Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-09-2011, n. 18937

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ine il rigetto.
Svolgimento del processo

La società Allevamento la Nuova Sbarra srl ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio – riformando la sentenza di primo grado in accoglimento dell’appello dell’Ufficio – ha respinto il ricorso avverso l’avviso di accertamento IRPEG-ILOR con cui l’Amministrazione finanziaria aveva rideterminato analiticamente il reddito d’impresa della contribuente per l’anno di imposta 1996.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 3.5.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione

La Commissione Tributaria Regionale di Roma ha annullato l’atto impositivo sulla scorta della seguente motivazione:

Il Collegio osserva altresì che dottrina e giurisprudenza (vedansi in proposito Corte di Cassazione n. 6232/2003 e n. 19120/2005) sono ormai concordi nell’affermare la legittimità dell’atto motivato per relationem ad altro atto purchè questo ultimo sia comunque noto al destinatario del primo o perchè notificatogli o perchè allegato. Il fatto che il pvc sia stato allegato all’appello consente a questi giudici, che lo hanno esaminato, di affermare che l’Ufficio ha valutato con attenzione i rilievi formulati in sede di verifica e li ha fatti propri esplicitando ampiamente.

Il ricorso della società Allevamento la Nuova Sbarra srl denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e art. 2697 c.c., lamentando come l’atto impositivo, in violazione di dette disposizioni, non fosse motivato e non recasse in allegato, nè riproducesse nelle sua parti essenziali, il processo verbale di constatazione su cui si fondava l’accertamento.

Il ricorso è inammissibile sotto due profili.

Sotto il primo profilo, perchè le doglianze del ricorrente non censurano determinate affermazioni giuridiche della sentenza gravata, ma si risolvono in una diretta denuncia di vizi dell’atto impositivo impugnato. Da ciò discende l’inammissibilità del motivo, alla stregua del costante insegnamento di questa Corte secondo cui il motivo con il quale si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Con la conseguente inammissibilità della deduzione di "errori di diritto" individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata, (sentenze 11501/06. 5353/07).

Sotto il secondo profilo, perchè il quesito di diritto formulato dalla ricorrente a conclusione della illustrazione del motivo di ricorso non è conforme al paradigma fissato, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c..

Al riguardo si osserva che le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e deve quindi porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e auto sufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr. Cass. Sez., un., n. 28054 del 2008. cit.;

n. 26020 del 2008; n. 18759 del 2008; n. 3519 del 2008; n. 7197 del 2009).

I principi espressi dalle Sezioni Unite sono poi stati ulteriormente dettagliati dalla Terza Sezione con la precisazione che è inammissibile il motivo di impugnazione in cui il quesito di diritto non indichi le due opzioni interpretative alternative, quella adottata nel provvedimento impugnato e quella proposta dal ricorrente (vedi la sentenze n. 24339/08: "il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza, anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile": nello stesso senso. Ord. 4044/09).

Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere, dai contenuti sopra precisati, della proposizione di una valida impugnazione, in quanto il quesito formulato a conclusione del motivo ("se la materiale formulazione dell’avviso di accertamento per cui è causa integri gli estremi della prospettata violazione" del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e l’ art. 2697 c.c.) tende non all’enunciazione di una regula juris ma alla pronuncia di un giudizio di merito sulla conformità della motivazione dell’atto impositivo impugnato al paradigma normativo.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile. Le spese segue la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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