Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-04-2011) 17-05-2011, n. 19334 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 7 giugno 2010 il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta di sospensione dell’ingiunzione alla demolizione emessa il 29 dicembre 2008 dalla Procura della Repubblica di Roma in esecuzione della sentenza con la quale R.R. era stato condannato per violazione della normativa urbanistica, paesaggistica e sulla tutela delle aree protette.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione della L. n. 326 del 2003, art. 32 in relazione alla L. n. 47 del 1985, artt. 32 e 33 rilevando che, per le opere abusivamente realizzate, era stata presentata, nei termini, istanza di condono ai sensi della legge predetta e che erroneamente il giudice aveva rigettato la richiesta sull’erroneo presupposto della non sanabilità degli interventi abusivi eseguiti in area vincolata ad eccezione di quelli "minori" di cui alla L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 26, nn. 4 e 6 poichè, al contrario, tutti gli interventi edilizi in assenza di titolo abilitativo in zona vincolata dovevano ritenersi sanabili.

Tale considerazioni erano corroborate dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. 5 n. 5232, 7 settembre 2009) e da una diversa lettura della normativa in tema di condono edilizio e, segnatamente, della L. n. 47 del 1985, art. 32 come modificato dalla L. n. 326 del 2003 il quale ha ribadito la sanabilità delle opere eseguite in zona vincolata e resterebbe privo di senso se venissero considerati sanabili i soli abusi "minori" che non richiedono il permesso di costruire e non sono idonei a configurare neppure il reato paesaggistico.

Aggiungeva che la L. n. 326 del 2003, art. 32, commi 14 e 17 espressamente consentono la possibilità di sanare le opere edilizie abusive su aree pubbliche, anche se vincolate, previo parere da parte dello Stato, con la conseguenza incongrua che in tal caso le opere, anche rilevanti, sarebbero sanabili se eseguite su area di proprietà statale, mentre resterebbero esclusi gli abusi dello stesso genere eseguiti su area privata.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione in quanto il giudice dell’esecuzione si era limitato a richiamare l’indirizzo interpretativo fornito da questa Corte, rigettando la richiesta sulla base di un non condivisibile giudizio che riteneva automatica la non condonabilità delle opere eseguite in aree vincolate e senza fornire alcuna spiegazione in ordine alle specifiche doglianze, al contenuto degli atti acquisiti e senza valutare la sussistenza degli ulteriori requisiti di condonabilità individuati dalla giurisprudenza.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente ricordare che la costante giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, ha ripetutamente affermato, con riferimento al condono edilizio introdotto con la menzionata L. n. 326 del 2003, che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire non è suscettibile di sanatoria (v. da ultimo, Sez. 3, n. 16471, 28 aprile 2010, nonchè ex. pl. Sez. 3, n. 35322, 21 settembre 2007; Sez. 3, n. 38113, 21 novembre 2006; Sez. 4, n. 12577, 5 aprile 2005).

In altra occasione, nel ribadire il concetto, si è anche fornita dettagliata confutazione di alcune posizioni dottrinarie divergenti che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle disposizioni menzionate (Sez. 3, n. 6431,15 febbraio 2007).

Tale ultima pronuncia evidenziava, tra l’altro, l’inequivocabile contenuto della Relazione governativa al D.L. n. 269 del 2003 che chiariva alcuni dubbi interpretativi e non smentiva il tenore delle disposizioni successivamente emanate.

In particolare, con riferimento alle conseguenze delle modifiche apportate alla L. n. 47 del 1985, art. 32 richiamate anche in ricorso, in detta decisione si osservava che la lettura della norma che riteneva incongrua la condonabilità dei soli abusi minori non poteva condividersi in quanto:

anche l’effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che può avere sul paesaggio già il solo rifacimento totale dell’intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto esteriore);

la previsione della L. n. 47 del 1985, art. 32, ben si spiega con riferimento ai "vincoli" di natura diversa da quello paesaggistico e, quanto a quest’ultimo vincolo, può comunque correlarsi ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 143, comma 5 – lett. b, nonchè a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali; – per l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica la conferenza di servizi non è imprescindibilmente obbligatoria".

Quanto alla L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 17 si osservava che tale disposizione è riferita alle "opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale". Essa però: è significativamente limitata dall’esclusione (posta dal precedente comma 14) "del demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonchè dei terreni gravati da diritti di uso civico" (immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege); non comporta certamente, quale inevitabile conseguenza, che – nel caso di nuove costruzioni realizzate abusivamente su suolo di proprietà dello Stato e soggetto a vincolo paesaggistico, idrogeologico o forestale – queste possano essere sanate ed il trasgressore possa anche acquistare il suolo sul quale sono state realizzate, previa disponibilità dello Stato a cederlo ed acquisizione del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. La disposizione va correttamente interpretata, invece, sempre alla stregua dell’ermeneusi della L. n. 47 del 1985, art. 32, dianzi illustrata, tenendo conto dell’ampia nozione di "vincolo" che detto articolo presuppone".

Tali condivisibili conclusioni evidenziano, dunque, come sia del tutto inaccettabile la lettura delle disposizioni richiamate ipotizzata nel ricorso.

Del tutto inconferente appare inoltre la giurisprudenza del giudice amministrativo invocata quale precedente di rilievo in quanto attinente a diversa fattispecie, relativa al condono edilizio di cui alla L. n. 724 del 1994 che per le opere in zona vincolata prevedeva un diverso regime.

Date tali premesse, deve rilevarsi come la pronuncia impugnata sia del tutto immune dai vizi denunciati.

Essa si fonda, infatti, su una applicazione delle disposizioni in tema di condono edilizio fondata sulla consolidata giurisprudenza di questa Corte puntualmente richiamata disattendendo, quindi, ogni soluzione interpretativa alternativa.

Il giudice dell’esecuzione ha inoltre tenuto conto del rilievo assorbente assunto dalla mancanza della condizione di condonabilità accertata e correttamente, dopo aver verificato la sussistenza di una condizione ostativa alla rilascio del condono, ha rigettato la domanda di sospensione non essendovi alcuna necessità di verificare la esistenza o meno degli altri requisiti di condonabilità (v. Sez. 3, 38113/06 cit.).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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