Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 17-05-2011, n. 19293

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 16.4.2009, il Tribunale di Rovereto dichiarò M.P. responsabile dei reati di truffa (così riqualificati i reati di insolvenza fraudolenta) e falso in titoli di credito unificati sotto il vincolo della continuazione e lo condannò alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Trento, con sentenza in data 16.7,2010, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. violazione della legge processuale in relazione alla immutazione del fatto contestato in conseguenza della riqualificazione dei reati di insolvenza fraudolenta in truffa; le condotte sono diverse e la pena più severa; l’imputato avrebbe potuto scegliere riti alternativi se fosse stata quella di truffa l’originaria contestazione; erroneamente la Corte d’appello ha rigettato il relativo motivo di gravame;

2. vizio di motivazione in relazione al rigetto dell’eccezione relativa all’immutazione del fatto con argomenti che riguarderebbero la incompletezza della contestazione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perchè nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell’agente. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 45096 in data 11.11.2009 dep. 25.11.2009 rv 245695).

Nei capi di imputazione erano contestate le simulazioni di circostanze e condizioni non vere, quali il qualificarsi come rappresentante della ditta Copy Line o come commerciante di cesti da regalo, nel mostrare bolle di consegna di altre imprese della zona, nel presentarsi a bordo di un’autovettura Mercedes e nel pagare con assegni bancari risultati falsi.

Non vi è stata quindi alcuna immutazione del fatto, ma solo una diversa qualificazione giuridica del fatto.

Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, "per aversi violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza – che è espressione della necessità, ribadita dall’art. 6, punto 3, lett. A della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, di garantire, in un processo giusto, il contraddittorio sul contenuto dell’accusa – Occorre una sostanziale immutazione del fatto contestato, nel senso che il complesso degli elementi di accusa formalmente portati a conoscenza dell’imputato abbia subito una tale trasformazione, sostituzione o variazione, da incidere concretamente sul suo diritto di difesa, comportando una effettiva menomazione dello stesso", (Cass. Sez. 1 sent. n. 8328 del 22.3.1982 dep. 28.9.1982 rv 155229 nella specie, contestato il delitto di omicidio volontario consumato, è stato ritenuto quello di tentato omicidio, e la cassazione ha ritenuto che non vi sia stata immutazione del fatto, v. Mass n. 149140; n. 148470; n. 148029; n. 147852; n. 146925; n. 146913; n. 146684; n. 146552; n. 145163; n. 145098, e vedi inoltre, parere commissione Europ., dir. Uomo, rie. Ofner c. Austria, ann. 3, p. 323).

Del resto questa Corte ha affermato che "non vi è relazione tra la sentenza e l’accusa contestata, quando il fatto abbia subito una modifica negli elementi essenziali e fondamentali in modo da fargli perdere la sua originaria fisionomia, non essendo sufficiente un qualsiasi mutamento dei caratteri intrinseci ed estrinseci del reato, come quelli attinenti alla esecuzione del reato. Ne deriva che non sussiste violazione dell’art. 477 cod. proc. pen., quando venga contestata la truffa e ritenuta l’approvazione indebita. Nel "fatto" della truffa sono infatti compresi sia l’estremo del conseguimento del possesso di una cosa da parte dell’agente, sia quello della approvazione di essa". (Cass. Sez. 2 sent. n. 3325 del 5.4.1991 dep. 23.3.1992 rv 190759).

Non vi è quindi alcuna violazione della legge processuale comportante nullità e nessun vizio della motivazione nella sentenza impugnata, peraltro ininfluente posto che, nel giudizio di legittimità, il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito.

(Cass. Sez. 2, sent. n. 3706 del 21.1.2009 dep. 27.1.2009 rv 242634).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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