T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 4292 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con determinazione dirigenziale n.98 del 9.7.2002 (dip. IX – IV° U.O.), il Comune di Roma disponeva l’occupazione d’urgenza delle aree occorrenti alla realizzazione della rete adduttrice delle acque reflue e degli impianti di sollevamento del Rio Galeria (tronchi VIII° e IX° ed integrazione tronchi II°, III°, e IV°), fissando il periodo di occupazione delle predette aree nella durata di trentasei (36) mesi decorrenti dalla data di immissione in possesso.

Detto provvedimento ablativo interessava alcune porzioni di terreno di proprietà delle società ricorrenti indicate in epigrafe. Nella specie, le porzioni ricomprese:

nell’azienda agricola della società agricola F. s.r.l., sita nel Comune di Roma, in località "Porcareccina", estesa complessivamente ha 74,57 circa; e precisamente parte (mq 1036, circa) di quelli catastalmente distinti in NCT al Foglio 108, part.lla 108/R;

nell’azienda agricola della società A.A. s.r.l., sita nel Comune di Roma, in località "Porcareccina", estesa complessivamente ha 65,40 circa; e precisamente parte (mq 24.000, circa) di quelli catastalmente distinti in NCT al Foglio 108, part.lle 51R, 215R ed 81R.

L’appalto per l’esecuzione delle opere è stato affidato all’associazione temporanea d’imprese (ATI) fra il Consorzio Cooperative Costruzioni, in qualità di "capogruppo" e la società M.C. s.p.a. (d’ora in poi "ATI Consorzio Cooperative – M.", o "ATI resistente").

In data 18.9.2002 l’Amministrazione comunale e la ditta appaltatrice, in esecuzione del provvedimento di occupazione, si immettevano nel possesso dei terreni sopra descritti.

Dopo l’ultimazione dei lavori, avvenuta prima dell’estate del 2005, l’impresa appaltatrice abbandonava le aree.

Secondo la prospettazione delle ricorrenti l’impresa lasciava in loco pietre, terra da riporto e materiale di risulta, ed ometteva di provvedere alla bonifica del terreno.

Nel settembre 2005, ciascuna società ricorrente sollecitava la bonifica dell’area; e con raccomandata del 12.1.2006 reiterava la richiesta.

Visto che le richieste non avevano sortito effetto, le ricorrenti si rivolgevano al Tribunale Civile di Roma con autonomi ricorsi (n. RG 55902, la società F. s.r.l.; e n.RG 55903, la società A. s.r.l.) ex artt. 688 e 669 bis e seguenti del c.p.c.

In tale sede esponevano:

– che i fondi non erano stati tempestivamente e correttamente riconsegnati;

– che l’impresa appaltatrice non aveva provveduto alla bonifica delle aree oggetto della procedura espropriativa;

– che nel realizzare l’opera l’impresa appaltatrice aveva creato un dislivello tra il piano di lavoro e la restante parte del terreno (dislivello che altera gli assetti idraulici e le naturali pendenze, non consentendo il regolare e necessario deflusso dell’acqua piovana verso il fosso denominato Rio Galeria); e che tale dislivello comporta il ristagno dell’acqua piovana sul fondo dei terreni con conseguenti gravi danni per gli stessi;

– e che le opere, così come eseguite, determinavano il timore di ulteriori gravi ed irreparabili pregiudizi per la produttività dei fondi e dei terreni limitrofi (ancorchè non interessati dalla procedura ablatoria).

Le ricorrenti chiedevano al Giudice adìto:

a) di condannare l’Amministrazione e l’"ATI Consorzio Cooperative – M." al risarcimento dei danni provocati dalla illecita occupazione d’urgenza di alcune porzioni di terreno della ricorrente e dalla omessa bonifica delle stesse dopo il completamento dei lavori;

b) e di ordinare in via cautelare al Comune di Roma ed all’impresa appaltatrice l’esecuzione delle opere necessarie ed idonee ad evitare che i danni già subìti per l’asserita irreversibile trasformazione del fondo fossero ulteriormente aggravati.

Nel corso del procedimento veniva disposta ed esperita una CTU dalla quale è emerso che i lavori eseguiti hanno effettivamente creato un dislivello con alterazione degli assetti idraulici e ristagno di acqua.

Pertanto con ordinanza del 513.11.2007 il Giudice Istruttore del Tribunale di Roma ordinava al Comune di Roma ed all’a.t.i. resistente di effettuare con urgenza i lavori indicati nella CTU.

Alla fine dei lavori, il 12.3.2008 il Comune di Roma ha effettuato la riconsegna dell’area asservita.

Ma successivamente, con ordinanza dell’17.4.2008 il Tribunale di Roma – in seduta collegiale, decidendo sul reclamo dell’a.t.i. – ha annullato il predetto provvedimento cautelare dichiarando il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. sul presupposto che la questione "… concerne la pretesa violazione di un diritto soggettivo strettamente collegata all’esercizio, ancorchè illegittimo, del pubblico potere dell’Amministrazione…".

Conseguentemente le ricorrenti hanno autonomamente riassunto i rispettivi ricorsi innanzi a questo TAR spiegando le medesime domande giudiziali già proposte innanzi all’A.G.O.

In particolare, con i due ricorsi in esame ciascuna delle ricorrenti chiede al Giudice Amministrativo:

a) di dichiarare la decadenza e/o l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità ricompresa nella determinazione dirigenziale n.98 del 9.7.2002 del Comune di Roma (Dipartimento IX – IV U.O.);

b) di condannare l’Amministrazione capitolina e l’"ATI Consorzio Cooperative – M." al risarcimento dei danni provocati dalla illecita occupazione d’urgenza di alcune porzioni di terreno della ricorrente e dalla omessa bonifica delle stesse dopo il completamento dei lavori;

c) di ordinare in via cautelare al Comune di Roma ed all’impresa appaltatrice l’esecuzione delle opere necessarie ed idonee ad evitare che l’aggravamento dei danni già subìti, in conformità alle indicazioni contenute nella CTU già espletata nel coso del giudizio civile.

Ritualmente costituitisi in ciascun giudizio il Comune di Roma e l’"ATI Consorzio Cooperative – M.", hanno eccepito l’infondatezza del ricorso e si sono opposti alla domanda reintegratoria affermando che l’esecuzione delle prescrizioni contenute nella predetta CTU è, allo stato, impossibile e comunque inutile.

Nel corso dei giudizi le parti hanno insistito nelle rispettive richieste ed eccezioni.

Con ordinanze n.3332 del 2.7.2008 e n.898 del 26.2.2009 questo TAR ha accolto le domande cautelari rispettivamente proposte dalle ricorrenti ordinando al Comune di eseguire i lavori di ripristino descritti nella CTU già espletata nel giudizio civile, in conformità a quanto era stato disposto dal Giudice Unico della Sezione VII^ Civile del Tribunale di Roma.

Ma con successive ordinanze n. 5539 e n. 5472 del 26.11.2009, questo TAR – accertata la sopravvenuta ed "attuale impossibilità tecnica di adempiere compiutamente all’ordine di cui alla suindicata ordinanza" e la insussistenza di attuale pericolo di allagamenti – ha respinto le domande di esecuzione delle ordinanze cautelari proposte dalle ricorrenti.

Nel corso dei procedimenti, con ordinanze n.1011 e n. 1010 del 26.5.2010, il TAR ha ordinato l’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio, che è stata depositata in atti.

All’esito, è stato ritualmente consentito alle pari di depositare proprie osservazioni tecniche e giuridiche in merito a quanto accertato dal CTU.

Infine, all’udienza del 23.3.2011, uditi i Difensori delle parti, le due cause sono state poste in decisione.
Motivi della decisione

I. In considerazione della connessione soggettiva ed oggettiva dei due ricorsi (proposti contro medesimi soggetti, in relazione ad identici causa petendi e petita), se ne dispone la riunione, perché vengano trattati e decisi congiuntamente.

II. La questione relativa al difetto di giurisdizione (rectius: la domanda volta ad ottenere che Il Collegio riesamini la questione e sollevi d’ufficio la relativa questione, ai sensi dell’art.59, comma 3°, della L. n.69 del 2009), sollevata dalla ricorrente (nella memoria del 13.3.2011), non può essere condivisa.

Ed invero a parere del Collegio la giurisdizione appartiene al Giudice Amministrativo, in quanto la compressione della situazione soggettiva dei titolari dei terreni, ed i danni che essi lamentano di aver subìto (per i quali chiedono il risarcimento), trovano origine nell’esercizio del potere amministrativo, com’è dimostrato dal fatto che l’occupazione è avenuta in forza di provvedimenti amministrativi e non già sine titulo.

III. Nel merito, i ricorsi riuniti sono solamente in parte fondati; e le rispettive domande risarcitorie meritano accoglimento nei sensi e nei limiti di seguito indicati.

I ricorrenti lamentano che:

a) l’impresa appaltatrice non ha provveduto alla bonifica delle aree oggetto della procedura espropriativa, lasciando sui terreni – in particolare – materiali di risulta e pietrame che ne compromettono l’utilizzabilità;

b) nel realizzare l’opera l’impresa appaltatrice ha creato un dislivello tra il piano di lavoro e la restante parte del terreno, che altera gli assetti idraulici e le naturali pendenze, non consentendo il regolare e necessario deflusso dell’acqua piovana verso il fosso denominato Rio Galeria e comportando il ristagno dell’acqua piovana sul fondo dei terreni con conseguenti gravi danni per gli stessi.

Al fine di accertare la fondatezza della pretesa delle ricorrenti, con ordinanze n.1010 e n. 1011 del 26.5.2010, questo TAR ha disposto consulenza tecnica d’ufficio volta a stabilire:

1) "se le opere pubbliche realizzate nell’area della ricorrente abbiano effettivamente prodotto un permanente danno al terreno, diminuendone apprezzabilmente l’utilizzabilità (con particolare riferimento all’uso agricolo)";

2) "e, in caso positivo: a) l’ammontare del danno (per perdita di valore del bene); b) se sia possibile realizzare (ovviamente senza pregiudizio dell’opera pubblica) una reintegrazione (o bonifica) del terreno che restituisca allo stesso la potenzialità pregressa; c) quale sia il costo di tale eventuale azione reintegratoria.

Quanto alla asserita e lamentata presenza di pietrame e materiale di risulta, la CTU ha accertato:

– che "la realizzazione dell’opera pubblica in oggetto, visti i documenti progettuali e di collaudo delle opere, non ha caratteristiche tali per cui si possa riscontrare la presenza di pietre, che – peraltro (NdR) – sono del tutto assenti";

– e che "dai verbali dei saggi fatti con attrezzature meccaniche sul sito non è risultata la presenza di pietre particolarmente significativa";

– che "l’unica lavorazione che potrebbe far pensare alla presenza di pietre è quella relativa alla predisposizione di una massicciata di pezzame di tufo per il transito dei mezzi meccanici", ma "… che nel caso specifico si tratta di tufo in pezzi di piccole dimensioni…"; e che comunque "la pista è stata rimossa al termine dei lavori, cosa che nessuna delle parti ha mai messo in discussione, come risulta dai vari verbali".

Le osservazioni tecniche al riguardo formulate, in funzione controdeduttiva, dalle ricorrenti non hanno dimostrato, con sufficiente dovizia di prove, il contrario.

Sul punto non resta, pertanto, al Collegio che concludere che il danno relativo alla lamentata presenza di materiale di risulta e di pietrame, non appare economicamente apprezzabile e giuridicamente sussistente.

Quanto al paventato sconvolgimento degli assetti idraulici, dalla CTU è emerso che la precedente CTU si era limitata a calcolare la "livelletta" (cioè il profilo altimetrico) da dare al terreno per garantire il deflusso idrico (evitando il ristagno), senza – però – aver verificato quale fosse il profilo altimetrico di fatto esistente prima dell’inizio delle opere per cui è causa.

Da un’analisi volta a comparare gli andamenti dei profili altimetrici prima e dopo i lavori è risultato che essi non sono diversi, in quanto tutta la zona (i fondi ed le aree limitrofe, anche non interessati dai lavori) era e rimane tendenzialmente caratterizzata da una pendenza naturale che declina verso Fosso Rio Galeria, pendenza che era – già da prima dei lavori – e che è rimasta, altrettanto naturalmente, interrotta da lievi dislivelli (piccoli avvallamenti o piccoli promontori).

Per quanto riguarda, più specificamente, l’area interessata dagli scavi, la CTU ha rilevato la presenza di lievi avvallamenti e piccoli promontori che potrebbe essere la conseguenza di un livellamento del terreno effettuato, alla fine dei lavori, in maniera piuttosto grossolana; ma che non ostacola in maniera sostanziale – né in maniera differente rispetto al generale e tendenziale andamento altimetrico dell’intera zona (come sopra descritto) – il normale deflusso delle acque verso il Fosso di Rio Galeria.

Tale deflusso risulta all’evidenza piuttosto rallentato, invece – secondo le risultanze della CTU – dalla conformazione dell’argine del Rio Galeria, che appare posto ad una quota più alta rispetto al piano di campagna per effetto del materiale che viene periodicamente depositato dall’alveo del fosso durante la pulizia e la manutenzione dello stesso; e cioè per effetto di un’azione non connessa ai lavori per cui è causa.

La relazione di CTU conclude, però, affermando:

– che effettivamente solo in un tratto, in prossimità del confine tra le due aziende è stata rilevata la presenza di uno strato di terra (una gobba) che modifica in maniera apprezzabile – realizzando una discontinuità innaturale – la quota del terreno originario;

– che si tratta di una porzione che si estende per una lunghezza di circa 60 ml (distanza che intercorre tra due tombini fuori terra, più un tratto contiguo) per una larghezza di 15 ml, pari ad un’area di 900 mq.;

– e che la alterazione della quota è dovuta ad un accumulo di terreno di circa 40 cm di altezza; corrispondente a 360 mc di terreno da rimuovere per ripristinare l’originario stato dei luoghi.

Trattandosi di un’alterazione innaturale, che connota di discontinuità il terreno, rilevata proprio in un’area specificamente interessata dai lavori di scavo (area intercorrente tra due tombini fuori terra), è evidente che essa è da imputare all’azione svolta dalla ditta appaltatrice.

Quanto al costo per la rimessa in pristino dell’area, il CTU li ha calcolati – considerando i prezzi medi applicati nel territorio della Regione Lazio per i movimenti di terra (Euro18 x mq) – in Euro.6.480,00.

In considerazione delle risultanze della CTU – che appare condotta con scienza e perizia, e con ineccepibile rigore logico – non resta al Collegio che dichiarare giudizialmente:

– che in linea generale le opere pubbliche realizzate nell’area della ricorrente non hanno prodotto un permanente danno al fondo, non avendone diminuito apprezzabilmente l’utilizzabilità, neanche dal punto di vista agricolo;

– e che l’unico danno effettivamente derivante dai lavori in questione – valutato nella somma sopra indicata – appare quello relativo ad una porzione di terreno (pari a 900 mq), risultata "rialzata" rispetto alla quota naturale ed originaria; porzione che è possibile rimettere in pristino stato mediante l’asporto di 360 mc di terreno.

IV. In considerazione delle superiori osservazioni, la domanda giudiziale va accolta solamente in parte, con condanna del Comune di Roma e dell’"A.T.I. Consorzio Cooperative – M." al pagamento della somma di Euro.6.480,00 in favore delle ricorrenti, le quali potranno provvedere congiuntamente a destinarle alla rimessa in pristino dell’area o a dividerle fra loro in proporzione alla estensione di terreno di cui ciascuna è proprietaria.

Si ravvisano giuste ragioni per condannare le parti soccombenti al pagamento – in favore delle ricorrenti – delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro.8500,00, dei quali:

a) Euro.5000,00 (di cui Euro.2500 per la società F. s.r.l. e Euro.2500 per la società A. s.r.l.), oltre IVA e CPA, per sorte;

b) Euro.3500,00 per le competenze per i Consulenti tecnici d’ufficio (dei quali restano da corrispondere agli stessi, a saldo, esclusivamente Euro.1000,00, essendo stati già anticipati dalle ricorrenti Euro.2500,00 in forza delle ordinanze nn.1010 e 1011 del 26.5.2010).
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi in esame, e li accoglie parzialmente nei sensi e nei limiti indicati in motivazione.

Condanna, per l’effetto, le parti soccombenti al risarcimento dei danni provocati alle ricorrenti ed al pagamento delle spese processuali, nella misura e con le modalità indicate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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