T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 17-05-2011, n. 730 Distanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti E.B. e F.M. erano all’epoca dei fatti comproprietari di un lotto situato nel Comune di Bergamo in via Previtali (mappale n. 2888). Su tale area insistono un edificio adibito a negozio con sovrastante abitazione e un capannone adibito a officina meccanica.

2. Lungo la medesima via, a confine con la proprietà dei ricorrenti, si trova il compendio immobiliare della controinteressata Bajmar srl. L’area della controinteressata è inserita in un programma integrato di recupero, che a suo tempo era stato impugnato dai ricorrenti davanti a questo TAR con il ricorso n. 1547/1995. In attuazione di tale programma il Comune ha dapprima autorizzato la demolizione dei fabbricati esistenti e poi rilasciato la concessione edilizia n. 13661 del 10 luglio 1996 per la realizzazione di nuovi edifici.

3. Contro la suddetta concessione i ricorrenti hanno presentato impugnazione con atto notificato il 4 novembre 1997 e depositato il 14 novembre 1997. Le censure si possono così sintetizzare: (i) illegittimità derivata rispetto al programma integrato di recupero; (ii) violazione dell’art. 45 del regolamento edilizio, che impone un distacco tra edifici di almeno 10 metri (la distanza tra l’edificio dei ricorrenti posto più vicino al confine e l’edificio della controinteressata che lo fronteggia è di circa 6 metri); (iii) violazione dell’art. 4 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, in quanto la controinteressata non avrebbe la disponibilità dell’intera area (nel compendio immobiliare scorrono la roggia Colleonesca e la roggia Oriolo Grasso); (iv) violazione del DM 1 febbraio 1986 (Norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio di autorimesse e simili), in quanto la rampa di accesso alle autorimesse interrate della controinteressata si trova al di sotto della finestra del confinante edificio dei ricorrenti, con inevitabili problemi dovuti ai gas di scarico e ai rumori.

4. Il Comune e la controinteressata si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. La controinteressata ha precisato, rispondendo a un’obiezione dei ricorrenti, che il ritardo nell’inizio dei lavori è stato causato dalla necessità di acquisire l’autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici a tutela dei tratti di mura medievali ("muraine") individuati durante gli scavi di fondazione.

5. In corso di causa i ricorrenti hanno alienato a terzi la proprietà dei loro immobili. Questi ultimi sono poi stati completamente ristrutturati nell’ambito di un piano di recupero sulla base della convenzione stipulata il 22 maggio 2008. Peraltro questi sviluppi non cancellano l’interesse dei ricorrenti a ottenere una pronuncia di merito che, pur non avendo conseguenze sulla situazione giuridica degli edifici, sia utilizzabile in un successivo giudizio focalizzato sulla responsabilità del Comune sotto il profilo risarcitorio. Sostengono infatti i ricorrenti di aver ceduto la loro proprietà a condizioni peggiori rispetto a quelle che avrebbero potuto essere contrattate se l’edificazione della controinteressata non fosse stata autorizzata o fosse stata autorizzata con un contenuto diverso. Tanto basta a conservare la possibilità di esaminare in dettaglio i vizi contestati al provvedimento oggetto di impugnazione.

6. Sulle questioni proposte dai ricorrenti si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) il rilievo fondato sull’illegittimità derivata della concessione edilizia rispetto al programma integrato di recupero ha perso ogni consistenza in seguito alla perenzione del ricorso n. 1547/1995 dichiarata da questo TAR con decreto presidenziale n. 1209 del 15 settembre 2006;

(b) la prescrizione del distacco minimo di 10 metri tra edifici prevista dall’art. 45 comma 1 del regolamento edilizio ricalca le disposizioni dell’art. 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444, il quale al di fuori della zona A (centro storico) prescrive la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Peraltro il regolamento edilizio è ancora più rigoroso, in quanto impone il distacco minimo indipendentemente dalla presenza di finestre;

(c) in realtà l’art. 45 del regolamento edilizio, riprendendo anche in questo l’art. 9 del DM 1444/1968, introduce immediatamente un’eccezione importante, ossia definisce valide non solo le minori distanze previste dal piano regolatore ma anche quelle stabilite dai piani attuativi (piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate). Collegandosi a tale norma il Comune e la controinteressata sostengono che la distanza di circa 6 metri rispetto alla parete dei ricorrenti sarebbe giustificata dal fatto che l’edificazione avviene nell’ambito di un piano attuativo (programma integrato di recupero);

(d) questa difesa appare condivisibile solo parzialmente e con alcune precisazioni. Merita infatti attenzione la replica dei ricorrenti, i quali evidenziano che solo il compendio immobiliare della controinteressata ricade nel perimetro del piano attuativo. Al contrario l’area di proprietà dei ricorrenti si trova all’esterno e quindi finisce per subire le decisioni dei lottizzanti senza poter influire sul contenuto dell’edificazione;

(e) al riguardo occorre innanzitutto precisare che nel caso di demolizione e ricostruzione innovativa, ossia quando l’area (come nella vicenda in esame) è assoggettata a una trasformazione tale da recidere il rapporto di continuità con la sagoma e i volumi preesistenti, sono applicabili le regole sulle distanze previste per le nuove costruzioni. Se l’aspetto di un’area viene significativamente alterato, la demolizione e ricostruzione svincola i proprietari dai condizionamenti connessi ai vecchi edifici ma allo stesso tempo fa perdere il diritto di prevenzione fondato sugli stessi;

(f) fatta questa premessa, per stabilire il significato della deroga prevista dall’art. 45 del regolamento edilizio a favore dei piani attuativi è necessario distinguere due questioni, ossia il semplice distacco tra edifici e la distanza tra pareti di cui almeno una finestrata;

(g) relativamente al distacco tra edifici in assenza di pareti finestrate si può ritenere che le norme del piano attuativo abbiano effetto anche all’esterno dello stesso, in quanto l’interesse che viene in rilievo è soltanto quello urbanistico e dunque l’approvazione di una specifica disciplina per una determinata area può anche implicare una riduzione dello spazio che circonda gli edifici vicini, per rendere possibile la piena utilizzazione delle facoltà edificatorie dei lottizzanti. Pertanto nel caso di demolizione e ricostruzione innovativa i lottizzanti non vantano nei confronti dell’amministrazione il diritto di edificare sul vecchio sedime ma l’amministrazione, approvando il piano attuativo, può concedere, se lo ritiene opportuno, la riduzione del distacco minimo previsto per le nuove costruzioni;

(h) a una diversa conclusione si deve giungere invece nel caso di demolizione e ricostruzione innovativa che fronteggi un edificio con pareti finestrate. Qui viene in rilievo accanto all’interesse urbanistico anche l’interesse igienicosanitario, essendo necessario garantire l’aerazione degli spazi interni ed evitare la formazione di intercapedini malsane. Questo secondo interesse non è nella disponibilità dei privati e neppure delle amministrazioni locali, ed è protetto su tutto il territorio nazionale dalla disposizione sulla distanza minima assoluta di 10 metri di cui all’art. 9 del DM 1444/1968 (v. C.Cost. 16 giugno 2005 n. 232). È vero che proprio l’art. 9 comma 3 del DM 1444/1968 contiene l’originaria deroga poi ripresa anche dalla disciplina comunale in esame, ossia la facoltà di costruire a distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o di lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche. Tale norma è però fondata sul presupposto che la realizzazione ex novo e così pure la sistemazione integrale di un insieme di edifici consentano di adottare soluzioni progettuali e accorgimenti tecnici in grado di evitare problemi igienicosanitari anche con una distanza inferiore a 10 metri. Di conseguenza la deroga è logicamente riferibile soltanto all’ambito territoriale ricompreso nei suddetti piani e considerato nella progettazione unitaria;

(i) in concreto il vincolo della distanza minima deve però essere applicato secondo il canone di proporzionalità, ossia nei limiti necessari a prevenire il degrado igienicosanitario dei luoghi. Si può infatti ritenere che anche all’esterno dei piani attuativi la deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate risulti in concreto ammissibile quando non vi siano pericoli di peggioramento delle condizioni igienicosanitarie nelle abitazioni servite dalle finestre. Questa situazione può verificarsi in fattispecie particolari, ad esempio quando non vi sia esatta contrapposizione tra il nuovo muro e la parete finestrata preesistente oppure quando attorno a quest’ultima rimanga comunque spazio sufficiente per conservare inalterate l’aerazione e l’illuminazione (v. TAR Brescia Sez. I 27 agosto 2010 n. 3240; TAR Brescia Sez. I 3 luglio 2008 n. 788);

(j) ricapitolando, quindi, nel caso in esame i ricorrenti non possono esigere il distacco di 10 metri dalle pareti non finestrate, e per quanto riguarda le pareti finestrate non hanno dimostrato che la realizzazione degli edifici della controinteressata si traduce inevitabilmente nella creazione di un’intercapedine malsana;

(k) il terzo motivo di ricorso lamenta genericamente la presenza di aree demaniali all’interno del compendio immobiliare della controinteressata (le due rogge). Questo argomento non è però idoneo a individuare un vizio di legittimità se non si dimostra che l’edificazione interferisce effettivamente con l’area demaniale e ne rivolge la destinazione a favore del privato senza un’autorizzazione dell’ente gestore;

(l) per quanto riguarda infine la normativa tecnica sulla realizzazione delle autorimesse ( DM 1 febbraio 1986) si osserva che la funzione di tali prescrizioni non è quella di integrare la disciplina urbanistica e codicistica sulle distanze. La definizione di rampa aperta (che prevede una distanza non inferiore a 3,5 metri dalle pareti finestrate di edifici esterni) non vale quindi automaticamente come condizione di legittimità dei titoli edilizi. Si tratta piuttosto di un parametro tecnico che indirizza la progettazione ma non impedisce altre soluzioni se la situazione dei luoghi è tale da richiedere degli adattamenti. Fuoriesce poi dalla materia del presente giudizio il problema delle immissioni moleste di rumore e gas di scarico attraverso le finestre. Eventuali lamentele sul punto potranno avere ascolto attraverso l’apposita azione davanti al giudice ordinario.

7. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità dei problemi riguardanti le deroghe alla distanza minima tra edifici consente l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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