dell’art. 56 c.p., deve evidenziarsi che le doglianze difensive appaiono in chiaro contrasto con le risultanze descritte in sentenza.

Invero, nella specie, il giudice ha correttamente ritenuto la configurabilità del tentativo di furto, nella condotta di colui che aveva cercato di introdursi in uno studio medico attraverso una finestra (introducendo una mano attraverso le sbarre di un’anta e avendo manovrato sulla maniglia, in modo da aprire l’imposta. La condotta descritta nell’imputazione giustamente risulta considerata tipica del tentativo di furto, avendo il soggetto agente cercato di entrare clandestinamente nel luogo adibito a studio professionale, all’evidente scopo di impossessarsi di beni ivi esistenti.

Peraltro, nella specie, la Corte ha evidenziato che lo stesso imputato aveva ammesso di avere agito allo scopo di impadronirsi di un pacchetto di sigarette. Conseguentemente non si ravvisa il vizio della motivazione, che – sia pure sinteticamente – ha espresso il convincimento del giudice di appello sulla sussistenza del fatto e della responsabilità dell’imputato.

Analogamente deve essere ritenuta correttamente realizzata la riduzione della pena, dopo aver considerato l’aggravante di avere agito con violenza sulle cose, e ritenendo condivisibile l’esclusione delle generiche stabilita dal primo giudice, (essendo l’imputato recidivo specifico).

Essendo adeguatamente motivata la riduzione della pena, avvenuta richiamando i criteri di cui all’art. 133 c.p., restano inammissibili i rilievi del ricorrente con i quali si definisce illegittima e contraddittoria la motivazione in ordine all’aggravante, essendo sul punto carente l’interesse della difesa, per l’avvenuta riduzione della pena, e d’altra parte essendo in fatto rappresentate nella imputazione sia l’aggravante dell’avere agito con destrezza che quella di avere agito con violenza sulle cose.

La Corte deve dunque pronunziare il rigetto del ricorso.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso.

Dispone l’oscuramento dei dati.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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