T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 18-05-2011, n. 4332 Prodotti agricoli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, A. (associazione che rappresenta imprese del settore oleario) ed alcune aziende operanti nella lavorazione e nel confezionamento dell’olio di oliva a livello industriale hanno impugnato, per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, il decreto n. 8077/09 del 10 novembre 2009 (pubblicato sulla GURI – serie generale – n. 12 del 16 gennaio 2010) con cui il Ministero resistente ha adottato le "disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva", ciò in attuazione del regolamento (CE) n. 182/2009 della Commissione del 6 marzo 2009 che, nel modificare il regolamento (CE) n. 1019/2002, ha reso obbligatoria sulle etichette l’indicazione dell’origine dell’olio di oliva e della provenienza del prodotto.

In estrema sintesi, il predetto decreto ha imposto a frantoi, imprese di confezionamento e commercianti all’ingrosso la tenuta di registri unitamente ad una serie di adempimenti ivi contemplati, obblighi contestati dalle ricorrenti con i motivi che seguono:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge 29 dicembre 1990 n. 428; violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità, dell’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per irragionevolezza, travisamento e falsità dei presupposti; sviamento.

Il decreto impugnato viola il principio di proporzionalità previsto dall’art. 4 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 secondo cui l’attuazione delle disposizioni comunitarie deve comunque garantire la parità di trattamento tra gli agricoltori ed evitare distorsioni del mercato e della concorrenza.

Ora, il regolamento CE n. 182/2009 che il Ministero resistente ha voluto attuare con il decreto impugnato risponde all’esigenza di stabilire norme di commercializzazione dell’olio di oliva dettando specifiche norme in materia di etichettatura in modo da garantire la doverosa informazione dei consumatori.

Le previsioni contenute nel decreto n. 8077/2009 recano una serie di adempimenti che esulano dagli obblighi imposti dal predetto regolamento comunitario come, ad esempio, la natura degli incombenti, i soggetti interessati, l’aspetto sanzionatorio, il rispetto del diritto di riservatezza e di tutela del know how.

In particolare, il Ministero resistente ha introdotto un sistema aggiuntivo di informazioni amministrative e contabili non contemplate nella normativa comunitaria con le quali, tra l’altro, si prevede quanto segue:

– in caso di prodotti confezionati in Italia ma con il marchio di un distributore comunitario, mentre il regolamento n. 182/2009 prevede che sia quest’ultimo a fornire le informazioni all’Autorità del proprio paese, il decreto impugnato impone tale obbligo al confezionatore nazionale;

– tali obblighi contenuti nel decreto impugnato sono imposti non solo alle imprese di confezionamento, come stabilito dalla normativa comunitaria, ma anche a soggetti diversi come i frantoi, i commercianti di oli sfusi e i trasportatori;

– è necessario registrare i cali di lavorazione con modalità che si pongono, peraltro, in contrasto con le normativa fiscale vigente.

Le disposizioni contenute nel decreto impugnato sono inutili ed irragionevoli in quanto la verifica della provenienza della materia prima (ovvero la questione della tracciabilità del prodotto) si può assicurare attraverso il controllo delle fatture di acquisto, sia nel caso di olio nazionale che in quello di olio comunitario.

Il decreto impugnato impone, invece, la registrazione di tutti i movimenti dell’olio all’interno dello stesso stabilimento di confezionamento (filtrazioni, miscelazioni, operazioni di confezionamento, i movimenti di magazzino); tali adempimenti si rivelano oltremodo irragionevoli in caso di oli etichettati come le miscele di oli comunitari e non comunitari.

Anche il passaggio tra il sistema cartaceo di registrazione e quello telematico si rivela vessatorio anche perché ciò impone adempimenti quotidiani gravosi e l’adeguamento si rivela particolarmente costoso per le imprese del settore;

2) violazione e falsa applicazione di legge; eccesso di potere per irragionevolezza e sviamento; violazione del principio di concorrenza; discriminazione invertita.

Le misure imposte dal decreto impugnato creano effetti distorsivi nel mercato di riferimento in quanto da tali obblighi sono esonerati i produttori agricoli che sono i protagonisti della filiera dell’olio.

L’obbligo informativo, per i produttori agricoli, si ritiene infatti assolto attraverso i dati disponibili nel sistema informativo GIS (sistema informativo territoriale), nel SIAN (sistema informativo agricolo nazionale) e nella documentazione amministrativa e contabile.

Ciò, oltre a provocare effettivi distorsivi della concorrenza, mette nelle condizioni gli olivicoltori di commercializzare oli di origine non controllata;

3) violazione e falsa applicazione di legge; eccesso di potere per violazione del diritto alla riservatezza dei dati aziendali e del know how.

Le imprese soggette agli obblighi di cui al decreto impugnato devono, tra l’altro, registrarsi nel SIAN le cui informazioni, secondo quanto previsto nell’art. 5, commi 6 e 7, sono rese disponibili al Ministero resistente, all’ICQRF (Istituto centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari) e alle Regioni.

Ciò costituisce una violazione del diritto di riservatezza dei dati aziendali che è in grado di provocare effetti distorsivi della concorrenza tra le imprese del settore anche perché le informazioni di che trattasi hanno carattere strategico per la vita aziendale (elenco fornitori, elenco clienti, quantità acquistate e vendute, dati giornalieri di produzione, il modus operandi come i movimenti interni e la composizione delle miscele);

4) violazione e falsa applicazione della legge n. 689/1981 in materia di sanzioni amministrative; incompetenza; eccesso di potere per irragionevolezza; violazione del principio di proporzionalità, ingiustizia.

L’art. 10 del decreto n. 8077/2009 prevede che, in caso di violazione delle disposizioni ivi contenute, si adottano, ove applicabili, le sanzioni amministrative di cui al D.lgs n. 225 del 2005 e n. 109 del 1992.

Ciò costituisce una grave violazione del principio di legalità imposto dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981 secondo cui le sanzioni possono essere imposte solo in forza di una norma di legge.

Peraltro, le sanzioni richiamate nel decreto impugnato sono abnormi rispetto alle fattispecie contenute nel decreto impugnato.

Si è costituito in giudizio il Ministero resistente chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato nel merito.

Con ordinanza n. 1101/2010, è stata respinta la domanda di sospensiva.

Con ordinanza istruttoria n. 1610/2010 sono stati chiesti chiarimenti al Ministero resistente in ordine all’attuazione delle disposizioni dettate dal Regolamento CE n. 182/2009 ed è stata disposta una verificazione, ai sensi dell’art. 66 del D.lgs n. 104/2010, incaricando l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di accertare l’impatto concorrenziale delle misure adottate dal Ministero resistente con il D.M. n. 8077/2009 nei confronti di frantoi, di imprese di confezionamento e di commercianti all’ingrosso nel settore oleario, ma non degli olivicoltori, impatto che avrebbe dovuto essere valutato a livello sia nazionale (tra coloro che sono soggetti al D.M. n. 8077/2009 e gli olivicoltori) sia comunitario, se sussistente.

Il Ministero resistente e l’Autorità garante della Concorrenza e del mercato hanno adempiuto a quanto disposto con l’ordinanza, provvedendo al deposito delle rispettive relazioni.

In prossimità della trattazione del merito, le ricorrenti hanno depositato memoria, confutando alcuni aspetti delle predette relazioni istruttorie ed insistendo per l’accoglimento dell’impugnativa.

Alla pubblica udienza del 4 maggio 2011, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

1. Anzitutto, va precisato quanto segue:

– il Reg. CE n. 182/2009, nel modificare il regolamento (CE) n. 1019/2002, ha reso obbligatoria sulle etichette l’indicazione dell’origine dell’olio e della provenienza del prodotto, lasciando poi agli Stati membri le modalità attuative di tali misure;

– il Ministero resistente ha dato attuazione alle predette prescrizioni attraverso l’adozione del D.M. n. 8077/2009 che ha previsto l’introduzione di un registro di carico e scarico da vidimare presso l’ICQRF (organo del Ministero delle Politiche Agricole incaricato di prevenire e reprimere le frodi comunitarie) ovvero presso gli uffici regionali competenti, da detenere presso la sede legale dell’impresa, dove registrare, entro un determinato periodo di tempo, tutti i movimenti interni ed esterni della merce e le fasi di lavorazione dell’olio di oliva. I soggetti tenuti all’adozione del predetto registro sono i frantoi, i confezionatori di olio ed i commercianti di olio sfuso. Altresì, i frantoi ed i confezionatori di olio sono tenuti alla registrazione presso il SIAN;

– sono esentati dal rispetto delle prescrizioni contenute nel predetto decreto n. 8077/2009 gli olivocoltori e i frantoi che confezionano o moliscono olio proveniente, in via esclusiva, dagli uliveti di cui sono titolari.

2. Ciò premesso, può passarsi ad esaminare il primo motivo del ricorso con cui si lamenta la violazione del principio di proporzionalità e l’irragionevolezza delle misure contenute nel decreto impugnato.

La doglianza è infondata.

Il Collegio ritiene, invero, di condividere le considerazioni formulate, in particolare, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato con la relazione redatta in esecuzione dell’ordinanza istruttoria n. 1610/2010.

L’Autorità ha, infatti, ritenuto che le misure introdotte dal D.M. n. 8077/2009, oltre a costituire attuazione dell’obbligo di etichettatura ora imposto dalla normativa comunitaria, sono volte alla salvaguardia dei consumatori ed alla trasparenza del mercato, oltre che al contrasto delle frodi, tanto che, anche se possono aggravare le imprese destinatarie di ulteriori adempimenti burocratici, non risultano sproporzionate rispetto al raggiungimento dell’obiettivo ora imposto dal Reg. CE n. 182/2009.

Ciò posto, deve aggiungersi che, in disparte il fatto che la Commissione europea non ha, peraltro, svolto rilievi sul contenuto delle misure introdotte dal D.M. n. 8077/2009, il Ministero resistente, nell’intento di garantire la trasparenza delle informazioni relative al prodotto "olio di oliva" in Italia e contrastare le contraffazioni e le truffe nel settore, ha inteso introdurre una serie di adempimenti uniformi a livello nazionale che garantissero un sistema standardizzato di tracciabilità del prodotto e che dessero assicurazione circa l’immodificabilità dei dati.

Tale esigenza, come segnala il Ministero resistente (e non smentito sul punto dalla parte ricorrente), è il frutto anche dell’esperienza maturata dagli organi di controllo competenti che hanno registrato numerosi casi di contraffazione nel settore di riferimento.

L’introduzione di tali adempimenti risulta peraltro giustificato dal fatto che il settore oleario italiano importa dall’estero partite di prodotto necessarie per il soddisfacimento del consumo interno ma anche per incrementare, attraverso miscelazioni, il flusso delle esportazioni.

Ciò ha reso necessario, ai fini della tracciabilità, introdurre una serie di adempimenti che garantiscano il controllo di tali movimentazioni e rendere trasparente il mercato del settore di che trattasi.

Ora, sebbene l’adeguamento a tali adempimenti burocratici possa, tra l’altro, rivelarsi costoso per le imprese interessate, ciò tuttavia costituisce l’assolvimento di un obbligo comunitario che è stato concretizzato dallo Stato italiano con misure che non risultano sproporzionate né irragionevoli rispetto alle finalità sottese alla normativa comunitaria ed alla situazione concreta del settore oleario nazionale.

3. Anche il secondo motivo si rivela infondato (riguardante la mancata inclusione tra i destinatari dei produttori agricoli che commercializzano solo olio di oliva prodotto dalle proprie aziende).

Anche in questo caso, risultano condivisibili le argomentazioni svolte dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella verificazione disposta con la predetta ordinanza istruttoria, anche nell’ottica di verificare la sussistenza di eventuali effetti discorsivi della concorrenza di tale esclusione.

Ed invero, oltre a quanto riferito nel precedente punto 2., l’Autorità ha avuto modo di precisare che la diversità degli obblighi imposti alle diverse categorie trova giustificazione in ragione della diversa situazione oggettiva in cui le differenti categorie si trovano ad operare.

In quest’ottica, si deve considerare l’oggettiva minore facilità con cui i produttori agricoli possono porre in essere condotte truffaldine sulla provenienza dell’olio, anche perché le verifiche su tali soggetti sono effettuate attraverso l’utilizzo del SIGC (sistema integrato di gestione e controllo) in cui sono reperibili tutte le informazioni riferite a ciascuna azienda, presenti nella banca dati del SIAN.

Da ciò, l’Autorità ha desunto che, nel caso di specie, non rileva il problema dell’eventuale effetto distorsivo della concorrenza in quanto, seppure i produttori agricoli hanno adempimenti burocratici meno gravosi rispetto alle altre imprese del settore, ciò è tuttavia giustificato dalla diversa situazione oggettiva in cui versano le differenti categorie del settore, diversità peraltro rispettose del principio di proporzionalità sopra invocato.

Il Collegio condivide tali argomentazioni, dal che deriva il rigetto della censura in esame.

4. Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione del diritto alla riservatezza dei dati aziendali.

La doglianza è infondata.

È sufficiente, al riguardo, osservare che la circostanza per cui, ai sensi degli artt. 5, commi 6 e 7, del decreto impugnato, i dati e le informazioni delle imprese del settore presenti nel SIAN sono resi disponibili al Ministero delle Politiche Agricole, all’IRCQF ed alle Regioni competenti risponde ad esigenze e finalità di interesse pubblico anche perché tali notizie sono fornite a soggetti pubblici per lo svolgimento delle funzioni di rispettiva competenza.

Tali soggetti pubblici, peraltro, sono obbligati a registrarsi presso il SIAN, il che consente di poter risalire alle interrogazioni svolte dai predetti enti, ciò a garanzia della sicurezza nel trattamento dei dati di che trattasi.

La stessa disponibilità di dati non è, invece, riconosciuta alle organizzazioni di categoria alle quali sono fornite solo informazioni aggregate che non ledono il diritto alla riservatezza dei dati delle imprese del settore.

5. Infondata, infine, si rivela l’ultima censura con cui le ricorrenti deducono l’illegittimità dell’art. 10 del decreto n. 8077/2009 (dove si prevede che, in caso di violazione delle disposizioni ivi contenute, si adottano, ove applicabili, le sanzioni amministrative di cui al D.lgs n. 225 del 2005 e n. 109 del 1992), per violazione del principio di legalità imposto dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981.

È sufficiente, al riguardo, osservare che l’art. 10 del DM n. 8077/2009 non introduce alcuna nuova sanzione amministrativa bensì si tratta di una norma ricognitiva di fattispecie sanzionatorie fissate dalle norme di rango primario ivi indicate.

Ciò che si vuole dire è che, come si evince dallo stesso inciso contenuto nella norma del decreto citata ("ove applicabili"), è che la violazione delle prescrizioni contenute nel decreto costituisce fonte di illecito amministrativo laddove la fattispecie è inquadrabile, a livello interpretativo, in quelle previste dai decreti legislativi n. 225 del 2005 e n. 109 del 1992.

La fonte normativa dell’illecito non va dunque individuata nel decreto impugnato e nelle relative prescrizioni, ma nelle disposizioni di rango primario ivi richiamate, che sono da ritenersi comunque applicabili alla specie, anche a prescindere da tale esplicito richiamo.

Il principio di legalità imposto dapprima dalla Costituzione e, di conseguenza, dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981 risulta, quindi, rispettato.

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, attesa la novità delle questioni affrontate con il ricorso in esame.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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