Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-09-2011, n. 18935 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate e i Ministero delle Finanze ricorrono contro la società Allevamento la Nuova Sbarra srl per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha confermato l’annullamento, deciso in primo grado, di un avviso di accertamento IRPFG – ILOR relativo all’anno di imposta 1993;

accertamento col quale l’Ufficio aveva ritenuto inesistenti le passività iscritte nel bilancio della società come "versamento soci in conto capitale" (per L. 1.264.447.000) o come "finanziamenti infruttiferi" (per L. 932.700.000), riprendendo a tassazione i relativi importi.

La società contribuente si è costituita con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 3.5.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione

Preliminarmente si rileva rinammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è formata in epoca successiva alla proposizione dei ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Passando al ricorso dell’Agenzia delle entrate, si osserva che la sentenza gravata è motivata col rilievo che l’Ufficio non avrebbe offerto alcun concreto elemento di prova del fatto che i versamenti dei soci appostati nel bilancio della società non fossero stati realmente effettuati; in particolare – posto che l’accertamento dell’Ufficio si basava sul rilievo che dalle dichiarazioni dei redditi dei soci era emerso che costoro non avrebbero avuto la materiale possibilità di effettuare i suddetti versamenti alla società, avendo denunciato dal 1990 al 1994 redditi per circa trenta milioni annui -la Commissione Tributaria. Regionale argomenta che le dichiarazioni dei redditi presentate dai soci non rilevano ai fini della dimostrazione dell’inesistenza di tali versamenti, "avendo dette poste carattere patrimoniale e non reddituale, tali, cioè, da non consentire una ripresa a tassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria".

I ricorrenti, con un unico, complesso, motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ( art. 360 c.c., n. 3) e la insufficiente motivazione su un punto decisivo ( art. 360 c.p.c., n. 5) della controversia, lamentando:

1) con rifermento alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., il malgoverno dei principi sul riparto dell’onere della prova, sull’assunto che – avendo l’Ufficio offerto un principio di prova dell’inesistenza dai versamenti dei soci iscritti al passivo del bilancio – sarebbe stato onere del contribuente documentare tali versamenti;

2) con riferimento al denunciato vizio motivazionale, l’illogicità dell’affermazione contenuta in sentenza secondo cui il fatto che i finanziamenti infruttiferi o i versamenti dei soci avessero carattere patrimoniale (e non reddituale) impedirebbe di desumere argomenti di prova della loro inesistenza dalle dichiarazioni dei redditi dei soci.

Il motivo è infondato in entrambi i profili di censura in cui si articola, che, per la loro intima connessione vanno esaminati congiuntamente.

Il ragionamento del giudice di merito, secondo cui dalla dichiarazione dei redditi dei soci non possono trarsi argomenti nemmeno presuntivi per escludere che i medesimi abbiano versato alla società le somme di cui si discute, è logico e persuasivo, giacchè la provvista per reffettuazione di un versamento alla società può essere reperita dal socio utilizzando, in tutto o in parte, il proprio patrimonio e le dimensioni di un patrimonio non sono necessariamente ed univocamente connesse all’entità dei redditi di cui il relativo titolare disponga.

La censura di illogicità della motivazione della sentenza, svolta nella seconda parte del motivo di ricorso, va quindi disattesa e conseguentemente cade il presupposto della censura di violazione di legge ( art. 2697 c.c.) svolta nella prima parte del motivo di ricorso, ossia che l’insussistenza dei versamenti dei soci troverebbe un principio di prova nelle dichiarazioni dei redditi dei soci stessi.

Nè, da ultimo, risulta pertinente il richiamo della difesa erariale alla giurisprudenza di questa Corte (tra le varie sentenze 11240/02, 4554/10) che pone a carico del contribuente l’onere di provare i presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi; i versamenti in conto capitale e i finanziamenti infruttiferi dei soci, infatti, non costituiscono costi ed oneri deducibili (ossia partite di conto economico), bensì poste dello stato patrimoniale e l’accertamento della loro eventuale inesistenza farebbe emergere perdite (e non ricavi) di importo corrispondente a quello dei versamenti insistenti.

La regolazione delle spese tra l’Agenzia e la resistente segue la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Compensa le spese tra il Ministero e la resistente; condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.500,00, di cui 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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