T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 17-05-2011, n. 1252

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente svolge attività regolarmente autorizzata di gestione di rifiuti ed in particolare di recupero per conto terzi di fanghi biologici provenienti da impianti di depurazione, ai sensi del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99.

Con il presente ricorso, l’istante impugna il provvedimento indicato in epigrafe, reso in attuazione della deliberazione della DGR della Lombardia n. 8/9956 del 29 luglio 2009, con la quale la giunta della regione Lombardia ha deliberato la sospensione dell’attività di spandimento in agricoltura dei fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue, prevedendo, in particolare, che: "al termine del periodo massimo di quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente deliberazione, ogni attività di spandimento su terreni agricoli di fanghi provenienti da impianti di trattamento di acque reflue urbane e industriali non sarà più consentita, fatta eccezione per i fanghi biologici provenienti dall’industria agroalimentare, ai quali non si applicano le limitazioni disposte dal presente atto;…di stabilire che i provvedimenti di autorizzazione allo spandimento sul suolo dei fanghi in argomento debbano essere modificati dall’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente deliberazione, con l’esplicita previsione della sospensione dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e industriali nei termini definiti ai punti precedenti".

A sostegno del proprio gravame, la ricorrente deduce per illegittimità derivata dalla deliberazione regionale i seguenti motivi di diritto:

Violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99, degli artt. 1, 6, 7 e 12 della direttiva 86/278/CEE, degli artt. 41 e 117 della Costituzione, dell’art. 42 dello Statuto della regione Lombardia; violazione degli artt. 2 quinquies e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 1 e ss. della direttiva 91/271/CEE e degli artt. 3 e 5 della direttiva n. 91/676/CEE, degli artt. 92, 121, 127, 181, 198 e dell’Allegato 4 della parte III del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, dell’art. 26 del d.M. 7 aprile 2006, dell’art. 45, comma 4, della legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26, della D.G.R. 29 marzo 2006, n. 8/2244 e della D.G.R. 8/5868 del 21 novembre 2007; difetto di attribuzione di potere ed incompetenza; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, per carenza ed errata valutazione dei presupposti, per carenza di istruttoria, per disparità di trattamento, per contraddittorietà, per illogicità manifesta e per difetto di motivazione.

Si è costituita la regione Lombardia, che ha chiesto la reiezione del gravame per infondatezza nel merito.

Successivamente le parti costituite hanno prodotto memorie difensive a sostegno delle rispettive conclusioni.

Alla pubblica udienza del 3 maggio 2011, dopo ampia ed approfondita discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

La controversia all’esame del collegio concerne le limitazioni – che la ricorrente riconduce ad un vero e proprio divieto – allo spandimento in agricoltura dei fanghi biologici prodotti dagli impianti di depurazione delle acque reflue disposte mediante la deliberazione dalla giunta della regione Lombardia n. 8/9953 del 29 luglio 2009, della quale il provvedimento provinciale impugnato in via principale costituisce pedissequa attuazione.

La società lamenta, con articolati motivi di diritto, molteplici violazioni di disposizioni normative nazionali, anche di rango costituzionale, e di principi contenuti in direttive comunitarie, deduce l’incompetenza della Regione nell’imporre divieti in tale ambito invece che mere limitazioni ed, altresì, il vizio di eccesso di potere sotto diversi profili, in particolare con riferimento all’assenza dei presupposti, alla carenza di istruttoria e di motivazione ed all’illogicità e contraddittorietà manifeste delle determinazioni regionali.

Per la difesa della regione Lombardia, al contrario, il provvedimento, che imporrebbe un mero regime di limitazioni all’utilizzazione dei soli fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue urbane ed industriali, con la previsione di una graduale riduzione dell’attività di spandimento dei medesimi sul suolo, risulterebbe emanato del tutto legittimamente, nell’esplicazione di un potere doveroso per arginare i pericoli di contaminazione delle acque dall’inquinamento da fonti agricole derivante dalla concentrazione di metalli pesanti, in particolare dai nitrati.

Il ricorso è fondato e va accolto, sia in considerazione delle disposizioni normative della disciplina vigente sul tema – di rango nazionale e comunitario – che del contenuto motivazionale e dispositivo del provvedimento impugnato, anche in ragione dei presupposti assunti alla base dell’emanazione dello stesso.

Ritiene, in particolare, il collegio che la delibera regionale impugnata risulti, innanzitutto, inficiata dal difetto di istruttoria e di motivazione, oltre che da un’evidente illogicità, con particolare riferimento al mancato rispetto del principio di proporzionalità.

Dopo aver premesso il richiamo ad una serie di disposizioni normative nazionali e comunitarie, come unico atto istruttorio presupposto all’adozione del provvedimento la deliberazione impugnata si riferisce espressamente alla relazione dell’ARPA del 29 gennaio 2009, versata in atti.

Solo da tale relazione, e, dunque, dai dati nella stessa contenuti, l’amministrazione intimata è stata indotta ad adottare le misure interdittive disposte nella delibera.

Dall’esame della parte della relazione relativa al controllo dei terreni e dei fanghi ed in particolare da quella concernente i risultati dell’attività di campionamento (pagg. 5, 6 e 7), si legge che: "La campagna di controllo straordinario degli impianti autorizzati a ritirare e trattare i fanghi biologici al fine del riutilizzo in agricoltura ha evidenziato che sia i fanghi biologici che i terreni rispettano i limiti imposti dalla normativa in vigore.

Anche le analisi relative ai fanghi ritirati e non ancora trattati evidenziano concentrazioni di metalli sostanzialmente in linea con quanto proposto nelle linee guida in fase di discussione ed in particolare il rispetto già in fase di accettazione all’impianto dei limiti previsti per il riutilizzo in agricoltura" (cfr. in particolare la parte relativa ai risultati della campagna di controllo, alla pagina 6 della relazione).

Nonostante la Regione assuma trattarsi di progressive limitazioni dell’utilizzazione in agricoltura dei fanghi, come parrebbe risultare dalla prima parte delle motivazioni del provvedimento, dalle espressioni letterali contenute nel dispositivo della delibera si ricava, invece, inequivocabilmente, che si tratta di un vero e proprio divieto di utilizzazione, anche se sottoposto ad un termine iniziale rispettivamente di due anni per le aree vulnerabili e di quattro anni per quelle non vulnerabili. Il divieto pare una misura immotivata, sproporzionata ed ingiustificata in relazione alle risultanze della relazione istruttoria suddetta, dalla quale, come già osservato, non emergono dati di superamento dei limiti massimi di metalli pesanti previsti negli allegati IA (per i terreni) e IB (per i fanghi) al d.lgs. n. 99/92, emanato proprio in attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, il cui incipiens dispone espressamente che "Il presente decreto ha lo scopo di disciplinare l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo, incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione" (cfr. art. 1), utilizzazione la cui definizione si ricava dall’art. 2 del medesimo d.lgs., essendo qualificata come: "il recupero dei fanghi… mediante il loro spandimento sul suolo o qualsiasi altra applicazione sul suolo e nel suolo" (cfr. lett. d).

Deve, oltretutto, farsi presente che non competeva alla Regione l’adozione di misure interdittive all’utilizzazione dei fanghi biologici in agricoltura al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore mediante il disposto dell’art. 4 del d.lgs. n. 99/92, fra i quali non è ricompresa la fattispecie all’esame del collegio per quanto appena detto, dovendo, invece, l’amministrazione intimata limitarsi all’esplicazione dei poteri previsti dall’art. 6 dello stesso d.lgs., fra i quali è ricompresa la possibilità di adottare mere limitazioni nel rispetto dei presupposti espressamente previsti dalla disposizione normativa.

Inoltre, ai sensi dell’art. 127 del d.lgs. n. 152/2006, i fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato, ipotesi che ricorre certamente nei casi in cui non emerga una particolare potenzialità inquinante, come nella fattispecie in questione.

In alcuna porzione della delibera impugnata emerge, poi, la giustificazione dell’esclusione dal divieto di spandimento dei fanghi biologici prodotti dall’industria agroalimentare, non risultando una minore potenzialità inquinante di tale tipologia di fanghi rispetto a quelli derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue urbane ed industriali. Sul punto si rileva, dunque, un macroscopico difetto di motivazione, oltre che una spiccata disparità di trattamento tra operatori economici.

Deve, infine, darsi atto della rilevanza, nella fattispecie in questione, dell’omissione di qualsiasi forma di concertazione con gli operatori economici interessati.

In proposito, pare utile al collegio richiamare il disposto dell’art. 101, comma 10, del codice dell’ambiente, che prevede la possibilità da parte delle autorità competenti di stipulare accordi di programma con i soggetti economici interessati, al fine di favorire il recupero dei fanghi da depurazione e di fissare limiti in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità.

Risulta, infatti, quanto più opportuna in materia ambientale l’utilizzazione del modulo convenzionale che, sulla scia dell’art. 11 della legge generale sul procedimento amministrativo, permetta l’esplicazione della potestà pubblica secondo modalità flessibili, in relazione alle complesse situazioni che la stessa si trova ad affrontare in tale ambito di attività ed in considerazione della particolare rilevanza degli interessi pubblici alla stessa sottesi.

Si reputa, dunque, che fosse necessaria una qualsiasi forma di concertazione o, quantomeno, di partecipazione al procedimento da parte dei soggetti economici interessati, quale la ricorrente, oltre che un’adeguata istruttoria che desse conto approfonditamente delle ragioni che rendevano necessaria la così drastica misura che la regione intendeva adottare, pur rispettando i terreni ed i fanghi i limiti di legge.

Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, disponendosi, per l’effetto, l’annullamento della delibera regionale e del provvedimento provinciale per illegittimità derivante dai vizi di tale delibera.

Sussistono giusti motivi, in considerazione della complessità della controversia, per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dispone l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

La presente sentenza sarà eseguita dall’amministrazione ed è depositata presso la segreteria del Tribunale, che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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