Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-02-2011) 17-05-2011, n. 19337

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- R.A. ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Lecco del 12.3.2010, che aveva confermata la condanna pronunciata nei suoi confronti dal giudice di pace di Bellano con sentenza del 26 febbraio 2008, in ordine al reato di minacce in danno di C. A..

Secondo l’ipotesi di accusa l’imputato, che si trovava nella sala d’attesa dell1 ufficio del giudice di pace di Bellano, ove era stato chiamato a deporre con i germani C.A. e C.A. M. ed altre persone a loro volta presenti, parlando al telefono cellulare, o facendo finta di parlare, aveva invitato l’interlocutore con cui stava parlando o faceva finta di parlare, a "chiamare quella persona per sistemare questi due marocchini che se la ridono".

I giudici del merito hanno ritenuto la valenza inequivocamente minatoria delle suddette espressioni, affermando la responsabilità penale del ricorrente oltre che sulla base delle dichiarazioni dello C.A. (il fratello del predetto non conosce l’italiano), sulla testimonianza degli astanti.

Deduce il ricorrente:

a) l’erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali, ritenute attendibili ad onta di circostanze di fatto che tale affidabilità escludevano. Sostiene infatti il ricorrente che la sala di attesa era a forma di "L", ed i testimoni si trovavano in zona che non avrebbe consentito la percezione visiva di quanto avveniva nell’altra parte della stanza, ove si trovava esso imputato. Ulteriori elementi che avrebbero dovuto indurre a diffidare delle dichiarazioni dei testimoni erano costituiti dalla differenza tra quanto era stato dichiarato nel corso dell’istruttoria e quanto era stato detto in dibattimento; infine, come risultava dall’esame dei tabulati, nessuna telefonata era stata fatta dal suo cellulare all’ora in cui la minaccia sarebbe stata consumata; b) erroneità della valutazione che aveva condotto la corte territoriale a ritenere che le parole in ipotesi da lui pronunciate avessero valenza minacciosa, mentre a suo dire così non era, tanto che lo stesso querelante aveva dichiarato in dibattimento di non essersi spaventato nell’udire le frasi minacciose, ma di essersi solo "un po’ preoccupato". 2.- Il ricorso va nel complesso rigettato.

Il primo motivo è inammissibile in quanto prospetta il riesame del merito, che in questa sede di legittimità è precluso se, come nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia dato conto delle ragioni della decisione con motivazione ragionevole, comunque immune da vizi logici o contraddizioni.

Il secondo motivo è invece destituito di fondamento, atteso che la rilevanza penale della condotta sanzionata dall’art. 612 cod. pen. non dipende dall’efficacia ed intensità della minaccia, che non deve esser tale da indurre serio ed effettivo timore nel soggetto passivo, bastando invece ad integrare l’illecito la percezione da parte del soggetto passivo della prospettazione di un danno ingiusto, e nel caso di specie tale percezione è ampiamente confermata da quanto il C. aveva dichiarato in dibattimento – come lo stesso ricorrente riferisce nell’atto di impugnazione -, affermando di essersi preoccupato per le espressioni minacciose. Del resto il principio su enunciato risulta chiaramente anche dalle citazioni giurisprudenziali contenute in ricorso.

Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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