Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-02-2011) 17-05-2011, n. 19306 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 23 aprile 2009 la Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Vicenza dell’11 aprile 2006 con la quale R.L., imputato dei reati di violenza sessuale e tentativo di omicidio, veniva ritenuto colpevole del delitto di violenza sessuale e del reato di lesioni personali, così riqualificata l’originaria imputazione di tentato omicidio, e, ritenuta la continuazione, condannato alla pena di anni cinque e mesi otto di reclusione, oltre le pene accessorie di legge ed il risarcimento dei danni in favore della parte civile.

La Corte territoriale disattendeva le doglianze difensive tendenti a sostenere la tesi della estraneità dell’imputato ai detti reati giudicando del tutto inconsistente l’alibi offerto; respingeva le censure rivolte a sostenere l’inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, in relazione alle vistose contraddizioni in cui si riteneva fosse incorsa la stessa; rigettava in quanto infondata la richiesta di concessione della circostanze attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c.; confermava il diniego delle circostanze attenuanti generiche e giudicava adeguata anche la quota di aumento per la continuazione della quale l’imputato aveva chiesto la riduzione perchè eccessiva; infine, rigettava, perchè infondata, la richiesta difensiva finalizzata ad una riduzione della somma dovuto a titolo di risarcimento del danno subito dalla vittima, ritenuta dall’imputato eccessiva in rapporto alla asserita modesta entità del fatto.

Propone ricorso avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore, deducendo difetto ed illogicità della motivazione in riferimento alla affermata attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa in sostanziale acquiescenza a quanto evidenziato, sul punto, dal Tribunale, segnalando le numerose contraddizioni che avevano caratterizzato il racconto della vittima e le incongruità logiche che connotavano l’irrilevanza attribuita dalla Corte all’alibi difensivo.

Segnalava inoltre illogicità manifesta e difetto di motivazione con riferimento ad alcuni particolari (diversità del colore della maglietta indossata al momento dell’arresto come indicata da alcuni testimoni, rispetto a quello descritto dal teste P. e dalla parte offesa; presenza in luoghi diversi da quello teatro dell’asserito delitto in orari del tutto incompatibili con l’affermata presenza in quel luogo da parte della Corte) ritenuti decisivi e non adeguatamente tenuti in considerazione dal giudice territoriale o, quanto meno, illogicamente valutati.

Con altro motivo subordinato la difesa deduceva illogicità e vizio di motivazione della parte della sentenza con la quale la Corte aveva negato la configurabilità della invocata circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

I motivi del ricorso sono manifestamente infondati.

Va in linea generale ribadito il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 2A 10.1.2007 n. 5606, Conversa e altri; Rv. 236181; Cass. Sez. 1A 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, Rv.

216906; Cass. Sez. Un. 4.2.1992 n. 6682, Pm: p.c, Musumeci ed altri, Rv. 191229), con la conseguenza che è pienamente legittima da parte del giudice di secondo grado una motivazione per relationem, peraltro, nel caso di specie non esauritasi nel mero richiamo alla sentenza, già di per sè estremamente analitica, del Tribunale, ma estesa in modo specifico anche all’analisi dei vari profili prospettati dall’imputato con l’atto di appello.

La Corte ha, in particolare, esaminato correttamente ed esaustivamente i vari punti menzionati nell’atto di appello, fornendo risposte adeguate e coerenti sia in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni della vittima J.Z., in coerenza con le regole che governano la valutazione del teste-persona offesa; sia in ordine alla totale inattendibilità dell’alibi prospettato dall’imputato, sia in ordine ai rilievi difensivi incentrati sulle presunte contraddizioni in cui la vittima sarebbe incorsa nel corso del suo esame dibattimentale, sia, infine, in termini di esaustività del complessivo quadro probatorio.

Al riguardo va osservato che il giudice di merito ha dato conto del consistente materiale probatorio raccolto a carico dell’imputato, non solo indicando specificamente tali elementi (dichiarazioni della persona offesa; dichiarazioni dei testi che avrebbero notato l’imputato nell’atto di uscire dall’abitazione della J., descrivendone anche l’abbigliamento; dichiarazioni dello stesso imputato circa la sua presenza sui luoghi in cui abitava la giovane cittadina ungherese in orario compatibile con l’aggressione e la violenza sessuale; riscontri documentali in merito alle lesioni constatate sul corpo della giovane all’atto del ricovero in Ospedale), ma rielaborando, rispetto al primo giudice, tali elementi in modo del tutto autonomo e pervenendo così, in termini di assoluta logicità, alle stesse conclusioni del Tribunale in punto di colpevolezza del R..

Conseguentemente la censura di sostanziale acquiescenza da parte della Corte al ragionamento argomentativo seguito dal primo giudice è manifestamente destituita di fondamento: peraltro, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte nel giudizio di appello è consentita la cd. "motivazione per relationem" in tutte quelle ipotesi in cui le censure mosse nei riguardi della sentenza di primo grado vengano riproposte negli stessi termini di quelle deduzioni difensive già esaminate dal primo giudice e dallo stesso disattese (Cass. Sez. 4A 17.9.2008 n. 38824, Raso ed altri, Rv. 241062; Cass. Sez. 6A 14.6.2004 n. 31080, Cercone, Rv. 229299).

Con l’odierno ricorso la difesa ripropone, ancora una volta, questioni già esaustivamente analizzate in modo coerente, logico, dettagliato e coerente con il quadro probatorio dalla Corte territoriale.

Peraltro nei termini in cui i rilievi difensivi risultano esposti con riguardo al motivo della illogicità e carenza motivazionale in punto di ascrivibilità del fatto all’imputato e di ritenuta inattendibilità dell’alibi da costui offerto, essi implicano una sostanziale rilettura in chiave alternativa degli atti processuali preclusa nel giudizio di legittimità, che non consente di esaminare il cd. "travisamento del fatto" (Cass. Sez. 4A 17.5.2006 n. 4675, P.G. in proc. c. Bartalini ed altri; Rv. 235656).

Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte il denunciato vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi – come preteso dalla difesa del ricorrente – alla indicazione di atti del processo non correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, essendo preciso onere del ricorrente – pena l’inammissibilità della impugnazione – individuare quegli elementi o dati probatori che risultano inconciliabili con la ricostruzione svolta nella sentenza e soprattutto indicare le ragioni per le quali l’atto asseritamente non esaminato comprometta la coerenza logica della motivazione (v. da ultimo, Cass. Sez. 6A 2.12.2010 n. 45036, Damiano, Rv. 249035).

Tenuto conto dei principi sopra enunciati, è palese che nel caso in esame la Corte di Appello si è scrupolosamente attenuta a tali regole interpretative.

Invero – con riguardo ai contenuti della denuncia della persona offesa – non solo ha espresso in modo convincente, persino maggiore di quanto già esposto nella sentenza del Tribunale, il giudizio di piena attendibilità della vittima, ma ha anche escluso in modo altrettanto logico che le lamentate contraddizioni inficiassero la credibilità complessiva del racconto, effettuando quella doverosa comparazione anche con altri elementi estrinseci che elide in radice la fondatezza della censura difensiva laddove si afferma che la Corte non avrebbe tenuto conto dei riscontri estrinseci che, ove valutati, avrebbero dovuto condurre ad una diversa valutazione delle dichiarazioni della parte offesa.

La Corte territoriale, viceversa, ha analizzato tali riscontri, correttamente sottolineandone la valenza di alcuni (come il tipo di abbigliamento indossato dall’imputato nell’atto di essere stato visto dal titolare del negozio sito di fronte l’abitazione della J.;

o, ancora, lo stacco della utenza cellulare in uso all’imputato in un ristretto arco temporale della mattina del 23 settembre 2004; o ancora la compatibilità dell’assenza di graffi sul corpo dell’imputato nonostante la donna avesse riferito di averlo colpito con la circostanza che due unghia della mano della vittima erano state trovate staccate a riprova del fatto che erano finte e dunque inidonee a causare lesioni anche superficiali perchè staccatesi nel corso della lotta), nonostante come è noto la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa vittima di violenza sessuale deve essere sì, condotta in modo rigoroso (compito certamente assolto in modo condivisibile dalla Corte) ma senza l’assoluta necessità di ricercare riscontri di tipo estrinseco, peraltro nella specie esaminati minuziosamente e ritenuti, a ragione, coerenti con le cerniate dichiarazioni.

Analogamente la Corte ha valutato la tesi difensiva basata sull’alibi offerto dall’imputato.

Questi ha sempre sostenuto di essersi sì recato il (OMISSIS) ed aver suonato al citofono esterno dell’abitazione della J., senza tuttavia salire nel suo appartamento, trattenendosi in quella cittadina per non più di alcuni minuti in compagna del figliolo che lo attendeva nell’auto parcheggiata nelle immediate adiacenze dell’edificio; di aver effettuato ripetute chiamate al fidanzato della J., in orari diversi rispetto a quelli risultanti dai tabulati; di essersi trovato fuori (OMISSIS) – e dunque in località diversa dal locus commissi delicti – in orari in cui a detta della persona offesa egli si sarebbe trovato nel di lei appartamento.

Ma tutti i particolari sopra riferiti sono stati presi in esame dalla Corte che ha disatteso le versioni offerte e le testimonianze addotte dalla difesa valutandole – ragionevolmente – o come ininfluenti o come inverosimili (è il caso del figliolo dell’imputato).

Le denunciate carenze motivazionali anche di tipo logico sono quindi decisamente e manifestamente incompatibili con il ragionamento seguito dalla Corte, anche perchè rispetto alle proposizioni contenute nell’atto di appello, esse sono poste in termini di sostanziale superflua ripetitività.

Considerazioni non dissimili vanno svolte anche con riguardo al motivo di ricorso concernente il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità di cui al comma 3 dell’art. 609 bis c.p..

Peraltro va richiamato il costante orientamento espresso al riguardo da questa Corte circa la riconoscibilità dell’attenuante in parola, applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave, tenendo conto di alcuni indici quali l’intensità del dolo, il grado di coartazione esercitato dalla vittima, le condizioni psico-fisiche della stessa, l’entità della lesione della libertà sessuale, anche sotto il profilo psichico. Il che comporta una valutazione globale del fatto non circoscritta ai soli elementi oggettivi, ma estesa a tutti gli elementi soggettivi e, più in generale a tutti quegli elementi della condotta contenuti nell’art. 133 c.p (vds. sul punto, tra le tante, Cass. Sez. 3A 7.11.2006 n. 5002; Cass. Sez. 3A 27.9.2006 n. 40174; Cass. Sez. 3A 23.5.2006 n. 34128).

Va al riguardo ricordato che l’attenuante in esame non è dettata in vista dell’adeguamento della pena al caso concreto, ma riguarda la minore lesività del fatto in relazione al bene giuridico protetto sicchè assume maggior rilevanza la qualità dell’atto compiuto più che la quantità di violenza fisica.

Elementi quali il livello di coartazione esercitato sulla vittima; la sua età; le caratteristiche psicologiche; l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima in termini psichici, ivi compresa la difficoltà di recuperare il trauma subito, incidono quindi in modo rilevante sul concetto della attenuante in esame che va, conseguentemente, esclusa ove tali elementi (o anche taluni di essi) sussistano in modo consistente (v. in tal senso, Cass. Sez. 3A 24.3.2000 n. 5646; Cass. Sez. 3A 7.9.2000 n. 9528).

A tali regole si è uniformata la Corte territoriale senza che le argomentazioni enunciate nel ricorso contengano elementi di novità idonei a scalfire tale giudizio, semmai apparendo le stesse reiterative di quanto già esaurientemente analizzato dal giudice di merito.

Invero anche su tale punto la Corte territoriale ha reso una motivazione assolutamente puntuale e coerente con il ritenuto quadro di gravità contestualizzando il fatto della violenza e correttamente valutando le conseguenze riportate dalla vittima e il suo stato di grave prostrazione, unitamente alla violenza mostrata dall’imputato e al subdolo atteggiamento mostrato prima delle avances iniziali:

elementi tutti ben a ragione ritenuti incompatibili con il fatto apoditticamente definito dal ricorrente non grave.

Il ricorso va, conseguentemente dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma – ritenuta congrua – di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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