Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-04-2011) 17-05-2011, n. 19260

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Simeone Alberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p.1. Con sentenza del 16 settembre 2008 la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava quella di primo grado che aveva dichiarato C.G. colpevole del delitto di concussione continuata, per avere, in concorso con P.G. e con D.C.G., quest’ultimo vice sindaco del Comune di (OMISSIS), indotto l’imprenditore I.D. a versare indebitamente la somma complessiva di L. cinquantamilioni per ottenere il rinnovo del contratto di appalto in essere con l’amministrazione comunale, rinnovo effettivamente Delib. Giunta 19 gennaio 1996; inoltre per averlo indotto a versare indebitamente l’ulteriore somma di L. trentamilioni per garantirsi la proficua esecuzione del contratto appena stipulato.

I giudici di merito, in base alla testimonianza di I., corroborata dall’ascolto dei colloqui dallo stesso clandestinamente registrati, dagli accertamenti bancari e dalle ammissioni rese da P. esaminato ex art. 210 cod. proc. pen., ricostruiva il fatto come segue. I., che aveva in corso un contratto per il servizio di facchinaggio e trasporto di durata biennale e dell’importo di L. duecentomilioni che scadeva a fine gennaio 1996, veniva informato da P. che il sindaco C. (di cui P. era cognato) e il vicesindaco D.C. intendevano confermargli l’aggiudicazione, elevando l’importo a trecento milioni e la durata a tre anni. Poco prima del Natale 95 P., che si era già premurato di inoltrare la sua domanda di rinnovo contrattuale, gli comunicava che C. (da poco sospeso dalla carica) e D.C. (che ne aveva preso il posto) ponevano come condizione per il buon fine della pratica il pagamento della somma di L. cinquantamilioni, della quale esigevano, come segno della sua disponibilità, un acconto immediato. Qualche giorno dopo Natale, I. consegnava a P. la somma di ventimilioni in contanti. Al momento della firma del contratto, I. veniva a sapere che importo e durata non sarebbero stati ampliati e per questa ragione, parlandone anche con D.C., otteneva la riduzione del secondo pagamento a trentamilioni, che versava sempre nella mani di P. il (OMISSIS). Passato un mese, I. riceveva direttamente da C. la richiesta di pagare altri trentamilioni per garantirsi l’effettiva ordinazione dei servizi previsti in contratto, richiesta che esaudiva il 20.3.1996. Successivamente P., a nome di C. e D.C. lo informava che il Comune aveva deliberato nuovi lavori, che gli sarebbero stati aggiudicati se avesse pagato la solita tangente.

I. rifiutava e, entrato in conflitto con l’amministrazione comunale, decideva di denunciare i fatti all’autorità giudiziaria.

Orbene, la Corte, valutata la credibilità delle dichiarazioni di I., riteneva provata la responsabilità dell’imputato nonchè corretta la qualificazione giuridica del fatto, rilevando, su questo punto, che le parti non trattarono in posizione paritetica, perchè D.C., strumentalizzando il potere di pubblico amministratore da cui dipendeva la prosecuzione e la proficuità del rapporto negoziale, aveva coartato la volontà del contraente privato.

Contro la sentenza ricorre la difesa dell’imputato che denuncia:

1. l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da P. in precedente udienza dibattimentale per violazione dell’art. 513 c.p.p., comma 2; nel corso del dibattimento di primo grado, essendo mutata la composizione del collegio giudicante e opponendosi la difesa alla rinnovazione delle prove orali mediante lettura dei relativi verbali, P. veniva ricitato e si avvaleva della facoltà di non rispondere; il pubblico ministero allora chiedeva l’acquisizione del verbale con le precedenti dichiarazioni e il tribunale, nulla osservando la difesa, ne disponeva la lettura; ora il ricorrente deduce che occorreva il consenso espresso e che il silenzio non poteva essere interpretato neppure come consenso tacito;

2. vizio di motivazione, per avere la Corte ritenute veritiere le dichiarazioni di I., senza rilevare la falsità dell’asserita consegna della domanda di rinnovo del contratto che sarebbe avvenuta dopo l’8 dicembre e senza criticare la stranezza che avesse consegnato dei nastri registrati di cui ammetteva la manipolazione;

3. erronea applicazione dell’art. 317 cod. pen. e vizio di motivazione: a) perchè l’imputato, con provvedimento del prefetto del 18.12.1995 era stato sospeso dalla carico di sindaco, per cui le richieste di pagamento delle somme di denaro erano state avanzate quand’egli aveva già perso la qualità di pubblico ufficiale; b) perchè nella fattispecie sarebbe ravvisabile il reato di corruzione:

per il primo reato, perchè I. si era determinato a pagare le somme chiestegli nella speranza di ottenere il rinnovo del contratto a condizioni di maggior favore per l’aumento sia della durata sia dell’importo dei lavori; per il secondo reato, perchè I. non aveva motivo di temere un mancato guadagno, dal momento che non aveva mai eseguito lavori per un importo inferiore a quello stabilito in contratto nè negli anni precedenti alla vicenda nè in quelli successivi:

4. mancata assunzione di una prova decisiva, perchè la Corte non ha ammesso la testimonianza di R.C., che, a detta di I., gli avrebbe comunicato che era atteso a colloquio da D. C.;

5. vizio di motivazione in ordine alla riduzione di pena apportata per le concesse attenuanti generiche in misura inferiore a un terzo.

I predetti motivi sono stati ulteriormente sviluppati in una memoria difensiva presentata all’udienza odierna. p.2.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto del requisito di specificità.

Invero è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di un atto processuale indicare, a pena di inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, il contenuto probatorio dell’atto medesimo e la relativa incidenza sul complessivo compendio probatorio così da porre il giudicante nella condizione di poterne inferire la decisività in riferimento alla sentenza impugnata (Cass., Sez.Unite, 23.4.2009, Fruci). Tale onere nella fattispecie non è stato adempiuto e quindi il motivo pecca di genericità.

Comunque l’eccezione appare infondata, perchè il Tribunale, mutata la composizione del collegio, ha rispettato la volontà della difesa, che si era opposta alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante la lettura delle dichiarazioni già verbalizzate, e ha disposto la citazione di P.. Soltanto dopo che P. si è avvalso della facoltà di non rispondere, il Tribunale, su richiesta del pubblico ministero, sentita la difesa che non si è opposta, ha legittimamente acquisito, ai sensi dell’art. 238 c.p.p., comma 2 bis, e art. 511 c.p.p., comma 2, le dichiarazioni da lui precedentemente rese nel contraddittorio del dibattimento. p.2.2 Il secondo motivo è infondato.

I giudici del merito hanno diffusamente motivato le ragioni della ritenuta credibilità delle dichiarazioni testimoniali di I., sottolineandone la costanza e la coerenza, illustrando i significativi riscontri sopra cennati e confutando le deduzioni proposte ex adverso dalla difesa.

In particolare la sentenza impugnata rileva che l’affermazione di I. di avere consegnato a P. la domanda di rinnovo del contratto dopo l’8 dicembre 1995 trova riscontro nelle date del 12 e del 14 dicembre la cui genuinità era garantita dai numeri di protocollo apposti sul documento, mentre la data a timbro del 5 dicembre, indicata dalla difesa come quella vera, risultava priva di uguale segno di ufficialità.

Le dichiarazioni di I. erano inoltre avvalorate dalla registrazione dei colloqui da lui avuti con P. e la circostanza che egli, per eliminare le conversazioni ritenute insignificanti, avesse riversato il segnale sonoro su altro supporto, non ne aveva compromesso l’autenticità (v. parere del consulente tecnico ing. O.).

Quelli che precedono sono i risultati del lavoro di valutazioni critica compiuto dai giudici del merito sul materiale probatorio, risultati che, derivando da una disamina condotta senza incorrere in manifeste violazioni dei canoni logici, non incappano nei vizi di motivazione denunciati in ricorso. p.2.3 Anche il terzo motivo è infondato.

La censura sull’inconfigurabilità del delitto di concussione per difetto, in capo all’autore del reato, della qualità o delle funzioni di pubblico ufficiale, fondata sul rilievo che C. era stato sospeso dalla carica di sindaco del Comune di (OMISSIS) con provvedimento prefettizio del 18.12.1995, non ha pregio.

Invero il capo d’imputazione precisa che C., al quale non viene attribuita alcuna funzione pubblica, concorse nel reato con il vice- sindaco D.C., il quale, quando C. fu sospeso dalla carica, assunse le funzioni di sindaco e, in tale veste, presiedette la Giunta che il 19.1.1996 deliberò il rinnovo del contratto che interessava I..

Il pubblico ufficiale autore dei reati contestati fu dunque D. C., che agì in concorso con C., il quale, per la verità, diede l’abbrivo alla vicenda concussiva quando era ancora sindaco, e poi, persa la carica, continuò a parteciparvi come extraneus, concorrendo nell’esecuzione del reato con D.C., che gli era subentrato nella guida dell’amministrazione comunale.

Al riguardo i giudici del merito hanno ben evidenziato la perfetta simbiosi che univa C. e D.C. non solo nell’ambito del partito nel quale militavano entrambi e nel governo della cosa pubblica, ma anche nella gestione dell’affare illecito che costituisce oggetto del presente processo. P., infatti, avanzava le richieste estorsive e incassava il denaro versato in nome e per conto della coppia C. – D.C.. E del fatto che i due agissero d’intesa tra loro se n’era sincerato I. quando, in occasione di un funerale, aveva avvicinato D.C. ricevendone la conferma che la somma che doveva ancora versare ammontava a trentamilioni (poi effettivamente pagati il 12.2.1996).

Parimenti il pagamento dell’ulteriore tangente di trentamilioni avvenuto il (OMISSIS) era stato preceduto dalle richieste estorsive tanto di C. che di D.C..

Tutto ciò risulta accertato e valutato nella sentenza impugnata e, più diffusamente, in quella di primo grado e, pertanto, il motivo di ricorso sulla presunta violazione della legge penale va disatteso.

Neppure ha fondamento il motivo sul preteso errore di qualificazione giuridica del fatto.

Premesso che nell’analisi differenziale tra il reato di corruzione e quello di concussione va posto l’accento sulla diversa posizione che il privato e il pubblico ufficiale vengono ad assumere nel reciproco rapporto, nel senso che, mentre nella corruzione – che è reato a concorso necessario – i soggetti trattano pariteticamente e si accordano nel pactum sceleris con convergenti manifestazioni di volontà, nella concussione – che è reato monosoggettivo – la par condicio contractualis è inesistente, perchè il dominus dell’illecito affare è il pubblico ufficiale, il quale, abusando della sua autorità o del suo potere, costringe o induce, minacciosamente o fraudolentemente, il soggetto privato a sottostare all’indebita richiesta in una situazione che non offre alternativa diversa dalla resa, cosicchè il privato, nella corruzione, effettua la dazione o promessa allo scopo di conseguire un vantaggio ingiusto (certat de lucro captando), mentre, nella concussione, soggiace alla richiesta per evitare il pericolo di un danno ingiusto (certat de damno vitando), ciò premesso, si osserva che la sentenza impugnata e, ancor meglio, quella di primo grado, hanno bene lumeggiato la posizione di inferiorità e di debolezza in cui operava l’imprenditore I., minacciato di non poter più lavorare per l’amministrazione comunale se non avesse pagato le somme di denaro indebitamente chiestegli.

Il pubblico amministratore, abusando dei poteri inerenti alla sua funzione, coartò la libera volontà del soggetto passivo, costringendolo, con la minaccia del mancato rinnovo del contratto in scadenza, alla promessa e poi alla dazione indebita delle note somme di denaro.

E sempre mediante la coartazione derivante dalla minaccia, questa volta di non dargli incarichi esecutivi per i lavori previsti in contratto, C., in concorso con D.C., costrinse I. a pagare la tangente del secondo reato di concussione.

La difesa, in relazione al primo episodio del (OMISSIS), vanamente obietta che la vittima avrebbe tratto dall’abuso un ingiusto vantaggio economico e che tanto basterebbe per ravvisare nella fattispecie il reato di corruzione.

E’ ben vero che, se il privato effettua la promessa o la dazione allo scopo di trarre vantaggio dall’abuso del pubblico ufficiale, viene meno quella situazione di timore che vizia la volontà del soggetto privato, e si instaura, invece, quel rapporto sinallagmatico di libera contrattazione che caratterizza la fattispecie corruttiva. Ma, nel caso concreto, stando alla ricostruzione del fatto prospettata dai giudici del merito, l’imprenditore versò le somme di denaro non perchè spinto dall’intento di conseguire un indebito vantaggio, ma per evitare la minaccia del danno ingiusto rappresentato dall’esclusione di futuri rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.

Il vantaggio conseguito (id est il rinnovo del contratto) fu soltanto la necessaria conseguenza del non compimento del danno ingiusto, e non già la finalità esclusiva o prevalente della dazione indebita.

L’imprenditore si dispose alla dazione per evitare il danno ingiusto dell’estromissione dagli appalti pubblici e l’utilità in tal modo conseguita non fu indebita, perchè egli vi poteva legittimamente aspirare a prescindere dal favore del pubblico ufficiale.

Il medesimo ragionamento può essere ripetuto tal quale per il secondo reato di concussione consumato il (OMISSIS), in cui l’imprenditore versò la tangente per allontanare la minaccia del danno ingiusto rappresentato dalla vanificazione del contratto appena rinnovato, che sarebbe stata attuata omettendo di conferire ordinativi per i lavori previsti in contratto, minaccia che fu posta in atto più avanti, quando, essendosi I. rifiutato di versare altre somme, gli imputati, per metterlo fuori gioco, indissero una gara per l’aggiudicazione degli stessi lavori di trasporto e facchinaggio che formavano oggetto del suo contratto (v. pagg. 21 e 22 sentenza imp.).

Per concludere, la qualificazione giuridica attribuita ai fatti contestati è corretta e non merita censura. p.2.4 Il quarto motivo è infondato, perchè la Corte territoriale ha preso in esame l’istanza di rinnovazione parziale del dibattimento e l’ha respinta osservando – con motivazione insindacabile in sede di legittimità – che il procedimento era sufficientemente istruito, per cui l’assunzione della prova non appariva affatto indispensabile per la decisione.

Aggiungasi che resta oscura l’asserita decisività della testimonianza invocata, considerato che la tesi difensiva, secondo cui non vi sarebbe stato incontro tra C. e I., non riceverebbe alcun sostegno dalla deposizione di R., il quale – come ha già detto I. – avrebbe avvisato quest’ultimo che era atteso a colloquio da D.C. (e, quindi, non da C.). p.2.5 Infine è infondato anche il quinto motivo.

E’ principio consolidato che l’obbligo della motivazione in ordine all’entità della pena irrogata e, a maggior ragione, in ordine alla diminuzione di pena per una circostanza attenuante applicata, deve ritenersi sufficientemente osservato qualora il giudice dichiari di ritenere "adeguata" o "congrua" o "equa" o "giusta" la misura della pena concretamente applicata, giacchè la scelta di tali termini è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen..

Nella fattispecie il giudice d’appello, qualificando come "congrua" la pena inflitta, ha implicitamente giustificato anche la misura della riduzione apportata in forza delle attenuanti generiche, la cui entità non può essere censurata dal giudice di legittimità tanto più che la Corte territoriale ha spiegato che il valore positivo del risarcimento (tardivo) del danno cagionato era attenuato dalla negativa personalità dell’imputato, che aveva riportato numerosi e gravi precedenti penali, dei quali il giudice, nel determinare la pena, non può non tener conto a mente dell’art. 133 c.p., comma 2, n. 2.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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