Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-02-2011) 17-05-2011, n. 19305 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

te nella persone dell’Avv. MAINARDI Alessandro.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 21 novembre 2008, la Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza emessa in data 19 dicembre 2002 dal Tribunale di Brescia con la quale B.F., imputato dei reati di violenza sessuale aggravata (artt. 81 e 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1; art. 609 quinquies c.p.) e molestia continuata (artt. 81 cpv. 660 c.p.) Fatti commessi fino al (OMISSIS) era stato ritenuto colpevole dei suddetti reati e condannato – previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante e ritenuta la continuazione – alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione, oltre le pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

La Corte territoriale, dopo aver sinteticamente ripercorso l’iter della vicenda e richiamato le motivazioni esposte dal Tribunale, aveva in particolare disatteso le doglianze difensive volte ad ottenere l’assoluzione dell’imputato per non avere commesso il fatto con riferimento alla imputazione di cui agli artt. 609 quinquies e 660 c.p. e l’improcedibilità per difetto di querela con riguardo al reato di cui agli artt. 609 bis e ter c.p..

La Corte di Appello rilevava l’elevata credibilità intrinseca del racconto della minore le cui dichiarazioni erano state recisamente contestate dall’appellante anche per le numerose contraddizioni caratterizzanti il racconto; l’esistenza di riscontri oggettivi confortanti il siffatto giudizio; la piena utilizzabilità probatoria delle risultanze dell’incidente probatorio, a dire della difesa condotto con tecniche suggestive tali da incidere sulla serenità della minore; la gravità del fatto e del comportamento processuale ostative al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche invocate dal B.; l’inconfigurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. invocata, anch’essa, dall’imputato, avuto riguardo alle circostanze del fatto ed alla sostanziale asserita modestia degli atti sessuali compiuti.

Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore deducendo inosservanza della legge processuale penale e manifesta illogicità della motivazione, non avendo la Corte tenuto conto delle gravi contraddizioni caratterizzanti le dichiarazioni della minore e della sua intrinseca inattendibilità, anche in relazione alle risultanze probatorie acquisite (incidente probatorio condotto nei riguardi della minore; esami testimoniali; referto ginecologico).

A detta della difesa infatti l’intero racconto della minore sarebbe illogico, oltre che contraddittorio su circostanze ritenute decisive e dunque non credibile, mentre da parte della Corte non sarebbe stato espresso alcun giudizio sulla credibilità intrinseca della minore, le cui dichiarazioni sarebbero state travisate mentre sarebbero state valorizzate le testimonianze rese dalla psicologa D.ssa B. e da G.B.G., a loro volta del tutto inattendibili e/o inutilizzabili ex art. 191 c.p.p..

Inoltre il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione di legge in relazione alla avvenuta utilizzazione di prove testimoniali rese dalla minore attraverso un incidente probatorio del tutto inutilizzabile in quanto caratterizzato da una serie infinita di domande suggestive in spregio ai divieti contenuti nell’art. 499 c.p.p., comma 3.

Con altre censura è stata denunciata violazione della legge penale ( art. 157 c.p.) in relazione alla mancata declaratoria di improcedibilità per prescrizione in ordine al reato di cui all’art. 609 quinquies c.p..

Il ricorso è fondato soltanto in parte per quanto qui di seguito considerato.

E’ da escludere in linea generale che nel caso in esame la Corte territoriale sia incorsa in contraddittorietà e/o illogicità della motivazione nei termini denunciati dalla difesa del ricorrente.

Ciò anzitutto con riferimento alla valutazione della attendibilità intrinseca del racconto della minore abusata.

A prescindere dal rilievo che non presta il fianco a censure di tal fatta la circostanza che la Corte territoriale (ed ancor più il primo giudice) abbia inteso attribuire valore specifico e preponderante alla testimonianza della giovane vittima, prescindendo da altri elementi di prova (comunque esaminati dalla Corte e ritenuti ulteriormente rafforzativi della complessiva veridicità del racconto), deve convenirsi sul fatto che la Corte ha fatto buon governo dei criteri di valutazione probatoria che regolano le dichiarazioni della vittima minorenne di abusi sessuali.

Nell’operare dette valutazioni, infatti, la Corte non si è limitata all’esame complessivo cd. "interno" delle dichiarazioni della vittima dell’abuso ma ha tenuto presenti le doglianze difensive incentrate prevalentemente su una serie di contraddizioni ravvisabili nel racconto della bambina, analizzandole e valutandole o come marginali o in qualche caso superandole in maniera logica (il riferimento è al particolare descritto dalla bambina della violenza sessuale subita ad opera del B. mentre si trovavano in bagno e alle varie fasi – sviluppatesi nell’arco qualche diecina di minuti – in cui si sarebbe svolta la scena del toccamento sessuale nelle parti intime della bambina e dell’automasturbazione da parte del B. integrata da minacce rivolte alla minore).

E quanto al denunciato travisamento della prova (riferito proprio a quella parte della dichiarazione riguarda l’episodio testè citato verificatosi nella metà di (OMISSIS)) va doverosamente evidenziato che questo va inteso come valutazione operata dal giudice di merito sulla base di una prova inesistente ovvero di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, rimanendo precluso nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto che costringerebbe il giudice di legittimità a reinterpretare gli elementi di prova già valutati dal giudice di merito (vds. Cass. Sez. 5A 25.9.2007 n. 39048; Cass. Sez. 3A 18.6.2009 n. 39279).

In aggiunta a ciò va ulteriormente precisato che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto in sede di legittimità solo quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nella ipotesi in cui la sentenza di appello sia confermativa – come nella specie – di quella di primo grado, essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, tranne che il giudice d’appello abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (v. Cass. Sez. 4A 3.2.2009 n. 19710).

In questo senso va ribadito il principio secondo il quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova poste a base delle rispettive decisioni, si salda con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 1A 26.6.2000 n. 8868).

Ma la Corte territoriale mostrando particolare attenzione al tema dell’attendibilità soggettiva ed intrinseca della minore ha approfonditamente e convenientemente analizzato gli aspetti del vissuto della bambina e delle tristi esperienze da lei maturate negli anni precedenti ed ancora, in modo puntuale e logico, escluso che la bambina perseguissi intenti calunniatori verso il B. convivente dalla madre dalla quale la bambina viveva separata da anni trovandosi ospite da tempo di una casa-famiglia.

Le censure contenute sul punto nell’odierno ricorso peraltro già sollevate in sede di appello e congruamente esaminate dalla Corte territoriale esulano dall’ambito di cognizione del giudice di legittimità inibito a procedere ad una sostanziale "rilettura" degli elementi di fatto posti a base della decisione la cui valutazione è, invece, demandata esclusivamente al giudice di merito.

Ciò vale soprattutto con riferimento alle iniziali deduzioni difensive esposte nel primo motivo di ricorso che ripercorrono alcuni degli episodi narrati dalla bambina nel corso del suo incidente probatorio prospettando una lettura alternativa degli stessi non proponibile in questa sede proprio perchè già il giudice di merito ha dato risposta a tali diverse opzioni interpretative in modo coerente ed adeguato.

Ed anche con riferimento all’analisi dei riscontri esterni la Corte ha passato in rassegna i plurimi elementi acquisiti al processo, tanto da affermare in un passaggio della sentenza impugnata che la minore "appare credibile, ma la sua dichiarazione è altrimenti suffragata" (v. pag. 5 della decisione impugnata).

Anche su tali elementi la Corte è pervenuta a conclusioni per nulla omissive o superficiali o ancor peggio disarmoniche rispetto alla realtà, rievocando alcuni particolari (come quello delle mutandine sporche di sangue notate dalla figlia della signora G. G. proprio all’indomani – era la metà di agosto – del rientro della bambina nella casa-famiglia di ritorno dalla visita alla casa della madre) per validare il giudizio di complessiva attendibilità del racconto della minore.

Ciò posto, alcune puntualizzazioni appaiono doverose rispetto a quanto già osservato condivisibilmente dalla Corte di Appello con riferimento alle questioni di natura processuale (inutilizzabilità dell’incidente probatorio nel suo complesso e inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da G.G. nel corso del dibattimento) dedotte con il ricorso.

Prescindendo dal rilievo di ordine generale che nel ricorso non vengono enunciate in modo specifico (bensì con richiamo alle pagine del verbale di incidente probatorio) le domande indicate dalla difesa del ricorrente come suggestive, in ogni caso va rilevato che la relativa eccezione andava comunque proposta innanzi al giudice davanti al quale la prova è stata formata (il GIP), essendo rimessa al giudice dell’impugnazione solo la valutazione in ordine alla motivazione del provvedimento di accoglimento o rigetto della relativa eccezione (Cas. Sez. 3A 23.10.2008 n. 47084, Perticone ed altri, Rv. 242255; Cass. Sez. 1A 31.5.2005 n. 22204, Bega ed altro, Rv. 232385). Non risulta che la difesa del ricorrente abbia sul punto formulato in sede propria specifiche eccezioni.

In ogni caso poi la violazione del divieto di porre domande suggestive non determina nè l’inutilizzabilità della testimonianza – come preteso dalla difesa del ricorrente – attenendo l’inutilizzabilità (come condivisilmente affermato dalla Corte di Appello) alla prove cd. "vietate" e non alla regolarità della loro assunzione, nè alcuna ipotesi di nullità perchè non prevista da alcuna disposizione (Cass. Sez. 3A 25.6.2008 n. 35910, Ouertatani, Rv. 241090). E in ogni caso detto divieto non opera nè per il giudice nè per l’ausiliario del quale egli si avvalga nella conduzione dell’esame testimoniale del minore, potendo al più tale evenienza formare oggetto di specifica doglianza in punto di attendibilità del risultato della prova (Cass. Sez. 3A 28.10.2009 n. 9157, C, Rv. 246205; in senso analogo e con specifico riferimento alla insussistenza del divieto per il giudice che conduca direttamente l’esame del teste, Cass. Sez. 3A 12.12.2007 n. 4721, Fuselli, Rv. 238794).

Tali principi peraltro, vengono ancor più ribaditi con riferimento all’esame condotto dal giudice (o dal Presidente del Collegio) direttamente nei riguardi di minore vittima di abusi sessuali al fine di vincerne la ritrosia o reticenza nel deporre (in tal senso Cass. Sez. 3A 13.2.2008, S. n. 13981, Rv. 239966; Cass. Sez. 3A 20.5.2008, n. 27068, B., Rv. 240261) Alla stregua di tali considerazioni il relativo motivo di ricorso deve essere rigettato. Così come va disatteso l’ulteriore motivo di ricorso relativo alla riferita inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste G.G., posto che le regole codicistice delineate nell’art. 197 c.p.p. non prevedono una ipotesi di incompatibilità assoluta del teste che abbia in precedenza svolto attività di ausiliario del giudice a rendere pubblica testimonianza ma mirano ad evitare che costoro possano riferire su fatti o circostanze apprese nell’esercizio della funzione di ausiliario (Cass. Sez. 4A 26.3.2009 n. 17043, Comini, Rv.

243643; Cass. Sez. 3A 9.3.1998 n. 4752, Spina C. ed altri, Rv.

210708).

Anche su tale punto la Corte ha fornito adeguata risposta alle censure sollevate con l’atto di appello, avendo anzi escluso che nella circostanza la G. avesse svolto in concreto compiti di ausiliario del giudice.

Va, pertanto rigettato il ricorso con riferimento ai motivi testè indicati. E’ invece fondato il ricorso nella parte relativa alla mancata declaratoria, da parte della Corte della estinzione per maturata prescrizione limitatamente ai reati di cui all’art. 609 quinquies c.p. e art. 660 c.p.p., tante il decorso del tempo necessario e senza che siano intervenute sospensioni del corso della prescrizione: peraltro per entrambi i reati la prescrizione era già maturata prima della pronuncia della sentenza oggi impugnata.

Segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente ai detti reati con conseguente eliminazione – rientrando ciò nei poteri di questa Corte – della relativa quota di pena in aumento per la ritenuta continuazione, già determinata dal Tribunale.

Il ricorrente va, infine, condannato alla rifusione delle spese del presente grado in favore della parte civile ammessa al g.p., liquidate in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori di legge, disponendosi che esse siano versate in favore dello Stato.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui agli artt. 609 quinquies e 660 cod. pen. perchè estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di un mese di reclusione.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile, liquidate complessivamente in Euro 1.500,00 oltre accessori di legge, disponendo che le stesse siano versate in favore dello Stato. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *