Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-09-2011, n. 18939 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate ricorre contro i coniugi G. D. e P.F. per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Puglia ha accolto l’appello dei contribuenti contro la sentenza di primo grado che aveva parzialmente respinto il loro ricorso contro un avviso di accertamento per IRPEF e ILOR per l’anno di imposta 1993:

accertamento col quale l’Ufficio aveva recuperato a tassazione i maggiori redditi che – sulla scorta delle risultanze emergenti dal processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 27.3.98 – assumeva essere stati percepiti (in parte certamente ed in parte presuntivamente) per interessi su prestiti usurari.

I contribuenti si sono costituiti con controricorso ed hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 3.5.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione

In primo luogo va disattesa l’eccezione preliminare dei contro ricorrenti, fondata sulla mancanza, nel ricorso introduttivo, di qualunque riferimento al titolo in forza del quale l’Avvocatura dello Stato rappresenterebbe l’Agenzia delle Entrate nel presente procedimento. Questa Corte ha infatti reiteratamele affermato – con la sentenza delle Sezioni Unite n. 23020/2005, seguita dalle sentenze della Sezione 5^ nn. 11227/07, 3427/2010 e 8071/2010 – che allorchè l’Agenzia delle Entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’Avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 1, comma 2, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato. Ciò premesso, è indubbio che l’Avvocatura dello Stato non può proporre un ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle Entrate senza aver ricevuto da quest’ultima il relativo incarico; ma nessuna disposizione di legge prevede che del conferimento di tale incarico debba farsi esplicita menzione nel ricorso; nè ciò potrebbe desumersi dal disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 5), che inserisce tra i contenuti necessari del ricorso per cassazione "l’indicazione della procura, se conferita con atto separato", giacchè la procura (non necessaria, come si è visto, quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) è il negozio processuale attribuivo dello jus postulandi, in cui consiste il ministero di difensore, e va tenuta distinta dal negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale in cui consiste l’assistenza di difensore.

Ciò posto, si osserva che il ricorso per cassazione proposto dell’Agenzia si fonda su due motivi; col primo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione dell’art. 654 c.p.p. per avere la Commissione Tributaria Regionale deciso come se la sentenza penale con cui i contribuenti era stati prosciolti dall’imputazione di usura avesse efficacia di giudicato nei confronti del Fisco, che non aveva preso parte al processo penale; col secondo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia l’insufficiente motivazione sui fatti decisivi controversi dei prestiti effettuati dai contribuenti ai sigg. Be., Ga. e Vi., non avendo la Commissione Tributaria Regionale citato gli specifici fatti che l’avevano indotta a ritenere detti prestiti concessi a titolo non oneroso.

I motivi di ricorso sono entrambi inammissibili.

Il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata, la quale – contrariamente a quanto argomenta la ricorrente – non ascrive alcuna efficacia di giudicato alla sentenza penale di proscioglimento dei contribuenti dall’imputazione di usura ed anzi espressamente esclude tale efficacia; ved pag. 4, terzultimo capoverso, della sentenza: "se è pur vero che il giudicalo penale non rileva, ai fini del procedimento tributario, sicchè il giudice tributario deve operare in piena autonomia, è altrettanto vero che dal giudicato penale il medesimo deve estrapolare tutti quegli elementi che non sono stati provali e che ex adverso nel processo tributario possono costituire presunzioni gravi precise e concordanti. Da tale stralcio della motivazione risulta palese che la Commissione Tributaria Regionale ha annullato l’alto impositivo non perchè si sia ritenuta vincolata dal giudicato penale, ma perchè ha ritenuto (con accertamento in fatto censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione) che gli elementi presuntivi su cui si basava l’accertamento tributario non fossero provati e non risultassero nemmeno estrapolagli dalla sentenza penale.

Il secondo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. La ricorrente lamenta, da un lato, la mancata valutazione, da parte del giudice di merito, dei "fatti decisivi controversi dei prestiti a Be., Ga. e Vi.", affermando che anche secondo il giudice penale tale prestiti risulterebbero contratti; d’altro lato, l’"omesso l’esame delle prove raccolte nei due processi, penale e tributario". La difesa erariale, però, non trascrive nel proprio ricorso i passi della sentenza penale in cui sarebbe stata affermata l’avvenuta concessione di detti prestiti; nè indica in quali atti difensivi l’esistenza di tali prestiti (del tutto ignorati nella motivazione della sentenza gravata) sarebbe stata dedotta in sede di merito; nè, infine, precisa in cosa consistano le prove di cui lamenta il mancato esame da parte del giudice di merito, trascrivendo il contenuto dei documenti o i capitoli delle prove testimoniali o per interrogatorio, così come imposto dal principio di autosufficienza (cfr. Cass. 18506/06, Cass. 13556/06, Cass. 13085/07 e altre).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, per l’inammissibilità dei motivi che lo sorreggono. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *